Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26829 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26829 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38488/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NOME n. 7244/2018, pubblicata il 16/11/2018;
letta la memoria scritta del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie depositate da tutte le parti;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN FATTO
Con atto notificato il 13.02.2009, COGNOME NOME riassumeva dinanzi al Tribunale civile di RAGIONE_SOCIALE il giudizio precedentemente instaurato dinanzi al T.A.R. Lazio (che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione), con il cui atto introduttivo aveva impugnato il provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO del 23.11.2007 emesso dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Politiche RAGIONE_SOCIALE Urbanistici -V. U.O. RAGIONE_SOCIALE Adempimenti connessi alla Subdelega regionale in materia di RAGIONE_SOCIALE Marittimo, mediante il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di € . 64.628,13 a titolo di indennizzo, determinato ai sensi dell’art. 1, comma 257, legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, riferito al periodo 1.01.2002 – 31.12.2007 per concessione demaniale marittima scaduta il 31.12.2001 e relativa al mantenimento di una cabina balneare ad uso residenza estiva sull’area demaniale marittima sita in Ostia Lido.
1.1. Il provvedimento sanzionatorio del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contestava la realizzazione di opere inamovibili in totale assenza di titolo abilitativo. Lo COGNOME eccepiva che la RAGIONE_SOCIALE Porto di
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) in data 18.02.1999 aveva rilasciato concessione n. 100 alla sua dante causa , NOME COGNOME, per mantenere un cottage (precedentemente costruito dalla società RAGIONE_SOCIALE all’interno di uno stabilimento balneare), uso residenza estiva senza possibilità di pernottamento, a partire dal l’ 1.01.1998 fino al 31.12.2001. In data 18.11.2004 (con Protocollo n. 91737/2004) l’RAGIONE_SOCIALE rilasciava alla COGNOME espressa autorizzazione postuma al mantenimento dell’intero man ufatto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374; con determinazione dirigenziale n. 71 del 20.01.2005 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE autorizzava lo COGNOME a subentrare nella concessione demaniale relativa al mantenimento del cottage . Di detta concessione lo COGNOME procedeva a richiedere ulteriore rinnovo per il periodo compreso tra l’ 1.01.2008 e il 31.12.2013, senza tuttavia ottenere alcuna risposta né provvedimento dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
1.1.1. Alla luce RAGIONE_SOCIALE predette vicende, l’odierno ricorrente chiedeva in via principale l’annullamento del provvedimento impugnato e, in via subordinata, la riduzione dell’importo della sanzione in ragione del principio di irretroattività applicabile alla legge n. 296/2006, in virtù della quale era stata determinat a l’entità dell’indennizzo, in quanto entrata in vigore successivamente al periodo individuato dall’Amministrazione come di occupazione abusiva.
1.2. Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 6078/2015 (pubblicata il 17.03.2015), rigettava la domanda dello COGNOME, riconoscendo la legittimità del provvedimento impugnato.
Avverso detta sentenza interponeva gravame l’odierno ricorrente dinanzi alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, la quale con sentenza n. 7244/2018 (pubblicata il 16.11.2018) -rigettava l’appello, condannando lo COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
A sostegno della sua decisione, la Corte territoriale sosteneva che:
l’occupazione del bene oggetto di controversia doveva considerarsi sine titulo in quanto:
l’atto di concessione dell’area demaniale marittima n. 100/1999, scaduto il 31.12.2001 andava riferito all’originaria licenza edilizia n. 63 rilasciata alla società RAGIONE_SOCIALE nel 1957 dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nella quale si prevedeva esclusivamente la realizzazione di uno stabilimento balneare con presenza di cabine cottages per l’utilizzo unicamente estivo con divieto di pernottamento. L’atto in questione, pacificamente scaduto, non avrebbe potuto essere interpretato estensivamente, non potendosi ritenere né prorogato nel tempo né tantomeno ampliato nel suo contenuto tipico, stante il fatto che erano risultate realizzate rilevanti modificazioni di carattere edilizio che avevano mutato l’assetto edilizio-urbanistico dell’area in maniera irreversibile quali, a titolo esemplificativo: sostituzioni di strutture amovibili in legno con manufatti inamovibili in muratura, realizzazione di tettoie e pavimentazioni, demolizioni e rifacimento di tramezzature, trasformazione della destinazione d’uso della cabina balneare in edificio adibito ad abitazione civile;
la cosiddetta «autorizzazione postuma» rilasciata del Direttore della circoscrizione – Sezione Doganale (Prot. n. 91737 del 18.11.2004) non spiegava alcun effetto ai fini del rilascio della concessione dell’area demaniale, né poteva considerarsi atto equipollente alla proroga della stessa, essendo stata emanata da un’autorità diversa tanto dall’RAGIONE_SOCIALE, titolare del bene, quanto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, delegato in qualità di gestore del rapporto concessorio;
neppure poteva ritenersi avere avuto efficacia modificativa dell’originario provvedimento concessorio la determinazione dirigenziale del 20.01.2005 che aveva autorizzato il subingresso dello
COGNOME alla COGNOME in quanto, benché trattavasi di provvedimento effettivamente connotato da ambiguità, esso non risultava né aver prorogato la concessione del bene pubblico, né averne ampliato l’oggetto;
infine, gli abusi edilizi realizzati apparivano di per sé insuscettibili di sanatoria ex art. 33 legge 28 febbraio 1985, n 47 (sul c.d. condono edilizio), giacché la costruzione del manufatto su area demaniale ne aveva determinato l’appartenenza a questa in forza del generale principio dell’accessione ex art. 934 cod. civ. (Cass. Sez. 2, n. 2528 del 31.01.2017), applicabile anche ai beni demaniali, così integrando una causa ostativa al rilascio della concessione in sanatoria;
non aveva pregio la doglianza avente ad oggetto l’erronea applicazione al caso di specie dell’art. 1, comma 257, della legge n. 296/2006, sul presupposto dell’asserita irretroattività della legge menzionata in quanto disciplina avente natura innovativa.
A tal proposito il giudice di seconde cure condivideva quanto chiarito dal Tribunale riguardo al divieto di retroattività, sostenendo che esso non ha copertura costituzionale, ad eccezione che in materia penale, cosicché è del tutto legittimo che la legge fin. n. 296/2006, avente natura interpretativa, applichi retroattivamente misure sanzionatorie in virtù RAGIONE_SOCIALE quali l’indennizzo è commisurato al canone di mercato in caso di occupazione abusiva di un bene demaniale, quando essa consiste – come nella specie – nella realizzazione di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo, ovvero in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale.
Lo COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la citata sentenza di appello, articolandolo in quattro motivi.
Resistevano con distinti controricorsi le intimate RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE.
Con ordinanza interlocutoria n. 28566 del 13.10.2023 questa Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui «prevede l’applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell’indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi espressi nel precedente D.L. n. 400 del 1993», in riferimento anche agli artt. 3, 23, 24, comma 1, artt. 102, comma 1, e 111, comma 1 e 2, e 117 della Costituzione (dubitando della natura -interpretativa o innovativa -di detta norma).
4.1. Con sentenza n. 70 del 23.04.2024 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale, sull’assunto della portata innovativa -non già interpretativa -del citato secondo periodo del comma 257 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, così riconoscendone la legittima portata retroattiva e ritenendo, quindi, adeguata la giustificazione del legislatore sul piano della ragionevolezza.
4.2. Il P.G. ha depositato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Anche le difese RAGIONE_SOCIALE parti hanno depositato memoria.
RITENUTO IN DIRITTO
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.: si censura la dichiarazione di inammissibilità del documento che l’odierno ricorrente aveva depositato nel corso de ll’udienza di precisazione RAGIONE_SOCIALE
conclusioni tenutasi dinanzi alla Corte di appello il 16.11.2018. Ciò sul presupposto che trattavasi di documento di formazione successiva (02.02.2018, NUMERO_DOCUMENTO) rispetto all’introduzione del giudizio di appello, in cui venivano riconosciuti dal Direttore RAGIONE_SOCIALE Risorse Idriche e Difesa del Suolo l’uso abitativo del complesso ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , nonché la carenza di legittimazione passiva (sostanziale) del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per essere lo stesso privo di funzioni e competenze amministrative in ordine alle concessioni di tale complesso, spettanti, invece, alla Regione Lazio, avendo il RAGIONE_SOCIALE solo funzioni limitate a fini turistici e ricreativi. Alla Corte distrettuale si contesta di aver immotivatamente dichiarato inammissibile l’istanza di nuova produzione documentale e di rimessione in termini, senza aver considerato né il carattere sopravvenuto del documento, né la sua indispensabilità; da cui l’erroneo assunto secondo il quale la concessione demaniale era da ritenersi ancorata alle prescrizioni di cui alla licenza edilizia del 1957 rilasciata dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla citata società RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
Si osserva, innanzitutto, che, nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c. (già modificata nel suo testo dall’art. 46, comma 18, della l. 18 giugno 2009, n. 69), quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012, come nel caso di specie, risultando pubblicata la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE oggetto di appello il 17 marzo 2015), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'”indispensabilità” RAGIONE_SOCIALE stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver
potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Ciò premesso, occorre, innanzitutto, dare atto che la censura non si rivolge propriamente ad una statuizione di inammissibilità della produzione d ell’indicato documento adottata con la sentenza di appello impugnata, bensì ad una delibazione di inammissibilità operata dalla Corte laziale all’udienza fissata per la decisione della causa in appello nelle forme di cui all’art. 281 -sexies c.p.c., nel contesto della relativa precisazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni e all’esito della discussione. Tale declaratoria non risulta, invero, autonomamente e specificamente ribadita nella sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con la quale la stessa ha deciso sui motivi propriamente formulati con l’atto di gravame dall’odierno ricorrente. Tuttavia, si deve ritenere che essa sia stata implicitamente reiterata nel riconoscere al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la legittimazione sostanziale ad emettere il provvedimento in questione per il complesso ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Da ciò l’ammissibilità della doglianza in esame (non potendo, peraltro, essere fatta valere in modi e tempi diversi), che, però, non può essere considerata fondata per le ragioni che seguono.
Solo per completezza appare utile rimarcare che -con riferimento a l ‘fatto’ ricondotto a tale documento (ove anche ammissibile), che ha costituito oggetto di controversia, essendone stata contestata nell’udienza in cui è stato prodotto l’ammissibilità siccome afferente a domanda nuova, senza la conseguente accettazione del contraddittorio -non è stato denunciato il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. , affermandosene la ‘decisività’, essendosi il ricorrente limitato a dedurre la sola violazione del l’art. 345 c.p.c., denunciandola ai sensi del n. 4 del citato art. 360.
Tanto premesso , va evidenziato che il ‘nuovo’ documento la cui formazione era sopravvenuta il 2 febbraio 2018 – è stato prodotto a sostegno della modificazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni (sia di quelle rassegnate con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che di quelle rappresentate nell’atto di appello) da parte dell’appellante alla richiamata udienza del 16.11.2018, con cui lo stesso ‘per la prima volta’ ha inteso prospettare la carenza di legittimazione sostanziale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per essere privo RAGIONE_SOCIALE competenze ad emettere provvedimento per il complesso ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Ciò vuol significare che la titolarità sostanziale di detto potere da parte del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE non aveva costituito mai -prima di detta udienza – oggetto di contestazione dal parte dell’attuale ricorrente (che aveva, infatti, impugnato il provvedimento ingiuntivo di pagamento dell’indennità di occupazione emesso da detto RAGIONE_SOCIALE senza porre in dubbio siffatta titolarità in capo allo stesso), non essendo stata prospettata né con l’atto introduttivo iniziale del giudizio, né fatta valere nel termine preclusivo di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., né risultando dedotta con uno specifico motivo di appello, come detto, così divenendo non più controversa.
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 16904/2018, che si riaggancia a Cass. SU n. 2951/2016, nonché Cass. n. 17092/2016, Cass. n. 7776/2017 e Cass. n. 16814/2024) ha chiarito che la titolarità attiva o passiva della situazione soggettiva dedotta in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, così che grava sull’attore l’onere di allegarne e provarne i fatti costitutivi, salvo che il convenuto li riconosca o svolga difese incompatibili con la loro negazione, ovvero li contesti oltre il momento di maturazione RAGIONE_SOCIALE preclusioni assertive o di merito. Senonché, nel caso in esame, è indubbio che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE non
abbia mai negato o contestato di essere titolare del rapporto sostanziale, ritenendo, anzi, di aver legittimamente emanato il provvedimento oggetto di controversia sul presupposto della sua titolarità sostanziale all’esercizio dell’inerente potere.
Ma vi è ancora un’altra ragione che depone nel senso del rigetto del motivo qui in esame, ovvero che, in ogni caso, il menzionato documento non era munito di decisività per avallare la fondatezza della ‘modificata conclusione’ da parte dello COGNOME alla predetta udienza del 16.11.2018.
A tal proposito è, infatti, conferente precisare che nella nota protocollare della Regione Lazio del 2.02.2018 -il cui contenuto è riportato nel ricorso – vengono ribadite le funzioni amministrative dei Comuni (quindi anche del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che aveva emesso il provvedimento di ingiunzione impugnato) sul demanio marittimo relative ad usi turistici e ricreativi, secondo quanto stabilito dalla L.R. n. 13/2007, e si invitano gli enti territoriali a trasmettere i fascicoli relativi ad usi diversi del demanio marittimo, incluso quello abitativo, alla Regione Lazio.
Nulla, pertanto, si sarebbe potuto dallo stesso desumere né in merito al preteso uso abitativo dei cottages del complesso ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , né in ordine alle attività subdelegate dalla Regione Lazio al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. In realtà la Regione si riferisce a tale complesso solo per comunicare al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di attenersi agli adempimenti -non specificamente individuati -derivanti dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE funzioni amministrative sul demanio marittimo; ciò implica che a detto documento non avrebbe potuto essere ricondotta alcuna rilevanza quale titolo ricognitivo di qualsivoglia concessione ad edificare sull’indicato demanio.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 32 e 38 legge 28 febbraio 1985, n. 47 (sul c.d. ‘ condono edilizio ‘ ).
Il ricorrente contesta la statuizione della Corte distrettuale secondo la quale gli abusi edilizi sarebbero insuscettibili di sanatoria per inapplicabilità della disciplina di cui alla legge n. 47/1985, in quanto realizzati su area demaniale.
Ad avviso dello stesso COGNOME , invece, l’art. 32 della legge richiamata non considera ostativo al rilascio della sanatoria il fatto che gli abusi insistano sul suolo pubblico, mentre l’art. 33 della stessa legge stabilisce che le opere non suscettibili di sanatoria sono solo quelle re alizzate in presenza dei vincoli, da cui consegue l’inedificabilità RAGIONE_SOCIALE aree. In ogni caso, la dante causa dell’odierno ricorrente aveva presentato domanda di condono e, ai sensi dell’art. 38 l. n. 47/1985 , dal momento della presentazione di istanza fino alla sua definizione sono sospesi tutti gli eventuali procedimenti di repressione RAGIONE_SOCIALE abusi eventualmente esistenti.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 1, comma 257, della legge n. 296/2006.
Con tale censura si sostiene che la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile al rapporto concessorio per cui è causa la norma menzionata, anziché l’art. 8 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 (convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494), laddove detta norma, che commisura l’indennizzo ai valori di mercato, era da ritenersi inapplicabile per l’insussistenza del presupposto di legge, ossia che le opere fossero state realizzate su beni demaniali in difetto assoluto di titolo abilitativo, o di titolo incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale.
Nella prospettazione del ricorrente, invece, l’occupazione dell’area demaniale e il mantenimento in essere del manufatto ivi insistente erano stati espressamente autorizzati ad uso «residenza estiva» tanto dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (prot. n. 91737 del 18.1 1.2004), quanto dall’Amministrazione comunale, che -volturando l’autorizzazione postuma in favore dello COGNOME – dichiarava espressamente la sanatoria RAGIONE_SOCIALE difformità e l’ottenimento, da parte di quest’ultimo, del subingresso nella concessione demaniale marittima.
Il secondo e terzo motivo -che possono essere esaminati congiuntamente in quanto all’evidenza connessi sono anch’essi infondati.
4.1. La Corte territoriale ha adeguatamente spiegato che:
l’atto di concessione dell’area demaniale marittima n. 100/1999, scaduto il 31.12.2001, va riferito all’originaria licenza edilizia n. 63 rilasciata alla società RAGIONE_SOCIALE nel 1957 dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE;
l’atto in questione, pacificamente scaduto, non può essere interpretato estensivamente, non può né ritenersi prorogato nel tempo né tantomeno ampliato nel suo contenuto tipico; la cosiddetta «autorizzazione postuma» non spiega alcun effetto ai fini del rilascio della concessione dell’area demaniale, né può considerarsi atto equipollente alla proroga della stessa, essendo stata emanata da un’autorità diversa tanto dall’RAGIONE_SOCIALE, titolare del bene, quanto dal RAGIONE_SOCIALE, da quest’ultima delegato in qualità di gestore del rapporto concessorio;
-non ha efficacia modificativa dell’originario provvedimento concessorio la determinazione dirigenziale del 20.01.2005 che ha autorizzato il subingresso dello COGNOME alla COGNOME, senza, tuttavia, né prorogare la concessione del bene pubblico, né ampliarne l’oggetto (che -come accertato dalla Corte di appello con apprezzamento di fatto
insindacabile in questa sede – era, invece, stato successivamente mutato illegittimamente con l’esecuzione di rilevanti interventi costruttivi che avevano inciso sull’assetto edilizio -urbanistico dell’area in modo irreversibile, con la conseguente modificazione della destinazione d’uso della cabina balneare, trasformata in edifico adibito a civile abitazione).
Le appena richiamate statuizioni del giudice distrettuale risultando condivisibili nella parte in cui ha qualificato come abusivo il manufatto in difetto assoluto di titolo abilitativo.
Questa Corte ha, infatti, avuto modo di affermare che le costruzioni su terreni demaniali non sono suscettibili di sanatoria a norma RAGIONE_SOCIALE artt. 31 ss. legge n. 47/1985, in quanto parte dello stesso terreno demaniale, per il principio generale dell’accessione ex art. 934 cod. civ., cui non si sottraggono i beni demaniali (Cass. n. 2528/2017; Cass. n. 9476/1995 e Cass. SU n. 427/1988; cfr. pure Cass. n. 17757/2014, per la quale anche l’eventuale formazione del silenzio -assenso all’istanza di concessione in s anatoria è inidonea a sanare il carattere abusivo di una costruzione derivante dall’occupazione di un’area demaniale).
Ne consegue la sussistenza del presupposto (totale assenza di titolo edilizio) sul quale la disciplina della legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 257, della L. n. 296/2006) ha basato l’obbligo di pagamento dell’indennizzo , con conseguente rigetto dei due motivi in esame, in quanto con entrambi è stata infondatamente censurata la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto che gli interventi per i quali era stata presentata domanda di condono non fossero dotati di titolo abilitativo né suscettibili di sanatoria.
5 . Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 1, comma 257, della legge n. 296/2006, RAGIONE_SOCIALE artt. 31, 32, 35 e 38 della legge n.
47/1985, dell’art. 32 D.L. n. 269/2003 (come convertito dalla legge n. 326/2003), nonché dell’art. 3 della legge n. 212/2000, dell’art. 1 della legge n. 689/81 e dei principi generali in materia di irretroattività della normativa sanzionatoria.
Il ricorrente censura il capo della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile alla richiesta di indennizzo avanzata dal RAGIONE_SOCIALE la norma di cui all ‘art. 1, comma 257 della legge fin. n. 296/2006, seppure entrata in vigore il 1° gennaio 2007 e, dunque, illegittimamente anche con riferimento al l’intervallo temporale compreso tra l ‘ 1.01.2002 e il 31.12.2006, rispetto al quale la norma non avrebbe dovuto trovare applicazione ratione temporis .
L’applicazione retroattiva della legge in esame, prosegue il ricorrente, è stata giustificata dalla Corte distrettuale sul presupposto che il principio di irretroattività non avrebbe copertura costituzionale, ad eccezione della materia penale. Attribuendo portata interpretativa alla norma in questione, la Corte di appello ha ritenuto legittima la commisurazione retroattiva del canone di indennizzo ai prezzi di mercato. Nella prospettazione del ricorrente, di contro, il secondo periodo della disposizione menzionata non avrebbe portata interpretativa, bensì innovativa, e sarebbe perciò contraria sia all’art. 3, legge 27 luglio 2000, n. 212 (qualora si volesse attribuire natura tributaria all’indennizzo), sia all’art. 1 legge 24 novembre 1981, n. 689 (qualora si volesse attribuire valore di sanzione amministrativa all’indennizzo), poiché entrambe espressamente vietano l’imposizione di sanzioni rispettivamente tributarie e amministrative attraverso leggi che operino retroattivamente. In tesi: sarebbe necessario applicare, in sostituzione di quelli introdotti dall’art. 1, comma 257, della legge n. 296 del 2006, i criteri di computo in precedenza dettati dall’art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la
determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494.
5.1. Il motivo è infondato per le ragioni che seguono.
5.2. Ai fini della comprensione del significato e della portata RAGIONE_SOCIALE norme coinvolte, è opportuno trascrivere integralmente i testi RAGIONE_SOCIALE norme oggetto di esame.
L’art. 8 del D.L. 5 Ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 e ss.mm.) così dispone: « 1. A decorrere dal 1990, gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e RAGIONE_SOCIALE pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del presente decreto, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento ».
La misura del canone annuo per le utilizzazioni dei beni demaniali marittimi è a sua volta determinata, in applicazione del D.L. n. 400 del 1993, dalle dettagliate indicazioni di legge ex art. 3, comma 1.
Il comma 257 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 sancisce che: «Le disposizioni di cui all’articolo 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze. Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è
commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione RAGIONE_SOCIALE misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi».
Il secondo periodo della disposizione in esame, indirizzandosi alla realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo difforme, introduce nuovi criteri di determina zione dell’indennizzo, commisurati ai valori di mercato, anziché utilizzare i criteri legislativi espressi nel D.L. n. 400 del 1993, in virtù dei quali, una volta quantificato il canone annuo (sulla base di coefficienti specifici dettagliati nell’art. 3 de llo stesso D.L. n. 440 del 1993), il quantum dell’indennizzo si ricava moltiplicando il canone così ottenuto per il duecento per cento, nel caso di occupazione abusiva; per il cento per cento nel caso di utilizzazione difforme.
5.2.1. Nell’interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme sopra menzionate resa dalla Corte costituzionale, il legislatore ha voluto fissare la modalità di calcolo RAGIONE_SOCIALE indennizzi dovuti, sin dall’origine, anche per le più gravi condotte di occupazione, consistenti «nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale».
La Corte costituzionale ha precisato che nel contesto normativo dettato dal D.L. 5 Ottobre 1993, n. 400 è intervenuto, appunto, il primo periodo del comma 257 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, che ha voluto chiarire la portata della precedente disposizione, prevedendo che il citato art. 8 si interpreta «nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze».
In conseguenza di tale ultimo intervento legislativo, le occupazioni di beni demaniali che, oltre a essere sine titulo o non conformi alla concessione rilasciata, erano anche caratterizzate dalla realizzazione, sulle aree occupate, di opere inamovibili abusive sono state espunte dall’ambito applicativo RAGIONE_SOCIALE illustrati criteri di quantificazione dell’indennizzo richiamati dall’interpretato art. 8 del d.l. n. 400 del 1993, come convertito.
A quest’ultima tipologia di occupazioni illegittime, all’evidenza più gravi perché caratterizzate anche dalla non assentita trasformazione irreversibile dell’area demaniale, si riferisce il secondo periodo del citato comma 257, ove è previsto un indennizzo più oneroso, al fine di scoraggiare il fenomeno dell’abusivismo.
Come anticipato in parte narrativa (punto 4.1.), la Corte costituzionale (v. sentenza n. 70 del 2024, punto 8) ha dichiarato non fondata la questione -sollevata in via incidentale da questa Sezione con l’ordinanza interlocutoria n. 28566/2023 emessa nel corso di questo stesso giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, legge fin. n. 296 del 2006, riconoscendo (comunque) legittima la portata retroattiva della norma di cui si discute pur se avente natura innovativa.
Il Giudice RAGIONE_SOCIALE leggi -con la citata sentenza n. 70 del 2024 – ha ritenuto, quindi, adeguata la giustificazione del legislatore sul piano della ragionevolezza, sia avuto riguardo alla tutela dell’affidamento (considerato il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento legislativo , la prevedibilità della modifica retroattiva e la proporzionalità dell’incisione) , sia tenendo in debita considerazione le «circostanze di fatto e di contesto entro cui l’intervento legislativo è maturato», atteso che pertiene al prudente apprezzamento del legislatore la possibilità di
modificare l’assetto di rapporti già definiti da precedenti leggi, quando risulti in concreto che queste ultime abbiano prodotto risultati non rispondenti a criteri di equità.
Nella sostanza, nel respingere la riportata questione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta del legislatore di attribuire, per le ipotesi più gravi di occupazione illegittima, efficacia retroattiva a una norma innovativa, che peraltro non può ritenersi assolutamente inaspettata, abbia operato un razionale contemperamento tra ragioni antagoniste. In particolare, l’affidamento riposto dagli autori di tali condotte illegittime nella stabilità della disciplina concernente i conseguenti indennizzi è da considerarsi recessivo rispetto a differenti esigenze, pure costituzionalmente tutelate, quali la valorizzazione economica dei beni demaniali e, prima ancora, la più adeguata difesa di questi ultimi, «in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino ». Per il Giudice RAGIONE_SOCIALE leggi , l’intervento del legislatore è volto anche ad eliminare inique sperequazioni, dal momento che, in precedenza, gli indennizzi richiesti agli autori di occupazioni aggravate dalle trasformazioni irreversibili oggi interessate dalla modifica del sistema di computo erano i medesimi previsti per condotte più lievi, vale a dire per mere occupazioni senza realizzazione di opere inamovibili.
5.3. Alla luce di quanto sopra chiarito dalla Corte costituzionale (pur sul presupposto del rilevato carattere innovativo e non interpretativo della norma oggetto della questione di legittimità costituzionale), è da considerare, dunque, infondato il motivo in discorso, mediante il quale il ricorrente ha inteso confutare la sentenza della Corte di appello in ordine alla ravvisata applicazione retroattiva, ai sensi dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, legge fin. n. 296 del 2006, RAGIONE_SOCIALE misure sanzionatorie in virtù RAGIONE_SOCIALE quali l’indennizzo è commisurato al canone
di mercato in caso di occupazione abusiva di un bene demaniale, quando essa consiste – come nella specie – nella realizzazione di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo, ovvero in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale.
In definitiva, alla stregua RAGIONE_SOCIALE complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, distintamente in favore di ciascuna RAGIONE_SOCIALE parti controricorrenti, nei sensi di cui in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio:
in favore di RAGIONE_SOCIALE , che liquida in € . 5.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre a contributo forfettario, iva e c.p.a. nella misura e sulle voci come per legge;
in favore d ell’RAGIONE_SOCIALE, che liquida in €. 5.500,00 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della Seconda