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Obbligo informativo consulente: la Cassazione decide

Una società di consulenza è stata citata in giudizio da una fondazione per un presunto inadempimento del suo obbligo informativo riguardo la rischiosità della vendita di un credito. La Corte d’Appello aveva condannato la società, ritenendo che non avesse adeguatamente avvisato il cliente dei pericoli. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3367/2024, ha annullato tale decisione. Ha stabilito che la Corte d’Appello ha errato nel non considerare una comunicazione scritta in cui il consulente informava esplicitamente la fondazione delle incertezze e dei rischi dell’operazione, cassando la sentenza e rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Obbligo informativo consulente: Quando un avviso sui rischi fa la differenza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 3367 del 6 febbraio 2024, getta nuova luce sul cruciale tema dell’obbligo informativo del consulente finanziario e sulla sua responsabilità contrattuale. La Suprema Corte ha annullato una decisione di merito che aveva condannato una società di advisory per non aver sufficientemente avvisato il proprio cliente dei rischi di un’operazione complessa. La vicenda sottolinea l’importanza di una corretta e documentata comunicazione tra professionista e cliente e il dovere del giudice di esaminare tutte le prove fornite.

I Fatti di Causa: Un Contratto di Consulenza e un Credito Inesigibile

Una importante fondazione aveva stipulato un contratto di advisory con una società di consulenza inglese per la gestione e la monetizzazione di un ingente credito vantato nei confronti di una grande banca d’affari internazionale finita in procedura concorsuale. Il contratto prevedeva un compenso fisso e una cospicua ‘success fee’ legata al buon esito dell’operazione.

Su consiglio dell’advisor, la fondazione decideva di cedere il credito a una società di investimento, incassando un anticipo di quasi 14 milioni di euro e pagando al consulente la ‘success fee’ pattuita, pari a quasi un milione di euro. Successivamente, però, il credito veniva interamente azzerato nell’ambito della procedura fallimentare e la fondazione era costretta a restituire l’anticipo ricevuto, maggiorato degli interessi.
A questo punto, la fondazione citava in giudizio la società di consulenza, accusandola di aver violato il proprio obbligo informativo, non avendo adeguatamente rappresentato l’elevata rischiosità dell’operazione.

La Decisione della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione

Se in primo grado la domanda della fondazione era stata respinta, la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado ritenevano che il consulente fosse inadempiente, in quanto non aveva fornito un chiaro ‘alert’ sui rischi, ma anzi aveva ‘enfatizzato la bontà dell’offerta’ ricevuta. Di conseguenza, condannavano la società a restituire la ‘success fee’ e a risarcire i danni.

Contro questa sentenza, la società di consulenza proponeva ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:

1. Errata interpretazione del contratto: l’incarico era di natura puramente finanziaria e non legale.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: la Corte d’Appello non aveva considerato una seconda comunicazione, dettagliata e successiva alla prima, in cui i rischi e le incertezze dell’operazione erano stati chiaramente esposti al cliente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo, confermando che, sulla base delle clausole contrattuali, il ruolo dell’advisor non era limitato alla sola gestione finanziaria, ma includeva anche un’attività di coordinamento dei consulenti legali e bancari, e quindi una supervisione anche dei profili giuridici.

Il punto cruciale della sentenza risiede però nell’accoglimento del secondo motivo. La Suprema Corte ha definito ‘assertiva’ la statuizione della Corte d’Appello, in quanto si era basata solo su una prima comunicazione sintetica, ignorando completamente una successiva e dettagliata relazione del 10 dicembre 2011. In tale documento, l’advisor informava esplicitamente la fondazione che ‘non vi è alcuna certezza sull’ammontare che potrebbe essere distribuito a rimborso del Credito’ e che ‘esiste sempre il rischio che [la banca fallita] contesti il risultato del calcolo’.

Secondo la Cassazione, questa comunicazione costituiva inequivocabilmente una forma di ‘alert’. Non esaminandola, la Corte d’Appello ha omesso di valutare un fatto storico decisivo, che avrebbe potuto portare a una conclusione completamente diversa sulla responsabilità del consulente. L’aver ignorato questa prova documentale ha viziato la sentenza, rendendone necessaria la cassazione.

Le Conclusioni: L’Importanza di Valutare Tutte le Prove

La sentenza n. 3367/2024 ribadisce un principio fondamentale: il giudizio sulla responsabilità professionale deve basarsi sull’analisi completa di tutta la documentazione scambiata tra le parti. Un’informativa chiara e documentata sui rischi può essere sufficiente per adempiere all’obbligo informativo del consulente. I giudici di merito non possono fondare la propria decisione su una valutazione parziale delle prove, ignorando elementi che potrebbero essere decisivi per l’esito della controversia. Il caso è stato quindi rinviato alla Corte d’Appello di Milano, che dovrà riesaminare la vicenda tenendo conto di quella comunicazione cruciale, finora trascurata.

L’obbligo del consulente finanziario si estende anche agli aspetti legali di un’operazione?
Sì. Secondo la Cassazione, l’interpretazione del contratto specifico può rivelare che le obbligazioni dell’advisor non si limitano agli aspetti puramente finanziari, ma possono includere anche il coordinamento dei consulenti legali e una verifica della ‘bontà’ dell’operazione sotto il profilo giuridico.

Una comunicazione scritta che avvisa dei rischi può esonerare il consulente da responsabilità?
Sì, questo è il punto centrale della decisione. La Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha commesso un errore non valutando una comunicazione scritta in cui l’advisor informava chiaramente il cliente delle incertezze e dei rischi. Tale documento, se esaminato, avrebbe potuto dimostrare che il consulente aveva adempiuto al suo obbligo informativo.

Cosa accade quando la Cassazione annulla una sentenza per omesso esame di un fatto decisivo?
La Corte di Cassazione ‘cassa’ la sentenza impugnata e ‘rinvia’ il caso a un altro giudice dello stesso grado (in questo caso, la Corte d’Appello in diversa composizione). Questo nuovo giudice dovrà riesaminare l’intera vicenda, ma questa volta dovrà obbligatoriamente tenere in considerazione il fatto decisivo (la comunicazione sui rischi) che era stato precedentemente ignorato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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