Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23353 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23353 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30802/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata agli atti, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Brindisi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso, il quale
dichiara di voler ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. A mina COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 690/2020, depositata in data 13 luglio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con delibera n. 862 del 10/8/2001 la ASL della Provincia di Brindisi aggiudicava alla SECOM il servizio di raccolta di carta, cartone, inerti e plastica (rifiuti differenziati) all’interno degli ospedali di Perrino e Di Summa, per il periodo di un anno, dal 23/7/2001, con incarico rinnovabile di anno in anno per massimo due anni.
Con successivo provvedimento, però, il Comune di Brindisi aggiudicava alla società RAGIONE_SOCIALE il servizio di smaltimento e di raccolta dei rifiuti solidi urbani ed assimilati, anche per gli ospedali di Perrino e di Di Summa, a decorrere dal 1/1/2003.
Con ulteriore delibera n. 14.704 del 23/12/2002 la Asl comunicava a SECOM la cessazione dall’1/1/2003 del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani e assimilati – che aveva svolto fino a quel momento pur in assenza di titolo contrattuale – e la invitava a rimuovere le attrezzature che si trovavano presso i due ospedali.
Inoltre, la Asl autorizzava la RAGIONE_SOCIALE a svolgere esclusivamente il servizio di raccolta e smaltimento carta e cartone, all’interno dei due presidi ospedalieri, fino al 31/8/2003, per il quale vi era il titolo contrattuale.
Con delibera n. 3276 del 6/10/2003 veniva prorogato il servizio di raccolta e smaltimento di carta e cartone fino al 31/12/2003.
Con ulteriore autorizzazione la Asl consentiva lo smaltimento della raccolta anche della plastica, oltre che di carta e cartone, fino al 30/6/2004, con successiva proroga fino al 31/12/2004 per carta e cartone.
In un sopralluogo del 19/10/2004 si evidenziava l’assenza di indicazioni sui cassoni di SECOM, in ordine all’esclusivo utilizzo per carta e cartone, e non per rifiuti solidi urbani indifferenziati.
La Asl provvedeva a diffidare la SECOM a rimuovere i cassoni destinati alla raccolta dei rifiuti solidi urbani speciali e/o pericolosi ed assimilati esistenti nell’isola ecologica posta negli ospedali, in quanto il relativo servizio era ormai svolto dalla RAGIONE_SOCIALE, su incarico del Comune.
La RAGIONE_SOCIALE poteva lasciare solo i cassoni per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di carta, cartone e inerti, apponendo sui cassoni, per evitare confusioni, segni distintivi dei rifiuti.
Poiché all’interno dei cassoni della SECOM, che dovevano essere utilizzati esclusivamente, nel periodo dal 1/1/2003 al 31/12/2004, per la raccolta e lo smaltimento di carta e cartoni, oltre che per plastica, venivano rinvenuti anche rifiuti solidi urbani indifferenziati, che contaminavano la raccolta dei rifiuti differenziati indicati, la SECOM allertava la Asl e provvedeva al deposito in discarica, compilando i necessari formulari.
La SECOM, quindi, poiché assumeva «di aver continuato di fatto a svolgere l’attività di raccolta anche di RSU ed assimilati negli ospedali», chiedeva ed otteneva dal tribunale di Brindisi decreto ingiuntivo n. 353/2005 in data 22/11/2005, in danno di Asl Brindisi, per il pagamento della somma di euro 267.309,90, oltre accessori, portata dalle fatture prodotte in atti, emesse per il pagamento del
corrispettivo per l’attività di smaltimento dei rifiuti, svolta nel periodo gennaio 2003/dicembre 2004.
Proponeva opposizione la Asl, con citazione del 4/1/2006, non essendo stato stipulato alcun contratto con la SECOM in relazione ai rifiuti solidi urbani ed assimilati.
Il tribunale di Brindisi, rigettava l’opposizione. Effettivamente il contratto relativo alla raccolta smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati – che accedeva in via di mero fatto a quello del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di carta, cartone e inerti – era privo di forma scritta e, dunque, andava ritenuto nullo. Tuttavia il servizio era stato comunque pacificamente svolto dalla SECOM, come ammesso dalla Asl, in quanto nei cassoni di SECOM – destinati esclusivamente alla raccolta di rifiuti di carta, cartone e inerti – erano stati invece conferiti anche rifiuti solidi urbani ed assimilati, in tal modo obbligando la società ad effettuare lo smaltimento. Di conseguenza, pur se il contratto era nullo, in quanto non stipulato per iscritto, residuava in capo alla società l’obbligazione ex lege di effettuare in ogni caso lo smaltimento. Ciò giustificava la pretesa creditoria di RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale sentenza proponeva appello la Asl, sulla base di tre motivi.
6.1. Con il primo motivo l’appellante deduceva l’erronea e contraddittoria valutazione delle prove da parte del tribunale, in quanto dalla documentazione prodotta, e segnatamente dal sopralluogo in data 19/10/2004, emergeva che la RAGIONE_SOCIALE non aveva ancora apposto alcun cartello sui cassoni, mentre la Asl aveva diffidato la società dal continuare a svolgere l’attività in questione ed a rimuovere i cassoni dedicati ai rifiuti solidi urbani, apponendo sugli altri cassoni, destinati al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di carta, cartone e inerti, le indicazioni relative.
Vi era stata negligenza della SECOM in tale frangente.
6.2. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante deduceva la possibilità per la società di proporre azione di indebito arricchimento ex art. 2041, proprio in assenza di un valido rapporto negoziale tra le parti. Tale domanda però «non sarebbe stata mai formulata».
6.3. Con il terzo motivo d’appello si contestava la mancata prova del credito nella sua consistenza, non essendo sufficienti le fatture prodotte in sede monitoria, la copia dei formulari della SECOM, con registrazione delle singole attività di smaltimento dei rifiuti rinvenuti nei cassoni, e la CTU.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 690/2020, depositata il 13/7/2020, accoglieva solo in parte l’appello dell’Asl, disconoscendo la sussistenza di un obbligo di legge nei confronti dell’Asl, quanto alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati (euro 246.398,64), ed ammettendo il pagamento in favore della SECOM esclusivamente con riguardo alle somme spettanti per l’attività di raccolta e di smaltimento di carta e cartone, oltre che di inerti, per la somma complessiva di euro 16.721,11, di cui euro 9.836,11 per carta e cartone, euro 6.760,20 per inerti ed euro 124,80 per le spese di viaggio.
In particolare, la Corte territoriale reputava non sussistere un obbligo ex lege in capo alla Asl di provvedere allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati.
In base all’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997 (decreto Ronchi) gli oneri relativi alle attività di smaltimento erano a carico del detentore che consegnava i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato.
Il detentore dei rifiuti, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, era il produttore di rifiuti o la persona fisica o giuridica che li deteneva, mentre produttore era la persona la cui
attività aveva prodotto rifiuti o che aveva effettuato operazioni di pretrattamento.
Pertanto – chiariva la Corte territoriale – «a stretto rigore quindi un ente pubblico, se affida ad un privato la gestione del servizio rifiuti, non può essere considerato né un produttore, né un detentore di rifiuti, perché in tal caso l’Ente non produce rifiuti, non effettua alcuna operazione sui rifiuti e non li deteneva realmente, in quanto le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti stessi sono compiute dal privato».
L’affidamento del servizio, dunque, faceva sorgere in capo all’impresa appaltatrice e/o al privato concessionario l’obbligo dello smaltimento dei rifiuti. Tale obbligo dell’appaltatore necessitava di un contratto validamente concluso con l’ente.
Non poteva configurarsi, allora, una obbligazione ex lege a carico dell’impresa non appaltatrice del servizio.
La SECOM, in difetto di un contratto di appalto del servizio, non rientrava in nessuna delle categorie di soggetti tenuti all’attività di smaltimento dei rifiuti, non potendo qualificarsi come gestore del servizio di raccolta e trasporto in discarica dei rifiuti urbani.
La società, in difetto di un contratto scritto, poteva alternativamente, proporre l’azione diretta nei confronti del funzionario che aveva commissionato l’incarico, oppure l’azione di adempimento nei confronti della PA che aveva conseguito l’utilità dell’opera, oppure l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della PA ex art. 2041 c.c.
Chiosava la Corte territoriale nel senso che vi era stata comunque negligenza di SECOM, in quanto la stessa «non avendo tempestivamente provveduto – nonostante i solleciti della Asl – ad eliminare i cassoni destinati alla raccolta dei RSU delle isole ecologiche degli ospedali e a dotare opportunamente gli altri
cassoni a servizio della raccolta di carta/cartone e inerti delle necessarie indicazioni, ha ingenerato negli utenti una confusione sull’utilizzo dei cassoni, determinando il fatto di aver rinvenuto rifiuti diversi da quelli cui era tenuta la raccolta: tale situazione non sembra possa giustificare neppure sotto tale profilo – di cui al primo motivo di appello – la pretesa di SECOM per tale attività».
Erano allora dovute, come detto, solo le somme indicate nelle fatture relative al servizio di raccolta smaltimento dei rifiuti di carta, cartone e inerti, per la somma di euro 16.721,11.
Tale somma era dovuta perché riguardava il servizio relativo ad un periodo (2003/2004) «in cui il relativo contratto di appalto era stato prorogato dalla Asl.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Brindisi, depositando memoria scritta.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe «in maniera assolutamente falsa e fuorviante» assimilato, in tema di rifiuti, la posizione di un Comune, con quella della Asl, mentre, nella specie, «trattandosi di rifiuti che vengono conferiti nei cassoni dagli stessi dipendenti della Azienda Sanitaria all’interno della cinta ospedaliera, la situazione è completamente diversa e non può che comportare un obbligo diretto a pagare gli oneri relativi allo smaltimento».
Con il secondo motivo di impugnazione si lamenta la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., con riferimento alla errata applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b e c, del d.lgs. n. 22/1997».
Si censura la sentenza d’appello che, «in maniera assolutamente falsa e fuorviante» avrebbe affermato che «un ente pubblico non può essere considerato né produttore né detentore di rifiuti, in quanto non produrrebbe rifiuti né li deterrebbe materialmente».
Tale ragionamento, però, potrebbe valere nel caso di un amministratore comunale, in quanto i rifiuti sono prodotti dai cittadini che li conferiscono nei cassoni, ma non potrebbe attagliarsi al caso di specie «in cui i rifiuti, all’interno della super sorvegliata cinta ospedaliera, sono quelli prodotti dalla stessa Asl: nell’esercizio della sua attività ed essendo gli stessi dipendenti ospedalieri o, comunque, persone incaricate dall’Asl di svolgere attività all’interno dell’ospedale, a conferire i rifiuti nei cassoni».
Risulta pacificamente, dalla produzione dei formulari, nonché dalle testimonianze, e dalle ammissioni della Asl, che i cassoni a servizio della raccolta di cartoni e di inerti sono stati invece «contaminati da rifiuti assimilati a quelli urbani».
Non potrebbe contestarsi però che «produttore di tali rifiuti sia la Asl stessa».
La Corte d’appello avrebbe invece erroneamente assimilato la Asl ad un’amministrazione comunale.
Con il terzo motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con riferimento alla errata applicazione dell’art. 10, comma 1, lettera b e c, del d.lgs. n. 22/1997».
Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la Asl non fosse detentore dei rifiuti, «assimilandola alla posizione di un
comune che abbia affidato a terzi la gestione del servizio rifiuti senza esserne produttore o detentore».
Al contrario, nella specie, la Asl di Brindisi «è produttore, detentore e responsabile dei rifiuti prodotti all’interno dell’ospedale e depositati dal suo personale nei cassoni».
Con il quarto motivo di impugnazione la società deduce «l’omesso esame di un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che la SECOM, ogni qualvolta rinveniva nei cassonetti rifiuti solidi urbani, allertava immediatamente la Asl, prima di provvedere al loro conferimento in discarica.
L’obbligo di pagamento derivava direttamente dalla legge, in quanto la società stessa, una volta rilevato che vi erano rifiuti assimilabili a quelli urbani che contaminavano quelli differenziati (carta, cartone inerti) non aveva alcuna facoltà di scelta.
La società doveva avvertire la ASL della situazione e provvedere al conferimento dei rifiuti in discarica.
L’attività di conferimento dei rifiuti in discarica era dunque attività dovuta, trattandosi di rifiuti differenziati contaminati da quelli indifferenziati.
Tali fatti sarebbero stati del tutto ignorati dalla Corte territoriale.
La condotta della SECOM non è stata negligente, in quanto ha sempre tempestivamente avvisato dei disguidi gli uffici proposti, fornendo alla Asl i formulari di conferimento delle relative fatture.
La condotta della SECOM era imposta dalle norme vigenti in materia di rifiuti.
Inoltre, la Corte d’appello ha dato come pacifico un fatto smentito dalle risultanze probatorie, avendo affermato che non si era provveduto tempestivamente a dotare i cassoni destinati al servizio di raccolta di carta, cartoni e di inerti delle necessarie indicazioni.
I testi escussi avrebbero riferito il contrario.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che i cassoni della società RAGIONE_SOCIALE, affidataria del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati, per conto del Comune, non erano stati tempestivamente svuotati.
Vi era stata negligenza addebitabile esclusivamente alla Asl.
I primi tre motivi di impugnazione, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
Ed infatti, la ricorrente non coglie la precisa ratio decidendi della sentenza d’appello.
In realtà, la Corte territoriale non ha in alcun modo negato che l’Asl non fosse produttrice di rifiuti, a differenza dell’amministrazione comunale; la Corte di merito ha chiarito che l’Asl aveva affidato il servizio di smaltimento dei rifiuti alla società RAGIONE_SOCIALE, che doveva quindi occuparsi di tale attività, pur essendo stati prodotti i rifiuti proprio dalla Asl.
Ed infatti, si legge nella motivazione della sentenza d’appello che «a stretto rigore quindi un ente pubblico, se affida ad un privato la gestione del servizio rifiuti, non può essere considerato né un produttore, né un detentore di rifiuti, perché in tal caso l’ente non produce rifiuti, non effettua alcuna operazione sui rifiuti e non li detiene materialmente, in quanto le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti stessi sono compiute dal privato, ma in quanto affidatario del servizio, anche perché dal punto di vista civilistico non possono
coesistere contemporaneamente più detentori qualificati in nome proprio di uno stesso bene, seppur in base a titoli giuridici diversi».
Ha chiarito in modo limpido la Corte territoriale che ciò che caratterizza la fattispecie in esame «è l’affidamento del servizio che fa sorgere in capo all’impresa appaltatrice e/o al privato concessionario per il servizio di raccolta trasporto in discarica dei rifiuti, l’obbligo del loro smaltimento: l’obbligo dell’appaltatore del servizio necessita quindi di un contratto validamente concluso con l’ente».
La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di un’obbligazione ex lege a carico dell’impresa appaltatrice, in quanto la SECOM, in difetto di un contratto di appalto del servizio, non rientrava in nessuna delle categorie di soggetti individuati dal d.lgs. n. 22 del 1997, tenuti all’attività di smaltimento.
La società aveva dunque agito in una «mera situazione di fatto alla raccolta dei rifiuti», non rivestendo né la qualifica di produttore né quella di detentore dei rifiuti.
La ricorrente, invece, muove, nei tre motivi di ricorso dal presupposto che la Corte territoriale avrebbe ritenuto che la Asl, al pari di un comune, non avrebbe mai potuto produrre rifiuti, mentre «nel caso di specie, trattandosi di rifiuti che vengono conferiti nei cassoni dagli stessi dipendenti dell’azienda sanitaria all’interno della cinta ospedaliera, la situazione è completamente diversa e non può che comportare un obbligo diretto a pagare gli oneri relativi allo smaltimento».
Insomma, nei tre motivi di impugnazione la società ricorrente muove da un’erronea ricostruzione della motivazione della Corte d’appello, che si fonda sulla circostanza che la Asl aveva affidato l’incarico di smaltimento dei rifiuti ad un soggetto privato, ossia proprio alla RAGIONE_SOCIALE.
I tre motivi di impugnazione, invece, si basano sul presupposto diametralmente opposto che la Corte d’appello avrebbe incardinato la sua decisione sulla circostanza fattuale che la Asl, al pari di un comune, non produceva rifiuti.
La produzione di rifiuti da parte dell’Asl era invece del tutto pacifica ed incontestata.
Una volta affermato che la Asl produceva rifiuti, la Corte territoriale ha aggiunto che, in mancanza di un contratto di appalto del servizio in favore della società privata RAGIONE_SOCIALE, in capo alla stessa non poteva configurarsi un obbligo di legge di smaltimento dei rifiuti. E tale ratio le doglianze ricorrenti non scalfiscono.
Il quarto motivo è inammissibile.
6.1. In primo luogo, il motivo pecca di autosufficienza ex art. 366, n. 6, c.p.c., in quanto la ricorrente non indica, neppure per stralcio, il contenuto degli elementi istruttori che sarebbero stati trascurati nella decisione adottata.
Tra l’altro, la ricorrente neppure indica il contenuto della missiva in data 3/2/2003 della SECOM, con cui sarebbe stata avvisata l’area gestione tecnica dell’Asl di Brindisi in ordine alla circostanza che, pur avendo provveduto a ritirare il cassettone carrabile da 20 mc ed i cassoni da 1 mc collocati presso la mensa, negli altri cassoni carrabili dedicati alla raccolta differenziata continuavano a rinvenirsi rifiuti vari.
Non si indica neppure quando e dove tale documento sarebbe stato prodotto nei gradi di merito.
Ed infatti, per questa Corte, a sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez.U., n. 8053 del 2014).
6.2. In secondo luogo, si rileva che la ricorrente chiede, in realtà, una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
6.3. In terzo luogo, per questa Corte nella redazione della motivazione della sentenza, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo “ratione temporis” vigente), che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. 3, 20/11/2009, n. 24542; Cass., sez. 6-2, n. 6759 del 2019).
La Corte d’appello, con estrema chiarezza ha dato conto dei molteplici elementi istruttori esaminati, giungendo alla conclusione per cui la SECOM non aveva «tempestivamente provveduto nonostante i solleciti della Asl – ad eliminare i cassoni destinati alla raccolta dei RSU dalle isole ecologiche degli ospedali Perrino e Di Summa e a dotare opportunamente gli altri cassoni a servizio della raccolta di carta/cartone e inerti delle necessarie indicazioni».
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 8.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione