Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3533 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 3533  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21214-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
 principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  degli  avvocati  NOME COGNOME,  NOME  COGNOME,  che  la  rappresentano  e difendono;
Oggetto
Interposizione fittizia di manodopera -obbligo retributivo
R.G.N. 21214/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/12/2023
CC
– controricorrente –
 ricorrente incidentale –
nonché contro
COGNOME NOME;
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 3961/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/12/2019 R.G.N. 4463/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Considerato che :
1. NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE – allo scopo di ottenere la condanna al pagamento delle differenze retributive (euro 8.910,53) maturate nel periodo dal 24.7.2000 al 28.3.2003 e rivendicate sul presupposto del diritto all’inquadramento nel VI livello del CCNL, delle retribuzioni (euro 85.139,82) maturate dal febbraio 2010 al settembre 2013, nonché al risarcimento dei danni (da reato, da maggior utilizzo del veicolo e alla vita di relazione) derivati dalla mancata ottemperanza della società alla sentenza irrevocabile del Tribunale di Roma n. 12247/2009; con tale pronuncia era stata accertata l’interposizione fittizia di manodopera nell’appalto di servizi tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE), dichiarato esistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il lavoratore e la
committente RAGIONE_SOCIALE e ordinato a quest’ultima il ripristino del rapporto. Il COGNOME aveva anche agito, in un separato giudizio, con ricorso monitorio rivendicando le retribuzioni maturate dal 2009 al febbraio 2010.
Il Tribunale di Roma (presso cui il procedimento, inizialmente sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c., era stato riassunto a seguito di  ordinanza  della  S.C.  n.  13392/2015,  che  aveva  accolto  il ricorso per regolamento di competenza proposto dal COGNOME), ha respinto le domande.
La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello del COGNOME, confermando la pronuncia di primo grado, che aveva giudicato corretto l’inquadramento del lavoratore nel IV livello del CCNL, anziché nel VI livello rivendicato, con conseguente infondatezza della domanda di differenze retributive e di pagamento delle retribuzioni per i due distinti periodi sopra indicati ed aveva rigettato le domande risarcitorie poiché prive delle necessarie allegazioni e prove; i giudici di secondo grado hanno dato atto de ll’avvenuto passaggio in giudicato sia della sentenza cd. COGNOME e sia della sentenza cd. COGNOME ed hanno richiamato la sentenza della Corte di cassazione n. 27105/2018 che, confermando la pronuncia della Corte d’appello di Roma n. 2426/2012, aveva respinto i ricorsi delle società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del COGNOME per carenza di interesse.
 Avverso  tale  sentenza  NOME  COGNOME  ha  proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito  con  controricorso  e  ha  proposto  ricorso  incidentale condizionato formulando un unico motivo. Il COGNOME ha depositato  controricorso  al ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio  si  è  riservato  di  depositare  l’ordinanza  nei successivi  sessanta  giorni,  ai  sensi  dell’art.  380  bis.1  c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Rilevato che :
Ricorso principale di NOME COGNOME
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in ordine alla motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui afferma (pag. 5, quarto e quinto cpv.) che ‘La Corte di cassazione, con la sentenza n. 27105/2018 con cui ha confermato la sentenza di questa Corte n. 2426/2012, depositata il 21.3.2013, ha ritenuto l’inammissibilità del ricorso incidentale del COGNOME atteso che il rigetto dei ricorsi delle società determina il venir meno dell’interesse ad impugnare in capo allo stesso-. Pertanto, sia la sentenza cd. COGNOME sia quella cd. COGNOME risultano passate in giudicato entrambe e, in ogni caso, l’appellante non vede provate le proprie pretese’. Il ricorrente allega di aver agito in giudizio sulla base della sentenza del Tribunale di Roma n.
12247/2009  (cd.  sentenza  COGNOME  ed  altri),  che  aveva accertato l’interposizione fittizia di  manodopera,  e  che  è assolutamente oscuro il significato da attribuire alle parole della Corte d’appello.
Il motivo non è fondato.
La sentenza della Corte di cassazione n. 27105 del 2018 (pagg. 7-8) dà atto del motivo di ricorso incidentale proposto in quella sede dal COGNOME e volto a far accertare, in contrasto con le deduzioni della RAGIONE_SOCIALE, che il ricorso di primo grado, proposto dal predetto al fine di far valere l’interposizione fittizia di manodopera (R.G. 216344/2007), non era stato riunito al ricorso di NOME COGNOME ed altri (R.G. n. 216340/2007) e che la sentenza emessa a definizione di quest’ultimo giudizio non includeva il suo nome; il ricorso COGNOME era stato, invece, riunito al ricorso proposto da COGNOME ed altri e, in accoglimento dell’istanza di correzione dell’errore materiale, il suo nominativo era stato correttamente inserito tra i destinatari della sentenza di primo grado recante il n. 12247/2009 (cd. sentenza COGNOME). La sentenza Cass. n. 27105/2018 (pag. 15) ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso incidentale del COGNOMEper il rilievo dirimente, che assorbe ogni considerazione attinente alla violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. nell’evocazione dei documenti a sostegno della censura articolata, che il rigetto dei ricorsi delle società determina il venir
meno  dell’interesse  ad  impugnare  del  COGNOME  il  quale  alcun ulteriore utile risultato favorevole potrebbe conseguire dall’accoglimento della propria impugnazione’.
9. La sentenza d’appello ora impugnata riporta l’esito del giudizio di legittimità e dà atto del passaggio in giudicato sia della sentenza cd. COGNOME e sia della sentenza cd. COGNOME, rilevando come tale duplice giudicato non determini alcun effetto utile in questo processo per il COGNOME, le cui domande sono risultate non provate e sono quindi state respinte per le ragioni esposte nel corpo della motivazione. Non può dirsi integrata la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. atteso che la motivazione, complessivamente considerata, è intellegibile nel suo percorso logico e non presenta alcuna delle anomalie che, in base alle sentenze delle S.U. di questa Corte (n. 8053 e 8054 del 2014), portano a ritenere non soddisfatto il requisito del cd. minimo costituzionale.
10. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 e 112 c.p.c. Omessa pronuncia sulla esistenza di un giudicato implicito in ordine al diritto al superiore inquadramento. Il ricorrente allega che in un separato procedimento la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 6636/2015, ha accolto l’appello del COGNOME, confermando il decreto ingiuntivo (n. 2123/2010) emesso per le differenze retributive, dal 2009 al febbraio 2010, calcolate in base
all’inquadramento nel VI livello; che la sentenza d’appello era stata  impugnata  per  cassazione  ma  non  sul  capo  relativo  al superiore  inquadramento;  fa  presente  di  avere  svolto  tali argomenti (richiamando la sentenza n. 6636/2015) a pag. 14 del ricorso in appello (trascritto nelle parti essenziali e depositato).
Il motivo non può trovare accoglimento.
12. Anzitutto, non è configurabile la dedotta violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. Il giudicato si forma dopo l’esaurimento di tutti i mezzi di impugnazione esperibili mentre avverso la sentenza d’appello n. 6636/2015 era all’epoca pendente il ricorso per cassazione. Da tale rilievo discende anche l’insussistenza del vizio di omessa pronuncia, potendo logicamente ipotizzarsi un rigetto implicito del motivo di appello data la inesistenza, all’epoca, di una sentenza passata in giudicato. Né ricorrono i presupposti per il rilievo d’ufficio in questa sede del giudicato esterno, sebbene il procedimento risulti ora definito con ordinanza di questa Corte n. 17422 del 2021, non essendo trascritta né depositata la sentenza della Corte di appello di Roma n. 6636/2015, necessaria ai fini della verifica dell’accertamento, in ordine al diritto al superiore inquadramento, che si assume ivi contenuto (sui presupposti del giudicato implicito v. Cass. n. 7115 del 2020; n. 1624 del 2013; n. 5581 del 2012; S.U. n. 6632 del 2003).
13.  Con  il  terzo  motivo  di  ricorso  si  addebita  alla  sentenza d’appello la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e 1362 e ss. c.c., per avere la stessa erroneamente interpretato le disposizioni del contratto collettivo che distinguono i livelli di inquadramento e, inoltre, per incongruenza delle testimonianze con il testo della motivazione, omessa valutazione dei documenti e mancato rispetto del principio di non contestazione.
14. Il motivo è infondato quanto alla prima censura ed inammissibile per il resto. La Corte d’appello ha affrontato il problema dell’inquadramento del lavoratore attenendosi al cd. procedimento trifasico nell’ambito (v. Cass. n. 30580 del 2019); ha riportato le declaratorie di IV e di VI livello, ha ricostruito, in base alle deposizioni testimoniali, le mansioni svolte dal COGNOME ed ha accertato l’assenza dei requisiti di ‘discrezionalità operativa e autonomia di decisione nell’ambito delle direttive gener ali impartite’ (sentenza d’appello, pag. 5 primo cpv.), requisiti caratterizzanti la declaratoria di VI livello (a cui appartengono i lavoratori ‘sia tecnici che amministrativi che, con specifica collaborazione, svolgono funzioni direttive o che richiedono particolare preparazione e capacità professionale, con discrezionalità di poteri e con facoltà di decisione ed autonomia di iniziativa nei limiti delle sole direttive generali loro impartite’) ed aventi valore discretivo. Non ricorre quindi alcuna violazi one dell’art. 2103 c.c. e delle disposizioni del contratto
collettivo, avendo la Corte di merito, con accertamento in fatto non revisionabile in questa sede, negato il diritto al superiore inquadramento  sulla  base  di  una  corretta  interpretazione  ed applicazione delle disposizioni contrattuali. Le residue censure investono la valutazione delle risultanze istruttorie e sono, come tali, inammissibili, in quanto esorbitanti dai limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., come delineati dalle S.U. con le sentenze n. 8053 e 8054 del 204.
15. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1453 e 1460 c.c. nonché nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c. Il ricorrente impugna la decisione d’appello nella parte in cui ha statuito (pag. 5, secondo cpv.) che ‘atteso l’integrale rigetto della domanda del COGNOME volta all’accertamento del superiore inquadramento, il giudice di prime cure ha necessariamente escluso il riconoscimento delle connesse richieste economiche, a titolo di differenze retributive per il periodo dal luglio 2000 al marzo 2003 e a titolo di retribuzioni successive maturate dal febbraio 2010 al settembre 2013′, rilevando la mancata indicazione delle norme di legge applicate e l’omessa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda.
16. Il motivo è fondato nei limiti di seguito esposti.
17. Dalla sentenza d’appello si ricava che il COGNOME, all’epoca dipendente della RAGIONE_SOCIALE, ha lavorato presso la RAGIONE_SOCIALE dal 24.7.2000 al 28.3.2003; che con sentenza del tribunale di Roma n. 12247/2009 è stata accertata l’interposizione fittizia di manodopera nell’appalto di servizi tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE), è stato dichiarato esistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il lavoratore e la committente RAGIONE_SOCIALE e or dinato a quest’ultima il ripristino del rapporto. Il lavoratore, fin dal primo grado (v. ricorso introduttivo di primo grado trascritto nel ricorso per cassazione alla pag. 3 e ss.), ha allegato il rifiuto di COGNOME di ripristinare il rapporto di lavoro ed ha rivendicato, tra l’altro, il diritto al pagamento delle retribuzioni per il periodo dal febbraio 2010 al settembre 2013. È vero che il COGNOME, in relazione al periodo suddetto, ha chiesto la condanna di COGNOME al pagamento della somma di euro 85.139,82, calcolata sul presupposto del diritto all’inquadramento nel VI livello contrattuale, tuttavia, la domanda proposta (e riassunta nella somma indicata) aveva un duplice oggetto: il pagamento delle retribuzioni per il periodo sopra indicato in cui la RAGIONE_SOCIALE aveva rifiutato il ripristino del rapporto disposto con la sentenza del tribunale di Roma n. 12247/2009 e il riconoscimento del superiore inquadramento. La sentenza d’appello, al pari di quella del tribunale, ha escluso
il diritto al superiore inquadramento ma ha respinto tutte le pretese economiche del lavoratore, compresa la parte di esse che era riferita all’obbligo retributivo facente capo a RAGIONE_SOCIALE in ragione del rifiuto di ripristinare il rapporto di lavoro, in esecuzione della sentenza del tribunale di Roma n. 12247/2009. Su questo segmento di domanda, proposta in primo grado e oggetto dei motivi di appello, la Corte di merito non si è pronunciata, ritenendola erroneamente assorbita dal mancato riconoscimento dell’inq uadramento superiore, e ciò integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. La stessa controricorrente (pag. 15, § 28 del controricorso) dà atto che il lavoratore aveva depositato in appello un ‘conteggio alternativo’ delle retribuzioni elaborato sulla base del IV livello, in tal modo limitando, in via subordinata, la domanda già articolata. Né appare pertinente la giurisprudenza citata nel controricorso (pag. 15) mancando nel caso in esame, comunque, un pregresso inquadramento da parte della società che, al contrario, non risulta aver mai ripristinato il rapporto di lavoro e, di conseguenza, adempiuto all’obbligo retributivo.
18. Come è noto, la questione della natura dei crediti vantati dai lavoratori  per  effetto  del  mancato  ripristino  del  rapporto  di lavoro  da  parte  della  committente,  nonostante  la  sentenza  di accertamento  della  interposizione  fittizia  di  manodopera,  ha trovato soluzione nel senso della natura retributiva e non più
risarcitoria, in base all’insegnamento delle Sezioni unite civili di questa Corte con la sentenza n. 2990 del 2018. In tale pronuncia, valorizzando alcuni spunti tratti dalla sentenza della Corte Cost. n. 303 del 2011, si è cercato individuare un punto di equilibrio tra ‘il più generale fenomeno dell’incoercibilità del comportamento e della cooperazione datoriale e il principio della necessaria effettività della tutela processuale e, dunque, della piena attuazione dei diritti del lavoratore’. Si è quind i adottata un’interpretazione costituzionalmente orientata, in relazione agli artt. 3, 36 e 41 Cost., con superamento della regola sinallagmatica della corrispettività giudicata ‘inidonea a fornire al lavoratore una tutela effettiva’ e ad evitare che il pr edetto debba subire ‘le ulteriori conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore di lavoro rispetto all’esecuzione dell’ordine giudiziale’. Secondo la pronuncia delle S.U. cit., ‘il datore di lavoro, il quale nonostante la sentenza ch e accerta il vincolo giuridico, non ricostituisce i rapporti di lavoro senza alcun giustificato motivo, dovrà sopportare il peso economico delle retribuzioni, pur senza ricevere la prestazione lavorativa corrispettiva, sebbene offerta dal lavoratore’. A ta le indirizzo la Corte costituzionale, con la sentenza n. 29 del 2019, ha riconosciuto valore di diritto vivente sopravvenuto, anche per la fattispecie della illegittima cessione di ramo d’azienda, evidenziando come la pronuncia delle S.U. n. 2990 del 2018 miri
a ‘ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della mora del creditore nel rapporto di lavoro’.
Con il quinto motivo è dedotta la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; violazione e falsa applicazione degli articoli 414, 416 e 434 c.p.c. nonché degli articoli 1218, 2043 e 2059 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., per non avere il giudice posto a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati. Il ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui ha respinto le domande risarcitorie e, premesso di rinunciare alla domanda di risarcimento del danno da reato, sulle residue domande argomenta che la Corte di merito ha errato nel rigettare le stesse per genericità delle deduzioni in quanto tale genericità rende il ricorso nullo ma non infondato, con onere del giudice di indicare alla parte gli atti nulli e concedere termine per sanare la nullità. 20. Il motivo non può trovare accoglimento.
Anzitutto, è invocato in modo non pertinente il principio di non contestazione in quanto il relativo onere sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti (v. Cass.  n.  3576/13),  come  quelli  posti  a  base  delle  domande risarcitorie del lavoratore.
 Inoltre,  premesso  che,  nel  rito  del  lavoro,  la  nullità  del ricorso  introduttivo  del  giudizio  di  primo  grado  per  mancata determinazione  dell’oggetto  della  domanda  o  per  mancata
esposizione delle ragioni, di fatto e di diritto, sulle quali essa si fonda ricorre allorché sia assolutamente impossibile l’individuazione dell’uno o dell’altro elemento attraverso l’esame complessivo dell’atto (v. tra le più recenti Cass. n. 19009 del 2018; n. 7199 del 2018), è vero che tale nullità può essere sanata ai sensi dell’art. 164, comma 5, c.p.c. (v. Cass. 7705 del 2018; S.U. n. 11353 del 2004) ma l’attuale ricorrente non ha dedotto né comprovato che tale nullità era stata sollevata dal convenut o e di avere sollecitato, in difetto di rilievo d’ufficio, la fissazione di un termine per la sanatoria, al fine della integrazione della domanda. Questa Corte ha statuito che ‘in applicazione dell’art. 164, quinto comma, cod. proc. civ., estensibile anche al rito del lavoro, se il giudice di primo grado, stante la costituzione del convenuto, omette di fissare un termine per l’integrazione dell’atto introduttivo del giudizio, nullo per mancata o insufficiente determinazione dell’oggetto della domanda o per analogo vizio concernente l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la pretesa si fonda, nonostante l’eccezione in tal senso sollevata dal convenuto, diventa onere del ricorrente invocare dal giudice la fissazione del termine per sanare la nullità. Ove ciò non faccia, e la nullità venga dedotta come motivo d’appello, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per la rinnovazione dell’atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che
accerti il vizio del ricorso introduttivo’ (v. Cass. n. 896 del 2014; v. anche Cass. n. n. 17408 del 2012; 9798 del 2018; n. 16517 del 2023).
Ricorso incidentale condizionato di RAGIONE_SOCIALE
23. Con l’unico motivo la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 287 e 288 c.p.c.
24. La società impugna la sentenza d’appello nella parte in cui, in relazione all’ an , cioè all’accertamento della interposizione fittizia di manodopera, ha ritenuto che anche la cd. sentenza COGNOME potesse fare stato in favore del COGNOME, così da giustificare la scelta di quest’ultimo di porre tale sentenza a fondamento del presente giudizio sul quantum . Sostiene che il procedimento instaurato dal COGNOME dinanzi al tribunale di Roma per l’accertamento dell’interposizione nella prestazione di lavoro, iscritto al numero di R.G. 216344/2007, è stato riunito al proc. n. 216340/2007 promosso da NOME COGNOME e altri ed è stato poi deciso con la sentenza n. 12245/2009; che avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, nel quale si è costituito il COGNOME; questi ha eccepito il passaggio in giudicato nei suoi confronti della sentenza cd. COGNOME (n. 12247/2009), adducendo come il tribunale di Roma aveva accolto la sua istanza di correzione di errore materiale e inserito il suo nominativo tra i destinatari di tale pronuncia; che il
tribunale di Roma ha errato nell’accogliere l’istanza di correzione di errore materiale in quanto l’omissione doveva essere fatta valere dal COGNOME attraverso il ricorso in appello contro la sentenza n. 12247/2009; che la Corte di appello di Roma (sentenz a n. 2426/2012), nel respingere l’appello della RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza cd. COGNOME, ha disatteso l’eccezione di giudicato formulata dal COGNOME, confermando anche in suo favore l’accertamento della interposizione fittizia contenuto nella sentenza cd. COGNOME; che la Corte di cassazione (ordinanza n. 27105/2018), nel respingere il ricorso di COGNOME avverso la sentenza della Corte d’appello n. 2426/2012, ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del COGNOME; che ‘l’unico possibile significato implicito della pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione incidentale proposta dal signor COGNOME è quello della infondatezza della pretesa di quest’ultimo in ordine alla formazione di un giudicato in suo favore’ (controricorso, pag. 24); che la sentenza d ‘appello ora impugnata ha violato le disposizioni di cui agli artt. 2909 c.c. e 287 e 288 c.p.c. perché avrebbe dovuto respingere le domande sul quantum per il fatto che il COGNOME aveva invocato, per quanto attiene all’an della pretesa, una sentenza non pertinente e cioè la numero 12247/2009 anziché la n. 12245/2009.
25. Il motivo non può essere accolto. La sentenza n. 12247/2009, nel testo risultante  all’esito  del  procedimento  di
correzione di errore materiale, è divenuta definitiva e sono quindi inammissibili le censure che investono il contenuto della correzione medesima. L’ordinanza di correzione, in quanto priva di funzione decisoria, non è soggetta ad alcuna impugnazione (v. C ass., S.U. n. 11508 del 2012). Inoltre, l’ordinanza di legittimità n. 27105/2018 non consente di affermare quello che pretende la società in quanto si è limitata a dichiarare inammissibile il ricorso incidentale di COGNOME per difetto di interesse, a seguito del rigetto dei ricorsi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
26.  Per  le  ragioni  finora  esposte,  deve  accogliersi  il  quarto motivo  del  ricorso  principale  nei  limiti  di  cui  in  motivazione, rigettare  i  residui  motivi  del  ricorso  principale  e  il  ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
27.  Il  rigetto  del  ricorso  incidentale  costituisce  presupposto processuale  per  il  raddoppio  del  contributo  unificato,  ai  sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, rigetta i residui motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione
al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa