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Obbligo solidale avvocato: rinuncia atti è transazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25271/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di compensi professionali. Due legali, dopo che i loro clienti avevano rinunciato a un’azione legale, si sono visti negare il pagamento in solido da tutte le parti coinvolte. La Suprema Corte ha chiarito che l’obbligo solidale al pagamento delle spese legali scatta non solo in caso di transazione formale, but also when a lawsuit is terminated by a mutually accepted withdrawal of the action (rinuncia agli atti). This broad interpretation aims to protect lawyers from collusive agreements between parties designed to avoid paying legal fees.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo solidale per le spese legali: anche la rinuncia agli atti è una transazione

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 25271 del 20 settembre 2024, interviene su un tema di grande importanza per la professione forense: l’obbligo solidale delle parti al pagamento dei compensi dell’avvocato quando il giudizio si estingue. La Suprema Corte ha stabilito che la nozione di ‘transazione’, prevista dalla legge professionale per far scattare tale obbligo, deve essere interpretata in senso ampio, includendo anche la rinuncia agli atti del giudizio accettata dalla controparte. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

I fatti di causa

Due avvocati venivano incaricati da un’amministratrice giudiziaria di una società per intentare una causa di risarcimento danni contro il liquidatore della stessa e per contestare un trasferimento di quote sociali. Successivamente, l’amministratore veniva sostituito, i mandati ai legali revocati e la società rinunciava formalmente all’azione legale, con l’accettazione delle altre parti.

A seguito di ciò, i due legali agivano in giudizio per ottenere il pagamento delle loro competenze professionali, chiedendo la condanna in solido di tutte le parti originarie del giudizio. La Corte d’Appello, pur riconoscendo il diritto al compenso a carico della società cliente, negava l’obbligo solidale, sostenendo che una semplice rinuncia agli atti non potesse essere equiparata a una transazione, come richiesto dalla normativa.

La decisione della Corte di Cassazione e l’obbligo solidale

La questione centrale giunta all’esame della Suprema Corte era se l’obbligo solidale di tutte le parti al pagamento delle spese legali potesse sorgere solo in presenza di un contratto di transazione in senso tecnico, oppure se potesse derivare da qualsiasi accordo che ponga fine alla lite senza una pronuncia del giudice sulle spese.

La nozione estensiva di “transazione” ai fini della solidarietà

La Cassazione ha accolto il ricorso dei legali, affermando un principio di diritto fondamentale. L’art. 68 del R.D.L. 1578/1933, che disciplina la materia, ha lo scopo di tutelare il difensore. Questa finalità verrebbe vanificata se le parti potessero accordarsi per estinguere il processo tramite una rinuncia agli atti accettata, eludendo così la responsabilità solidale per i compensi maturati.

Secondo la Corte, l’obbligo solidale scaturisce da qualsiasi accordo, incluso quello che si manifesta con la rinuncia e la relativa accettazione, che abbia l’effetto di sottrarre al giudice il potere di decidere sulle spese processuali. L’elemento chiave non è la forma dell’accordo, ma il suo risultato: la fine del contenzioso senza una regolamentazione giudiziale delle spese.

La tutela del difensore

Questa interpretazione garantisce che l’aspettativa del difensore a essere soddisfatto per il lavoro svolto non sia pregiudicata da accordi tra le parti. La solidarietà passiva, infatti, permette al legale di richiedere il pagamento a una qualsiasi delle parti coinvolte nel giudizio, rafforzando significativamente la sua posizione creditoria.

Altri aspetti processuali: competenza e valore della causa

La sentenza ha toccato anche altri due punti rilevanti.

Inammissibilità dell’appello sulla competenza

In primo grado, il Tribunale si era dichiarato territorialmente incompetente per le domande verso alcune società. La Corte di Cassazione ha specificato che una pronuncia che decide unicamente sulla competenza non può essere impugnata con un appello ordinario, ma richiede uno strumento specifico, il ‘regolamento di competenza’. Di conseguenza, la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile quella parte del gravame.

La determinazione del valore della causa

I legali si erano lamentati anche della liquidazione del compenso, basata su un valore della causa ritenuto ‘indeterminabile’ dalla Corte d’Appello, nonostante nella domanda originaria fosse stato indicato un valore di diversi milioni di euro. La Cassazione ha respinto questa censura, ribadendo un principio consolidato: il giudice, nel liquidare gli onorari, può discostarsi dal valore dichiarato quando rileva una manifesta sproporzione tra questo e l’effettivo valore e importanza della controversia. Questa facoltà discrezionale permette di adeguare il compenso alla reale complessità e all’esito della prestazione professionale.

Le motivazioni

La motivazione centrale della Corte si fonda sulla ratio della norma che istituisce l’obbligo solidale. L’obiettivo è impedire che le parti processuali, attraverso un accordo che pone fine alla lite, pregiudichino il diritto del difensore al compenso. La Corte ha ragionato che un accordo che si perfeziona con la rinuncia agli atti da parte dell’attore e l’accettazione del convenuto produce lo stesso effetto di una transazione: estingue il giudizio e priva il giudice della possibilità di pronunciarsi sulle spese. Di conseguenza, per coerenza logica e teleologica, anche tale modalità di definizione della causa deve far sorgere la responsabilità solidale. La Corte ha inoltre chiarito che la discrezionalità del giudice nel determinare il valore effettivo della controversia ai fini della liquidazione degli onorari è un principio generale di proporzionalità e adeguatezza, che prevale sul valore meramente formale indicato nella domanda, specialmente nei rapporti tra avvocato e cliente.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza 25271/2024 della Corte di Cassazione rafforza la tutela dei crediti professionali degli avvocati. Stabilendo che l’obbligo solidale si estende a ogni forma di accordo che definisce il giudizio, inclusa la rinuncia agli atti accettata, la Corte invia un chiaro messaggio: le parti non possono eludere la responsabilità per le spese legali semplicemente scegliendo una forma di estinzione del processo diversa dalla transazione tradizionale. La decisione conferma inoltre l’importante potere del giudice di valutare l’effettiva portata economica di una causa per garantire che i compensi siano sempre proporzionati all’attività svolta.

Se una causa viene chiusa perché la parte che l’ha iniziata rinuncia e l’altra parte accetta, sono entrambe responsabili di pagare le spese dell’avvocato?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che questo tipo di accordo (rinuncia accettata) equivale a una transazione ai fini della responsabilità per le spese legali. Pertanto, tutte le parti diventano solidalmente obbligate a pagare il compenso dell’avvocato.

L’obbligo solidale per le spese legali vale solo se c’è un contratto di transazione scritto?
No. Secondo la sentenza, l’obbligo solidale sorge da qualsiasi accordo che ponga fine al giudizio senza una decisione del giudice sulle spese. Non è necessaria la forma di un contratto di transazione, essendo sufficiente anche un accordo manifestato tramite atti processuali come la rinuncia e l’accettazione.

Il compenso dell’avvocato viene sempre calcolato sul valore dichiarato nella richiesta iniziale?
No. Il giudice ha il potere di discostarsi dal valore dichiarato nella domanda giudiziale se ritiene che ci sia una notevole sproporzione tra tale valore e l’effettivo interesse economico della controversia e l’importanza della prestazione. Può quindi determinare il valore effettivo per liquidare un onorario più adeguato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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