Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4784 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4784 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
nei giudizi riuniti R.G. n. 08555/2022 e R.G. n. 9353/2022
ricorso N.R.G. 8555/2022
promosso da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: brunosedEMAILordineavvocatiroma.org), in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Agenzia del Demanio , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
Roma Capitale , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAILcomuneEMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo negli uffici dell’Avvocatura
Capitolina, in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
e
ricorso n. 9353/2022
promosso da
NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME , rappresentate e difese dall’avv. prof. NOME COGNOME (PEC: EMAIL), dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL), elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avv. prof. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in atti;
ricorrenti
contro
Agenzia del Demanio , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
Roma Capitale
, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAILcomuneEMAILromaEMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo negli uffici dell’Avvocatura Capitolina, in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 6352/2021 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 29/09/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Cons. NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia del Demanio ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 12058/2015, con cui, espletata una CTU, per accertare la natura degli interventi edilizi posti in essere da NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, è stata accolta la domanda di queste ultime, con disapplicazione, ai sensi degli artt. 4 e 5 della l. n. 2248 del 1865, Allegato E, dei provvedimenti emanati dall’ufficio del Comune di Roma, riguardanti le posizioni amministrative di concessionari di beni demaniali marittimi sottoposti alla scadenza del termine finale, rimasti nel possesso dei lotti in precedenza assegnati in concessione per uso residenziale estivo, così come individuati in atti, con conseguente rideterminazione delle somme di denaro dovute per il periodo di occupazione abusiva dei beni stessi, ubicati nel Lido di Ostia, INDIRIZZO dal 01/01/2002 al 31/12/2007 per i titoli indicati nei provvedimenti.
A sostegno del gravame l ‘ Agenzia ha censurato la sentenza appellata per avere il Tribunale, a suo dire, fatto una errata applicazione dei principi di diritto con riferimento alla disciplina vigente in materia di occupazione di aree demaniali. Ha altresì censurato la sentenza, anche nella parte relativa al calcolo degli interessi.
Roma Capitale ha presentato intervento adesivo chiedendo anch’essa la riforma della sentenza di primo grado.
Nel contraddittorio con le appellate, la Corte d’appello ha accolto l’impugnazione , rigettando le domande da queste ultime proposte in promo grado.
In primo luogo, la menzionata Corte ha rilevato, in punto di fatto, che NOME COGNOME e NOME COGNOME pur avendo espressamente
richiesto il rinnovo della originaria concessione demaniale, non l’ avevano mai ottenuta, dovendo pertanto ritenersi che, per esse, l ‘ occupazione del suolo demaniale fosse sine titulo , con la conseguenza che, già per questo, la domanda di accertamento negativo della sussistenza dei presupposti per la determinazione degli indennizzi avanzata nei loro confronti non era da ritenersi meritevole di accoglimento.
Ciò premesso, e sempre in fatto, ma con specifico riferimento alle posizione comune a tutte le parti appellate, la Corte territoriale ha ritenuto di non poter condividere la ricostruzione operata dal CTU e, quindi, dal Giudice di prime cure, con riferimento alla rilevanza ed alla incidenza delle coperture in legno o in PVC delle strutture ricreative (cottage) costituenti tettoie. Il CTU aveva ricompreso dette opere tra quelle ‘ amovibili ‘ , in quanto realizzate in legno o in PVC, perché potevano essere smontate, recuperate e riproponibili altrove, dovendo considerarsi inamovibili i muretti, i volumi tecnici in muratura, porzioni di solaio di copertura (e cioè le tettoie in muratura), le tramezzature interne e i baggioli esterni per la seduta, perché la loro rimozione comporta la distruzione delle opere. Lo stesso CTU aveva evidenziato come tutte le opere sopra descritte fossero prive di qualsiasi titolo abilitativo (almeno in gran parte) e comunque che, pur essendo interventi edilizi minori, erano sottoposte a D.I.A. e non erano sanabili ai sensi della l. n. 380 del 2001, poiché l’immobile che le comprende va era sottoposto al vincolo 1497/39 (Ministero Beni Attività Culturali prot. 2896/04). Per questi motivi, infatti, non era stata rinnovata la concessione demaniale alla COGNOME ed alla COGNOME.
La Corte territoriale non ha condiviso l’opinione secondo la quale le tettoie in questione dovessero ritenersi amovibili, poiché l’opera era soggetta al permesso a costruire, a dimostrazione della incidenza a livello urbanistico della stessa, e perché era innegabile il grave impatto che la struttura aveva rispetto all’area sottoposta al vincolo .
La Corte ha aggiunto che non era contestato che dette tettoie presentassero una struttura stabile, e non certamente provvisoria, o facilmente smontabile, dato che erano collegate al suolo tramite pilastrini in ferro o in legno annegati in un basamento di calcestruzzo, così incidendo decisamente anche sull’aspetto esteriore del cottage a cui è stata data una maggiore superficie occupata.
Del resto, ha precisato la Corte, non risultava che i titolari della concessione rimuovessero annualmente tali opere né tale circostanza era stata mai affermata, con la conseguenza che era evidentemente venuta meno anche la destinazione esclusivamente estiva del cottage, con chiaro aumento della superficie utilizzata stabilmente. Anche a voler fare riferimento alla Circolare n. 22 del 22/05/2009 del Ministero dei Trasporti, della Agenzia del Demanio e della Agenzia del Territorio richiamata dal CTU, secondo il Giudice del gravame, dovevano ritenersi di facile sgombero o rimozione le opere le cui strutture potevano essere effettuate con montaggio di parti elementari come quelle costruite con strutture in legno ecc., ma nel caso di specie si trattava di strutture, come detto, certamente impegnative e tutt’altro che facilmente smontabili rispetto anche alle stesse dimensioni dei singoli cottage.
La Corte ha, quindi, ritenuto che, pur dovendosi fare espresso richiamo alla disciplina d ell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006, con le conseguenti diversità di calcolo – a seconda che si tratti anche di opere amovibili o inamovibili, prive di qualsiasi titolo abilitativo o che, pur avendolo, sono incompatibili con la destinazione e la disciplina del bene demaniale, come appunto nei casi specie -fosse corretto il calcolo degli indennizzi come operato con i provvedimenti impugnati per cui le opposizioni e le relative domande di accertamento negativo proposte devono essere respinte in riforma della sentenza appellata.
Avverso tale decisione ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a tre motivi.
Il ricorso è stato rubricato al N.R.G. 8555/2022.
L’Agenzia del Demanio e Roma Capitale si sono difese con controricorso, che hanno notificato anche ad NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La ricorrente e l ‘Agenzia del Demanio hanno depositato memorie difensive in vista dell’adunanza in camera di consiglio.
Avverso la stessa decisione hanno presentato separato ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a quattro motivi.
Il ricorso è stato rubricato al N.R.G. 9353/2022.
L’Agenzia del Demanio e Roma Capitale si sono difese con controricorso, che hanno notificato anche a NOME COGNOME
L’Agenzia del Demanio ha depositato memoria difensiva in vista dell’adunanza in camera di consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorso N.R.G. 8555/2022
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della norma di cui all ‘ art. 8 d.l. n. 400 del 1993, conv. con modif. in l. n. 494 del 1993 e dell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006.
Secondo la ricorrente, solo il primo periodo del comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006 ha valenza interpretativa, e dunque retroattiva, e riguarda le occupazioni che si risolvono nella utilizzazione dei beni del demanio marittimo senza titolo concessorio o in difformità dal titolo (per le quali è previsto un indennizzo pari al canone che sarebbe stato dovuto, maggiorato rispettivamente del 200% e del 100%). Il secondo periodo del comma 257 dell’art. cit., invece, riguarda ipotesi del tutto nuove, ove le occupazioni si sostanziano nella realizzazione, sui beni demaniali, di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di un titolo abilitativo che, per il suo contenuto, è incompatibile con la
destinazione e la disciplina del bene demaniale (ai quali si applica una indennità calcolata secondo i valori di mercato).
In tale ottica, la parte ha affermato che la Corte d’appello è incorsa in errore, nella parte in cui ha statuito come segue: « … Da tutto ciò scaturisce che pur dovendosi fare espresso richiamo alla disciplina di cui alla L. 296/06, art. 1 commi 250,252,257, alla L. 494/93 e succ. mod. con le conseguenti diversità di calcolo a seconda che si tratti anche di opere amovibili o inamovibili, prive di qualsiasi titolo abilitativo o che pur avendolo sono incompatibili con la destinazione e la disciplina del bene demaniale come appunto nei casi specie, corretto appare il calcolo degli indennizzi come operato con i provvedimenti impugnati per cui le opposizioni e le relative domande di accertamento negativo proposte devono essere respinte in riforma della sentenza appellata.»
In particolare, la ricorrente ha dedotto che la Corte non ha tenuto conto che la situazione del cottage era la medesima di quanto la Capitaneria di Porto l’aveva data in concessione alla ricorrente, sicché, al massimo, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 8, d.l. n. 400 del 1993, quale utilizzazione difforme dal titolo concessorio, e non quella prevista all’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
In tale ottica, la parte ha dedotto che, in relazione al cottage di cui si tratta un titolo concessorio era presente, in quanto a suo tempo la Capitaneria di Porto, dopo la revoca della concessione alla società RAGIONE_SOCIALE, rilasciò la concessione demaniale in favore di tutti gli occupanti (tra cui l’attuale ricorrente), e quindi un valido titolo esisteva, fermo restando che era irrilevante il successivo rinnovo o meno della concessione, poiché l’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 si applicava, non solo in caso di occupazione in difformità dal titolo, ma anche all’occupazione senza titolo.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, per avere la sentenza impugnata
applicato l’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 al caso di specie, mentre tale disposizione non poteva avere applicazione per il periodo anteriore al 01/01/2007, data di entrata in vigore della norma, poiché la legge non dispone che per l’avvenire e che la disposizione questione non aveva natura interpretativa, ma innovativa.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 257 , l. n. 296 del 2006 e l’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti avente ad oggetto l’esistenza/inesistenza dell’occupazione del bene demaniale con ‘opere inamovibili’ , con violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.
La ricorrente ha censurato la statuizione della Corte d’appello, nella parte in cui ha applicato il criterio di determinazione dell’indennizzo previsto dall’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, invece che quello previsto dall’art. 8 d.l. n. 400 del 1993, ritenendo che la sentenza avesse travisato le risultanze istruttorie , con violazione dell’art. 116 c.p.c., senza tenere conto che la ricorrente non aveva posto in essere opere edilizie rilevanti ai fini dell’art. 1, comma 257, essendo il cottage stato oggetto di concessione demaniale nello stato in cui si trovava.
La questione è dalla ricorrente ritenuta rilevante, in quanto se la Corte territoriale avesse correttamente applicato la norma al caso di specie, non avrebbe dovuto esaminare altri aspetti, applicando pacificamente l’art. 8 del d.l. 400 del 1993.
La ricorrente ha, quindi, rilevato che, invece, la Corte ha voluto applicare l’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, ma non ha compiuto correttamente gli accertamenti che la norma imponeva, perché ha ritenuto sussistere opere inamovibili, in aperta violazione delle stesse norme di carattere amministrativo emesse dall’Agenzia del Demanio (come ad esempio quella emessa dalla
stessa Agenzia del Demanio in data 21 febbraio 2007 prot. 2007/7162/DAO e la n. 22 del 2009) e ribaltando immotivatamente le risultanze della CTU espletata in primo grado.
Ricorso N.R.G. 9353/2022
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , della disciplina di settore e in particolare dell’art. 10 l. n. 88 del 2001 e dell’art. 24 c.n. , in relazione all ‘ esistenza di un titolo per l’occupazione del bene demaniale.
Dopo aver inquadrato la disciplina delle concessioni demaniali ad uso abitativo, le ricorrenti hanno dedotto che, nella specie, le concessione vennero rinnovate senza soluzione di continuità fino al 31/12/2001 e, con specifico riferimento alla posizione di NOME COGNOME (che la Corte di appello aveva ritenuto, come NOME COGNOME priva di titolo concessorio, perché scaduto), ha evidenziato che quest’ultima presentò domanda di rinnovo durante la vigenza dell ‘art. 10 l. n. 88 del 2001, che introdusse il rinnovo automatico, successivamente precisato dall’art. 13 l. n. 172 del 2003 (cui è seguita l’adozione da parte della Regione Lazio della D.G.R. n. 322 del 24/04/2008 per fornire indicazioni operative uniformi), con la conseguenza che doveva ritenersi anch’essa titolare di concessione demaniale, in quanto automaticamente rinnovata.
Le ricorrenti hanno aggiunto che, comunque, doveva ritenersi intervenuto il silenzio-assenso da parte del Comune.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993, conv. con modif. in l. n. 494 del 1993, e dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
Secondo le ricorrenti, la seconda parte dell’art. 1, comma 257, l. cit. introduce nell’ordinamento una nuova e più grave ipotesi di occupazione del demanio marittimo, la quale subisce un trattamento più oneroso e ragguagliato ai valori di mercato. Si distingue, quindi,
dalle mere utilizzazioni senza titolo e dalle utilizzazioni difformi dal titolo, a cui spetta un aumento percentuale del canone fissato, e riguarda i casi in cui l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale.
Le ricorrenti hanno, quindi, censurato la sentenza impugnata, non solo perché ha ritenuto che le tettoie fossero opere inamovibili, in contrasto con le valutazioni del CTU e con la circolare dell’Agenzia del Demanio e del Ministero delle Infrastrutture, ma anche perché ha ritenuto che tali opere avessero mutato la destinazione d’uso del bene demaniale facendo venir meno la destinazione esclusivamente estiva del cottage.
Ad opinione delle parti, l’ errore di fatto e di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata è stato evidente e macroscopico, visto che l’ipotesi prevista dall’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. cit. (che dà luogo all’indennizzo secondo i valori di mercato) richiede non il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile bensì un’occupazione del bene demaniale che consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili, che coincida anche con il difetto assoluto di titolo abilitativo ovvero in presenza di titolo abilitativo per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione del bene demaniale, essendo semmai il mutamento di destinazione d’uso rilevante ai f ini dell’applicazione del canone pe rcentualmente maggiorato ai sensi dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 in relazione ai casi di uso del bene difforme rispetto al titolo.
Altro profilo di erronea o falsa applicazione dell’art. 1, comma 257, l. cit., del tutto trascurato nella sentenza impugnata, nonostante il richiamo puntuale effettuato dalla precedente difesa ad altra pronuncia del Tribunale di Roma (sentenza n. 2232/2013) e nonostante il precedente pronunciamento della stessa Corte
d’Appello di Roma (sentenza n. 1392/2018), era dato dal fatto che la Corte d’appello non aveva considerato che detta disposizione era applicabile esclusivamente per le occupazioni perpetratasi dal 2007 in poi, non potendosi riconoscere effetto retroattivo al periodo precedente all’entrata in vigore della norma.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. , oltre che del principio di non contestazione e degli artt. 11 5 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d’appello disatteso le conclusioni del CTU, disposta per l’accertare l’esistenza di opere inamovibili, cui non erano seguite singolari contestazioni dalle controparti, discostandosi immotivatamente dalla stessa, mentre invece avrebbe dovuto ritenere che si trattava di opere che potevano essere facilmente rimosse e che comunque non vi erano emergenze in ordine alla loro inamovibilità, tenendo conto anche delle circolari amministrative sul punto e, in particolare della circolare dell’Agenzia del Demanio del 21/02/2007 prot. 2007/7162/DAO.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui all’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 e di cui all’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006 , nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio in relazione all’ipotesi di mutamento funzionale del manufatto insistente sul demanio marittimo.
Secondo le ricorrenti, la sentenza ha violato e falsamente applicato le norme sopra indicate, in quanto ha considerato applicabile il calcolo dell’indennità secondo valori di mercato per aver i ricorrenti mutato la destinazione d’uso dell’immobile, avendo le tettoie non rimosse aumentato le superficie, tale da considerarsi non più residenza estiva, non considerando, invece, che occorreva accertare l’esistenza di un’occupazione consistente nella realizzazione di opere inamovibili.
In altri termini, ad opinione delle ricorrenti, il Giudice avrebbe dovuto, prima di tutto, accertare l’esistenza o meno di un titolo concessorio in base al quale il soggetto utilizza il bene demaniale, e, in seconda istanza, verificare che l’occupazione fosse avvenuta mediante la realizzazione di opere inamovibili in difetto di titolo abilitativo o di titolo abilitativo incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale. La sentenza su tale aspetto era contraddittoria, in particolare rispetto a quanto affermato nella prima parte di pagina 3, riferita al mancato rinnovo della concessione, pur in presenza di istanze riguardo la sig.ra COGNOME e la motivazione della stessa pagina, non essendo la conclusione del ragionamento della Corte territoriale legata logicamente alle premesse. Quindi, le ipotesi astrattamente percorribili dalla sentenza impugnata erano o quella di sostenere che per gli anni per i quali si discute (2001-2006) le ricorrenti fossero prive di titolo, ma tale accertamento mancava assolutamente, ed era contrario al vero, oppure che, pur in presenza di un titolo concessorio, l’uso fatto fosse difforme.
Tali accertamenti di fatto, ad opinione delle ricorrenti, sono stati totalmente omessi e la motivazione non ne ha trattato minimamente, fermo restando che il mutamento funzionale del bene demaniale, erroneamente accertato dalla sentenza impugnata, poteva essere rilevante, non in sé e per sé considerato, ma solo se accertato come difforme dal titolo concessorio.
La continenza dedotta nel ricorso R.G.N. 8555/2022
3. La ricorrente NOME COGNOME ha dedotto che il procedimento R.G.N. 8555/2022 è in rapporto di continenza con quello pendente davanti a questa Corte, recante il R.G.N. 13047/2021, chiamato alla stessa adunanza in camera di consiglio, vertente, tra le stesse parti del procedimento R.G.N. 8555/2022, insieme ad altre.
La ricorrente ha, in particolare, dedotto che la controversia N.R.G. 8555/2022 è originata dalla notifica di un diverso atto con cui l’Agenzia del Demanio ha rideterminato l’importo dovuto dalla
signora COGNOME in misura inferiore, le due controversie vertono entrambe sulla determinazione dell’indennizzo richiesto dall’Agenzia del Demanio per il periodo 2002-2007.
Invocando il disposto dell’art. 39 c.p.c., e prospettando un vizio in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la ricorrente ha chiesto che il ricorso R.G.N. 8555/2022 venga riunito, ovvero trattato congiuntamente, a quello pendente tra le stesse parti ed afferente all’impugnazione della precedente richiesta di indennizzo.
Come emerge dalla descrizione della stessa ricorrente, è tuttavia evidente che la causa N.R.G. 13047/2021, pur vertendo (anche) tra le stesse parti della causa N.R.G. 8555/2022, ha ad oggetto l’accertamento della legittimità di atti diversi dell’Amministrazione, ove, anzi, l’ultimo, oggetto del presente giudizio, è stato dalla stessa Amministrazione adottato in sostituzione di quello precedente.
Non è pertanto ravvisabile la dedotta continenza, riguardando la materia del contendere due distinti atti amministrativi, potendo, semmai, ravvisarsi una mera connessione tra procedimenti, senza che emergano ragioni di opportunità che giustifichino una eventuale riunione.
La riunione del ricorso N.R.G. 9353/2022 al ricorso N.R.G. 8555/2022
Occorre, invece, procedere alla riunione del procedimento relativo al ricorso N.R.G. 9353/2022 al procedimento relativo al ricorso N.R.G. 8555/2022.
Si tratta, infatti, di riunione obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., che riguarda impugnazioni diverse contro la stessa sentenza (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27550 del 30/10/2018).
L’esame dei motivi di ricorso nel procedimento n. 8555/2022
Il primo motivo di ricorso nel procedimento n. 8555/2022 è inammissibile.
5.1. Come più volte affermato da questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui, come nella
specie, non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, in modo tale da consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima ancora di esaminare il merito della suddetta questione, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018).
5.2. Nella specie, il motivo, pur prospettando la violazione di legge, si fonda sulla prospettazione, in fatto, della circostanza che non era stata la ricorrente ad eseguire le opere considerate inamovibili, ai fini della determinazione dell’indennizzo al prezzo di mercato, avendo già trovato il bene nella situazione di fatto in cui si trovata.
Tale questione non risulta affrontata nella sentenza impugnata, né la parte, nel proporre ricorso per cassazione ha specificamente indicato dove aveva effettuato tale contestazione, riportando, come avrebbe dovuto, il contenuto dell’atto contenente tale rilievo.
La questione non può, dunque, essere esaminata per la prima volta in sede di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso nel procedimento n. 8555/2022 è infondato sia pure per le ragioni di seguito evidenziate.
6.1. Com’è noto, l’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 ( disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), conv. con modif. in l. n. 494 del 1994, ha così disposto: «1. A decorrere dal 1990, gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni
senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del presente decreto, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento».
L’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) ha stabilito che: «Le disposizioni di cui all’articolo 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze. Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi».
Questa Corte, in una prima pronuncia ha ritenuto che solo il primo periodo dell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006 costituisse una norma interpretativa, applicabile anche retroattivamente, mentre il secondo periodo ( «Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi» ) dovesse essere considerato come una norma innovativa, che ha introdotto una nuova fattispecie illecita, in aggiunta a quelle contemplate nella prima parte della disposizione, e ha previsto, per
esse, un diverso trattamento sanzionatorio, insuscettibile di applicazione alle utilizzazioni di beni del demanio marittimo antecedenti alla data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006 (Cass, Sez. 1, Ordinanza n. 24392 del 09/08/2023).
La Corte costituzionale -dopo aver dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, per mancanza delle specificazioni necessarie ai fini della valutazione della sussistenza o meno di un uso distorto del potere legislativo – ha ritenuto non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale della stessa norma, sollevate in relazione agli artt. 3 e 23 Cost. (Corte cost., Sentenza n. 70 del 23/04/2024).
In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, costituisce una norma innovativa, ma con effetto retroattivo, così voluta dal legislatore, in base ad una scelta normativa che ha superato il vaglio della Giudice delle leggi.
La menzionata Corte ha affermato che l’art. 1, comma 257, primo periodo, ha voluto precisare la portata della disposizione contenuta nell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 , prevedendo che tale disposizione si dovesse interpretare «nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze» , aggiungendo, nel successivo secondo periodo della stessa disposizione, diverse modalità di calcolo degli indennizzi per più gravi condotte di occupazione, consistenti «nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale».
La Corte costituzionale ha, quindi, ritenuto che la qualificazione in termini di norma d’interpretazione autentica è stata dal legislatore effettuata solo con riferimento all ‘ attribuzione di significato operata nel primo periodo del più volte citato comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006, con esclusione di quanto previsto nel successivo secondo periodo della stessa disposizione, che era senza dubbio una disposizione di carattere innovativo.
La menzionata Corte ha, infatti, evidenziato che, secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge, requisito essenziale affinché una disposizione possa essere considerata di interpretazione autentica è che essa esprima uno dei significati già appartenenti a quelli riconducibili alla previsione interpretata, mentre, nel caso di specie, per le occupazioni del demanio marittimo caratterizzate dalla compromissione irreversibile dell’area, il legislatore ha introdotto un sistema indennitario basato su un criterio – la commisurazione ai valori di mercato – del tutto diverso da quelli previsti dall ‘ art. 8 d.l. cit..
La stessa Corte ha, inoltre, rilevato che lo stesso legislatore ha chiarito, con l’utilizzo dell ‘ avverbio «invece» , la portata da attribuire a quest’ultima disposizione: per un verso, il comune significato dell’avverbio, in termini di opposizione o contrarietà rispetto a precedenti affermazioni, conferma il carattere innovativo del precetto dettato; sotto altra visuale, il termine impiegato evidenzia comunque lo stretto collegamento esistente con il periodo precedente e la conseguente necessità di considerare in un’ottica unitaria l’efficacia temporale del complessivo intervento legislativo.
In altre parole, il Giudice delle leggi ha ritenuto che, una volta delimitato il raggio d’azione delle ‘ utilizzazioni ‘ contemplate dalla disposizione retroattivamente interpretata (e dei connessi indennizzi parametrati ai canoni di concessione), il legislatore ha voluto disciplinare, con la medesima decorrenza, il diverso fenomeno delle
“occupazioni con opere”, applicando a esso l’innovativa (rispetto al criterio in precedenza applicato) regola del valore di mercato.
La Corte costituzionale ha, quindi, ricordato che, anche una norma innovativa può avere carattere retroattivo, in quanto, nonostante il divieto di retroattività della legge costituisca fondamentale valore di civiltà giuridica dell’ordinamento, esso, in forza dell’art. 25 Cost., riceve tutela privilegiata esclusivamente in materia penale.
Secondo la Corte, il legislatore ha voluto fissare la modalità di calcolo degli indennizzi dovuti, sin dall’origine, anche per le più gravi condotte di occupazione, consistenti «nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale» , evitando, in tal modo, che, per il passato, potessero sorgere dubbi sull’individuazione del criterio utilizzabile, così prevenendo il rischio di contrasti interpretativi.
Chiarita, dunque, la portata retroattiva anche della disposizione censurata, sebbene non interpretativa, la Corte ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale, evidenziando che la retroattività di una legge deve sempre trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata.
Con specifico riguardo al principio della tutela dell’affidamento, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo la quale esso costituisce ricaduta e declinazione soggettiva della certezza del diritto, che integra un elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, connaturato sia all’ordinamento nazionale, sia al sistema giuridico sovranazionale. Nondimeno, tale principio non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano
in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici, anche in relazione a diritti soggettivi perfetti, a condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l ‘ affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica.
In sintesi, la Corte costituzionale ha evidenziato che il menzionato affidamento non è tutelato in termini assoluti, ma è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e i valori costituzionali, da operarsi facendo riferimento ad alcuni parametri che la stessa Corte ha identificato con chiarezza. In primo luogo, va considerato il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo. Viene, poi, in rilievo la prevedibilità della modifica retroattiva, cosicché viene tutelato solo l’ affidamento generato da una situazione normativa sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento, di modo che la modifica intervenuta con effetto retroattivo giunga del tutto inaspettata. Ancora, interessi pubblici sopravvenuti possono comunque esigere interventi normativi che incidano su posizioni consolidate, purché nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi perseguiti. La valutazione, infine, deve essere sempre condotta tenendo in debita considerazione le circostanze di fatto e di contesto entro cui l’intervento legislativo è maturato. Pertiene, infatti, al prudente apprezzamento del legislatore la possibilità di modificare l ‘ assetto di rapporti già definiti da precedenti leggi, quando risulti in concreto che queste ultime abbiano prodotto risultati non rispondenti a criteri di equità.
Nella specie, la Corte costituzionale ha dato rilievo al fatto che i soggetti destinatari della disposizione censurata sono fruitori di manufatti abusivi ovvero difformi rispetto all’originaria concessione, sicché, tenuto conto del grado di meritevolezza dell ‘ affidamento –
che può influenzare il risultato dell’operazione di bilanciamento con gli interessi antagonisti, pure costituzionalmente protetti -ha ritenuto recessivo l’affidamento maturato in capo ai fruitori abusivi di beni pubblici – sui quali siano stati realizzati manufatti che incidono irreversibilmente sulle aree del demanio marittimo – rispetto ad altri interessi in gioco, che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino.
6.2. A seguito di tale pronuncia della Corte costituzionale, questa Corte, statuendo sul ricorso nel corso del quale era stata sollevata la questione di costituzionalità, ha affermato la retroattività della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 26829 del 16/10/2024).
6.3. Ritiene questo Collegio di dover condividere tale soluzione, che, pur distinguendo tra la portata interpretativa del primo periodo del comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006 e la portata innovativa del secondo periodo della stessa disposizione, ha ritenuto che il legislatore avesse voluto dare applicazione retroattiva al secondo periodo della norma, anche per il tempo che precede l’entrata in vigore della stessa.
Non vi è, infatti, alcun dubbio in ordine al fatto che l’art. 1, comma 257, primo periodo, l. n. 296 del 2006, abbia comportato con effetto retroattivo una delimitazione dall’ambito applicativo dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 con esclusione delle ipotesi più gra vi di occupazione di beni del demanio marittimo, quelle cioè accompagnate dalla realizzazione di opere inamovibili abusive o che, pur essendo assentite, non siano conformi alla destinazione e alla regolamentazione del bene.
Ovviamente, per queste ultime ipotesi, in conseguenza della norma interpretativa, e dunque retroattiva, contenuta nel primo periodo del comma 257 della l. n. 296 del 2006, non si sarebbe venuto a creare un vuoto normativo, anche ove non vi fosse stata la disciplina introdotta dal secondo periodo della stessa disposizione, poiché l’Amministrazione avrebbe potuto ugualmente invocare la tutela risarcitoria offerta dalla disciplina comune per i casi di occupazione senza titolo, o in violazione del titolo, di beni altrui (v. tra le tante Cass., Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022).
Il disposto del secondo periodo dell’art. 1, comma 257, l. cit. ha semplicemente tipizzato ex lege tali evenienze, predeterminando il criterio di calcolo del ristoro, qualificandolo come indennizzo e semplificando e velocizzando la formazione del relativo titolo. La portata retroattiva della norma deriva dal collegamento operato dall’avverbio «invece», che aggancia le disposizioni del secondo periodo a quelle del primo periodo della menzionata norma, che si differenziano per le condotte contemplate e per la diversa quantificazione del ristoro, ma non per l’ambito temporale di applicazione.
6.4. In tale quadro, pertanto, il secondo motivo di ricorso risulta infondato, dovendo ritenersi applicabile l’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006, secondo periodo, anche alle utilizzazioni di beni del demanio marittimo precedenti al 01/01/2007.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile con riferimento ad entrambi i profili di doglianza.
Occorre prima di tutto rilevare che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, o il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza
probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020).
Nel caso di specie, per quanto riguarda la dedotta mancata considerazione del fatto che non fosse stata la ricorrente a realizzare le opere in questione, occorre richiamare quanto riportato con riferimento al primo motivo di ricorso, in ordine alla mancata indicazione di elementi che portino ad escludere la novità di tale deduzione in fatto.
Per quanto riguarda, invece, la censura riferita alla qualificazione delle tettoie in questione come opere inamovibili, deve subito rilevarsi che la C orte d’appello ha, sul punto, statuito come segue: «Il CTU ha ricompreso le dette opere tra quelle amovibili, in quanto realizzate in legno o in pvc perché ‘possono essere smontate, recuperate e riproponibili altrove, essendo di contro da considerarsi inamovibili i muretti, i volumi tecnici in muratura, porzioni di solaio di copertura (dette tettoie in muratura), le tramezzature interne e i baggioli esterni per la seduta, perché la loro rimozione comporta la distruzione delle opere. ‘ Orbene, la Corte non concorda su tali conclusioni con riferimento alle tettoie in legno o PVC. Nel caso di specie, lo stesso CTU ha infatti evidenziato come tutte le opere sopra descritte, fossero prive di qualsiasi titolo abilitativo (almeno in gran parte) e comunque ‘che pur essendo interventi edilizi minori, sono sottoposti a D.I.A. e non sono sanabili, ai sensi della L. 36 della L. 380/01, poiché l’immobile che le comprende è sottoposto al vincolo 1497/39 (Ministero Beni Attività Culturali prot. 2896/04). ‘ Da qui il
mancato rinnovo della concessione demaniale alla COGNOME ed alla COGNOME. Il CTU ha, però, ritenuto che le tettoie fossero da ritenersi come sopra detto opere amovibili. La Corte dissente da tale conclusione sia per la stessa circostanza che l’opera è soggetta al permesso a costruire a dimostrazione della incidenza a livello urbanistico della stessa, sia perché è innegabile il grave impatto che la struttura ha rispetto all ‘area sottoposta al vincolo. Va altresì aggiunto, e la circostanza non ha costituito oggetto di specifica contestazione, che le dette tettoie presentano una struttura stabile e non certamente provvisoria o facilmente smontabile visto che sono collegate al suolo tramite pilastrini in ferro o in legno e sono annegati in un basamento di calcestruzzo, così incidendo decisamente anche sull’aspetto esteriore del cottage a cui è stata data una maggiore superficie occupata. Del resto, non risulta che i titolari della concessione rimuovessero annualmente tali opere né tale circostanza è stata mai affermata. Con il che, evidentemente, è venuta meno anche la destinazione esclusivamente estiva del cottage con chiaro aumento della superficie utilizzata stabilmente. Anche a voler fare riferimento alla Circolare n. 22 del 22.5.2009 del Ministero dei Trasporti , della Agenzia del Demanio e della Agenzia del Territorio richiamata dal CTU, vanno ritenute di facile sgombero o rimozione le opere le cui strutture possono essere effettuate con montaggio di parti elementari come quelle costruite con strutture in legno ecc. Ma nel caso di specie si tratta di strutture, come detto, certamente impegnative e tutt’altro che facilmente smontabili rispetto anche alle stesse dimensioni dei singoli cottage. Da tutto ciò scaturisce che pur dovendosi fare espresso richiamo alla disciplina di cui alla L. 296/06, art. 1 commi 250,252,257, alla L. 494/93 e succ. mod. con le conseguenti diversità di calcolo a seconda che si tratti anche di opere amovibili o inamovibili, prive di qualsiasi titolo abilitativo o che pur avendolo sono incompatibili con la destinazione e la disciplina del bene demaniale come appunto nei casi specie,
corretto appare il calcolo degli indennizzi come operato con i provvedimenti impugnati per cui le opposizioni e le relative domande di accertamento negativo proposte devono essere respinte in riforma della sentenza appellata.»
Deve pertanto escludersi che la Corte abbia disatteso le conclusioni del CTU (e del primo giudice) senza fornire alcuna motivazione, né che non abbia tenuto conto delle circolari amministrative richiamate ai fini della qualificazione delle opere come inamovibili, che, invece, ha esaminato.
La critica si sostanzia, in effetti, in una non condivisione del risultato valutativo operato dal giudice, e da quest’ultimo ampiamente motivato, risolvendosi in una critica che attiene al merito della decisione, peraltro formulata in modo estremamente generico, inammissibile in questa sede.
L’esame dei motivi di ricorso nel procedimento n. 9353/2022
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le ricorrenti hanno prospettato questioni giuridiche che implicano accertamenti misti, in fatto e in diritto, in ordine alla applicabilità ratione temporis della disciplina sul rinnovo automatico, oltre che all’applicazione della disposizioni sul silenzio-assenso, che non risultano essere state affrontate nella sentenza impugnata e che le parti non hanno dedotto di avere illustrato nelle precedenti fasi di merito, indicando l ‘atto in cui hanno prospettato la questione e il tenore delle argomentazioni.
Come già evidenziato, qualora con il ricorso per cassazione siano introdotte questioni di cui, come nella specie, non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, in modo tale da consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima ancora di esaminare il merito
della suddetta questione, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018).
Il secondo motivo di ricorso contiene due distinte doglianze, entrambe infondate.
9.1. È infondato il motivo nella parte in cui è censurata l ‘applicazione del disposto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 ad occupazioni di beni demaniali effettuate prima della data di entrata in vigore di detta legge (01/01/2007), per i motivi già illustrati nell’esame del secondo motivo di ricorso di cui al procedimento R.G.N. 8555/2022, cui si rinvia.
9.2. È infondato lo stesso motivo nella parte in cui è dedotta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
Come già evidenziato, l ‘art. 1, comma 257, secondo periodo l. n. 296 del 2006 ha stabilito che: « … Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi».
A prescindere, dunque, dalla titolarità in capo all’occupante di una concessione demaniale, ove l’ occupazione consista nella realizzazione sul bene demaniale di opere inamovibili prive di titolo abilitativo (e dunque abusive) o di opere inamovibili assentite, ma in
virtù di un titolo incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene, l’indennizzo dovuto va commisurato al valore di mercato.
Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, dunque, devono ricorrere due presupposti concorrenti: 1) la realizzazione di opere inamovibili; 2) l’assenza di un titolo che abiliti all’edificazione ovvero la presenza di detto titolo il cui contenuto sia incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale.
In presenza di opere inamovibili prive di titolo abilitativo, e cioè di opere abusive, non è necessario effettuare alcun accertamento sulla compatibilità delle stesse con la destinazione e la disciplina del bene e l’indennizzo va certamente determinato in base al valore di mercato.
Ove, invece, sia presente il titolo abilitativo all’edificazione , la quale, naturalmente, deve essere ad esso conforme, occorre verificare la compatibilità delle opere assentite, come risultanti dal titolo, con la destinazione e la disciplina del bene, spettando l’indennizzo al valore di mercato solo nel caso in cui, all’esito di tale verifica, risulti la menzionata incompatibilità.
Ovviamente, detta incompatibilità si può manifestare con la impressione, per l’effetto dell’esecuzione delle opere inamovibili assentite, di una destinazione del bene del tutto diversa e, come tale incompatibile, con quella originaria.
Nel caso di specie, la Corte di appello, sulla verifica della esistenza o meno del titolo abilitativo alla realizzazione delle tettoie ha genericamente statuito come segue: «Nel caso di specie, lo stesso CTU ha infatti evidenziato come tutte le opere sopra descritte, fossero prive di qualsiasi titolo abilitativo (almeno in gran parte) e comunque ‘che pur essendo interventi edilizi minori, sono sottoposti a D.I.A. e non sono sanabili, ai sensi della L. 36 della L. 380/01, poiché l’immobile che le comprende è sottoposto al vincolo 1497/39 (Ministero Beni Attività Culturali prot. 2896/04). ‘ »
La stessa Corte ha, poi, diffusamente motivato in ordine alle ragioni in forza delle quali ha ritenuto inamovibili le tettoie in legno o PVC, realizzate dalle ricorrenti.
Sulla scorta di quanto sopra evidenziato, una volta accertato che vi erano opere inamovibili e che queste erano prive di titolo abilitativo, nessun ulteriore accertamento andava effettuato.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
10.1. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
10.2. Nel caso di specie l a Corte d’appello risulta avere statuito , sul punto, come segue: «Ciò premesso, e sempre in fatto, ma con specifico riferimento alle posizione comune a tutte le parti appellate, rileva la Corte di non poter condividere la ricostruzione operata dal CTU e, quindi, dal Giudice di prime cure con riferimento alla rilevanza ed alla incidenza delle coperture in legno delle strutture ricreative (cottage) costituenti tettoie. Il CTU ha ricompreso le dette opere tra quelle amovibili, in quanto realizzate in legno o in pvc. perché ‘possono essere smontate, recuperate e riproponibili altrove, essendo di contro da considerarsi inamovibili i muretti, i volumi tecnici in muratura, porzioni di solaio di copertura (dette tettoie in muratura) , le tramezzature interne e i baggioli esterni per la seduta, perché la loro rimozione comporta la distruzione delle opere. Orbene, la Corte non concorda su tali conclusioni con riferimento alle tettoie in legno o pvc. …omissis… La Corte dissente da tale conclusione sia per la stessa circostanza che l’opera è soggetta al permesso a costruire a dimostrazione della incidenza a livello urbanistico della stessa, sia perché è innegabile il grave impatto che la struttura ha rispetto all ‘area sottoposta al vincolo. Va altresì aggiunto, e la circostanza non ha costituito oggetto di specifica contestazione, che le dette tettoie presentano una struttura stabile e non certamente provvisoria o facilmente smontabile visto che sono collegate al suolo tramite pilastrini in ferro o in legno e sono annegati in un basamento di calcestruzzo, così incidendo decisamente anche sull’aspetto esteriore del cottage a cui è stata data una maggiore superficie
occupata. Del resto, non risulta che i titolari della concessione rimuovessero annualmente tali opere né tale circostanza è stata mai affermata. Con il che, evidentemente, è venuta meno anche la destinazione esclusivamente estiva del cottage con chiaro aumento della superficie utilizzata stabilmente. Anche a voler fare riferimento alla Circolare n. 22 del 22.5.2009 del Ministero dei Trasporti , della Agenzia del Demanio e della Agenzia del Territorio richiamata dal CTU, vanno ritenute di facile sgombero o rimozione le opere le cui strutture possono essere effettuate con montaggio di parti elementari come quelle costruite con strutture in legno ecc. Ma nel caso di specie si tratta di strutture come detto certamente impegnative e tutt’altro che facilmente smon tabili rispetto anche alle stesse dimensioni dei singoli cottage. … »
È evidente che il dedotto vizio di motivazione è da ritenersi del tutto assente, tenuto conto che la Corte di merito ha illustrato le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto non amovibili le tettoie, richiamando l’opinione espressa dal CTU , esponendo i motivi di non condivisione e quelli posti a fondamento della diversa soluzione.
10.3. Né può ritenersi che sia stata validamente dedotta la violazione del principio di non contestazione e degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Deve prima di tutto precisarsi che la non contestazione attiene all’ambito della prova dei fatti di causa, che non è necessaria ove, appunto, il fatto dedotto da una parte non sia contestato dall’altra, e non riguarda i giudizi e le valutazioni operate dal CTU.
Inoltre, c om’è noto, in sede di legittimità, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022).
Nel caso di specie, le ricorrenti hanno semplicemente contestato le valutazioni operate dal giudice, non condividendo il percorso decisionale e le conclusioni cui è giunto.
Anche il quarto motivo è inammissibile, non avendo le ricorrenti colto la ratio della decisione che, in presenza di opere ritenute inamovibili, realizzate in assenza di titolo abilitativo, ha ritenuto integrati i presupposti per determinare l’indennizzo nella misura corrispondente al valore di mercato, in conformità al disposto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
In conclusione il ricorso nel procedimento N.R.G. 8555/2022 deve essere respinto.
Anche il ricorso nel procedimento N.R.G. 9353/2022 deve essere respinto.
La statuizione sulle spese di lite segue la soccombenza, da liquidarsi separatamente per ciascun procedimento riunito (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 27295 del 16/09/2022).
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente nel procedimento N.R.G. 8555/2022 e delle ricorrenti nel procedimento N.R.G. 9353/2022 di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
sul ricorso N.R.G. 8555/2022
rigetta il ricorso nel procedimento N.R.G. 8555/2022;
condanna la ricorrente a rimborsare a ll’Agenzia del Demanio le spese del giud izio di legittimità, che si liquidano in € 2.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito;
condanna la ricorrente a rimborsare a Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 1.500,00 per compenso, oltre euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
sul ricorso N.R.G. 9353/2022
rigetta il ricorso;
condanna le ricorrenti a rimborsare a ll’Agenzia del Demanio le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.400,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito;
condanna le ricorrenti a rimborsare a Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.400,00 per compenso, oltre euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione