Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25889 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 36953/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso l ‘ordinanza del Tribunale di Savona, depositata il 15-10-2019 RG 3821/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7-52025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex artt. 702-bis cod. proc. civ. e 14 d.lgs. 150/2011 NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Savona l’ha condannata al pagamento di Euro 13.908,64, oltre interessi e spese di lite a favore dell’a vv. NOME COGNOME in
OGGETTO:
compensi dell’avvocato per prestazioni giudiziali civili
RG. 36953/2019
C.C. 7-5-2025
relazione all’attività difensiva svolta in suo favore nella causa R.G. n. 217/2017 del Tribunale di Savona, in riferimento al la quale l’ingiunta aveva già pagato Euro 6.090,24.
L’opponente ha contestato il credito sotto distinti profili e l’opposizione è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Savona in composizione collegiale con l’ordinanza depositata il 15 -10-2019, che ha revocato il decreto ingiuntivo e ha condannato NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME il minore importo di Euro 13.505,74, oltre interessi e le spese di lite.
L’ordinanza ha considerato che l’avv. COGNOME quale difensore di NOME COGNOME si era costituita tardivamente nella causa instaurata dall’amministratore di sostegno di NOME COGNOME al fine di ottenere l’annullamento della donazione dell’immobile di Finale Ligure INDIRIZZO a favore della donataria COGNOME e proseguita, a seguito del decesso della donante lo stesso giorno della notifica dell’atto di citazione, dall’erede Diocesi di Albenga -Imperia; ha rilevato che, seppure la costituzione tardiva comportasse la decadenza della convenuta dalle eccezioni non rilevabili d’ufficio e dalle domande riconvenzionali, non risultava che NOME avesse eccezioni o domande riconvenzionali da proporre; ha considerato che il decesso dell’attrice era avvenuto lo stesso giorno della notifica dell’at to di citazione, ma in orario successivo rispetto alla notifica ed era presumibile che, se fosse stata sollevata eccezione sulla costituzione dell’erede, la stessa sarebbe stata rigettata e comunque, anche se il processo fosse stato interrotto o dichiarato nullo, la Diocesi erede lo avrebbe proseguito o avrebbe instaurato un nuovo giudizio e quindi l’eccezione avrebbe soltanto allungato i tempi processuali e incrementato le spese di lite, senza vantaggi sostanziali per la parte. L’ordinanza ha altresì considerato che l’opponente lamentava di non essere stata adeguatamente informata all’iniz io del giudizio della
complessità della causa e delle scarse probabilità di successo; ha rilevato che la teste NOME COGNOME ex segretaria dell’avvocato, aveva dichiarato che l’avv. COGNOME aveva informato la cliente della difficoltà del giudizio e ha dichiarato che tali affermazioni non dimostravano l’adempimento da parte dell’avvocato ai suoi doveri di informativa, in quanto l’avvocato avrebbe dovuto indicare i possibili esiti del giudizio, in modo che la cliente potesse decidere in piena consapevolezza se proseguire il giudizio; invece, la teste non aveva smentito quanto dedotto dalla ricorrente in ordine al fatto che l’avvocato non aveva informato la cliente della possibilità di perdere la causa e dell’esito presumibilmente negativo del giudizio. Ha dichiarato che si trattava di inadempimento di scarso rilievo, in quanto NOME COGNOME anche dopo avere avuto la sentenza di primo grado sfavorevole, aveva deciso di impugnarla e ciò dimostrava che ella, se anche fosse stata adeguatamente informata all’inizio del giudizio, comu nque avrebbe scelto di proseguire nella causa. Infine ha dichiarato che la ricorrente non aveva contestato la congruità degli importi richiesti dall’avvocato, se non nella parte in cui si erano discostati dalla liquidazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, così riconoscendo che quanto liquidato dal Consiglio era congruo; quindi ha rilevato che, in assenza di contestazioni, non era possibile sindacare né lo scaglione di riferimento utilizzato né l’applicazione degli scaglioni medi.
Avverso l’ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 7-5-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è intitolato ‘ art. 360 I comma n. 3 c.p.c.: violazione degli artt. 1176 c.c. e 2236 c.c. e 1218 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e/o 116 c.p.c.’ ; con esso la ricorrente lamenta che, dopo che con ordinanza di rigetto dell ‘istanza di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo il Tribunale aveva dichiarato che il difensore non aveva dimostrato né la diligenza nell’espletamento dell’incarico né la congruità degli importi pretesi in misura pari a quanto liquidato alla parte vincitrice in giudizio, l’ordinanza impugnata abbia completamente modificato l’ iter logico giuridico della decisione, nonostante il quadro probatorio fosse rimasto immutato. Quindi svolge una serie di deduzioni volte a sostenere la superficialità dell’avv. COGNOME nello svolgimento dell’incarico e lamenta che l’ordinanza impugnata abbia considerato le questioni irrilevanti.
Con il secondo motivo, intitolato ‘ art. 360 I comma n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, la ricorrente sostiene che lo stravolgimento da parte del Tribunale della propria precedente ordinanza 18-2-2019 costituisca vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ.; ulteriormente evidenzia che, rispetto al momento della pronuncia della prima ordinanza con la quale si era dato atto che il difensore non aveva dimostrato la diligenza ne ll’espletamento dell’incarico e la congruità degli importi richiesti, il quadro era rimasto immutato.
Il terzo motivo è intitolato ‘ art. 360 I comma n. 3 c.p.c.: violazione dell’art. 2729 c.c. anche in relazione all’art. 115 e/o 116 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta che l’ordinanza abbia ritenuto che, se anche la cliente fosse stata adeguatamente informata dall’avvocato, avrebbe comunque proseguito il giudizio; sostiene che la supposizione non sia confortata da alcunché, in quanto ben avrebbe potuto il difensore cercare di transigere la vertenza, sia prima che nel
corso del giudizio di primo grado e aggiunge che comunque la professionista avrebbe dovuto esporre alla cliente i rischi della causa, compreso quello di perdere l’immobile. Lamenta che, semplicemente per il fatto che la cliente aveva impugnato la sentenza di primo grado, il Tribunale abbia presunto che, se anche fosse stata informata correttame nte dei rischi connessi alla causa, l’avrebbe ugualmente intrapresa, in quanto il ragionamento si è concretato nella violazione dell’art. 2729 cod. civ. ed è stato illogico.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‘ art. 360 I comma n. 3 c.p.c.: violazione dell’art. 9 del d.l. 1/2012 e art. 13 L. 247/2012 e del D.M. 55/2014, anche in relazione agli artt. 112-115116 c.p.c.’ e sostiene che l’ordinanza abbia ignorato il principio secondo il quale nessun compenso spetta all’avvocato che non vince la causa e nella determinazione dei compensi deve tenersi conto anche dei risultati e vantaggi conseguiti dal cliente, senza che tale valutazione costituisca violazione del principio secondo il quale l’obbligazione del professionista è di mezzi e non di risultato. Lamenta altresì che sia stato ignorato il disposto dell’art. 9 d.l. 24-1-2012 n. 1 e anche dell’art. 13 legge n. 247/2012, in ordine all’obbligo di fornire in forma scritta una indicazione di massima del prevedibile costo della prestazione; quindi sostiene che il Tribunale abbia erroneamente premiato la professionista non diligente, liquidando a suo favore somme spropositate rispetto alla qualità, quantità delle prestazioni e ai risultati ottenuti, in violazione degli artt. 9 d.l. n. 1/2012, 13 legge n. 247/2012 e del D.M. 55/2014.
Con il quinto motivo, intitolato ‘ art. 360 I comma n. 3 c.p.c.: violazione degli artt. 277 (sic) in relazione agli artt. 112-113-115-116 c.p.c.’, la ricorrente evidenzia che aveva contestato sin dall’inizio l’ammontare delle somme richieste, spropositate rispetto alla qualità e quantità del lavoro svolto e ai risultati ottenuti e perciò lamenta che
l’ordinanza abbia dichiarato che non era stata contestata la congruità degli importi se non in quanto si erano discostati dalla liquidazione del Consiglio dell’Ordine; rileva che la professionista, sulla quale incombeva l’onere probatorio, non aveva dimostrato la congruità degli importi richiesti in misura pari a quanto liquidato alla parte vittoriosa nel giudizio, ribaltando erroneamente l’onere della prova sulla cliente, la quale aveva contestato l’ an e il quantum ; aggiunge che non vi era stata la fase istruttoria nel giudizio ed ella aveva sempre contestato il quantum, deducendo che gli acconti versati erano sufficienti per la quantità e qualità dell’attività svolta e per i risultati ottenuti ; ulteriormente richiama il principio secondo il quale è legittimo il mancato pagamento del compenso se il difensore ha perso la causa e non ha previamente informato il cliente delle relative difficoltà.
6. In primo luogo, la Corte rileva come siano inammissibili tutte le deduzioni svolte nel primo motivo e nel corpo dell’intero ricorso al fine di sostenere l’esistenza in capo all’avvocato di profili di responsabilità professionale ulteriori rispetto a quelli individuati dall’ordinanza impugnata; ciò in quanto la censura del l’accertamento in fatto svolto a riguardo dal Tribunale avrebbe richiesto la proposizione di motivo ammissibile ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., che non è enucleabile nelle ragioni svolte dalla ricorrente. Infatti, l’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. nella formula zione attuale prevede vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366 co. 1 n. 6 e 369 co. 2 n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto
sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01; Cass. Sez. 2, 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01). Nella fattispecie, nessuna delle deduzioni della ricorrente è svolta in tal senso, ma il complesso delle argomentazioni è finalizzata in modo inammissibile a una rilettura delle risultanze di causa al fine di sostenere in capo all’avvocato profili di responsabilità ulteriori rispetto a quelli accertati dall’ordinanza impugnata .
7. Inoltre, sono infondati il primo e il secondo motivo di ricorso laddove valorizzano il contenuto dell’ordinanza emessa in corso di causa, in quanto non comporta alcun vizio dell’ordinanza impugnata il dato che la stessa abbia statuito in termini diversi da quelli dell’ordinanza emessa in corso di causa, con la quale il Tribunale ha rigettato l’istanza dell’avvocato di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto. Infatti, in linea generale le ordinanze istruttorie non possono mai pregiudicare la decisione della causa, anche se la loro motivazione sia sovrabbondante (Cass. Sez. 1, 5-2-1977 n.497 Rv. 384048-01; Cass. Sez. 1, 13-1-1975 n. 102 Rv. 373269-01); inoltre il contrasto tra una ordinanza istruttoria, che non pregiudica il merito della causa e può essere modificata o revocata anche implicitamente, e la successiva sentenza non può dare luogo a contraddittorietà della motivazione, in quanto tale contraddittorietà può sussistere solo nell’ambito del processo logico che conduce alla decisione di merito (Cass. Sez. 2, 29-7-1966 n. 2109 Rv. 324105-01). Specificamente, l’ordinanza con la quale venga concessa o negata, ai sensi dell’art. 648 cod. proc. civ., l’esecuzi one provvisoria del decreto
ingiuntivo riveste i caratteri di interinalità e quindi non è idonea a pregiudicare la pronuncia di merito (Cass. Sez. 1, 5-5-1998 n. 4503 Rv. 515086-01; Cass. Sez. 1, 5-8-1997 n. 7211 Rv. 506434-01, per tutte).
Il terzo motivo di ricorso è ammissibile, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, ed è altresì fondato.
Si premette che l’accertamento in fatto sulla condotta dell’avvocato consistit a nel non avere informato la cliente delle possibilità di perdere la causa e dell’esito presumibilmente negativo del giudizio , che l’ordinanza ha svolto sulla base delle risultanze istruttorie e specificamente, delle dichiarazioni della testimone NOME COGNOME è acquisito definitivamente in causa, in quanto non è stato censurato in termini ammissibili nel giudizio di legittimità dalla parte interessata. Però, dal dato di fatto che NOME COGNOME aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado l’o rdinanza ha tratto la conseguenza che, se anche fosse stata adeguatamente informata dall’avv. COGNOME ella si sarebbe ugualmente costituita nel giudizio di primo grado; sulla base di questa considerazione, ha ritenuto l’inadempimento dell’avvocato di scarso rilievo.
La pronuncia incorre nella violazione dell’art. 2729 cod. civ. lamentata nel motivo, dovendosi dare continuità al principio secondo il quale la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. sussiste quando il giudice di merito fondi la presunzione su fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota (Cass. Sez. 2 21-3-2022 n. 9054 Rv. 66431601). Basti considerare che la scelta della proposizione dell’appello, unico fatto storico sulla base del quale la sentenza ha escluso qualsiasi rilevanza all’inadempimento all’obbligo di informazione, può essere stata -in astratto- determinata anche esclusivamente dalla volontà di non fare passare in giudicato la pronuncia di rigetto di primo grado;
quindi, può essere stata determinata da una finalità in sé avulsa da quella della difesa in primo grado, potendo proporre appello anche il convenuto contumace in primo grado. In altri termini, la circostanza che la cliente abbia deciso di proporre l’impugnazione è dato -in sé solo considerato- neutro, e perciò privo della gravità e precisione, che erano richieste affinché il convincimento del giudice potesse fondarsi soltanto su quel dato al fine di escludere rilievo all’inadempimento del professionista.
L’accoglimento di questo motivo comporta che il giudice del rinvio dovrà nuovamente valutare le conseguenze del profilo di inadempimento dell’avvocato accertato e consistito nel non avere informato la cliente della possibilità di perdere la causa e dell’esito presumibilmente negativo del giudizio.
9. E’ ammissibile e fondato nei termini di seguito esposti anche il quarto motivo di ricorso; ciò per il fatto che l’ordinanza impugnata, seppure ha accertato l’inadempimento dell’avvocato a gli obblighi di informazione che erano a suo carico, in ragione dell’erronea affermazione di irrilevanza di quella condotta che ha comportato l’accoglimento del secondo motivo, non ne ha fatto conseguire alcuna conseguenza, né in ordine al riconoscimento del diritto al compenso del professionista né in ordine alla sua determinazione.
L ‘ordinanza impugnata, nell’ accertare che l’avvocato non aveva informato la cliente della possibilità di perdere la causa e dell’esito presumibilmente negativo del giudizio, ha richiamato Cass. Sez. 3, 197-2019 n. 19520 (Rv. 65456901), secondo cui l’obbligo di diligenza impone all’avvocato di assolvere, sia al momento di conferimento del mandato che nel corso del rapporto, anche i doveri di informazione del cliente, essendo egli tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di
effetti dannosi, di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (nello stesso senso, Cass. Sez. 2 , 30-7-2004 n. 14597 Rv. 57515001, per tutte). Per di più all’epoca dei fatti, essendo stata l’attività professionale svolta in causa civile iniziata nel 2017, era già vigente l’art. 13 co. 5 legge 31 dicembre 2012 n. 247 che, come evidenziato da Cass. Sez. 3, 11-12-2023 n. 34412 (Rv. 669587-01), pone espressamente a carico dell’avvocato l’obbligo di informare il cliente, nel rispetto del principio di trasparenza, del livello di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico; quindi l’obbligazione di informazione inadempiuto nella fattispecie trova titolo anche in quella disposizione.
In linea generale, è già stato affermato dalla Suprema Corte che l’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, nello svolgimento dell’attività professionale è obbligato a prestare la diligenza media esigibile ai sensi dell’ art. 1176 co. 2 cod. civ. (Cass. Sez. 3, 20-5-2015 n. 10289 Rv. 10289; Cass. Sez. 2, 28-10-2004 n. 20869 Rv. 577870-01, per tutte); è indiscutibile che la diligenza di un avvocato di preparazione e attenzione media comprenda anche gli obblighi di informazione al cliente, almeno perché non può essere ignorato il disposto del l’art. 13 legge n. 247/2012. Come specificamente si legge in Cass. Sez. 2, 15-12-2016 n. 25894 (Rv. 642162-01), da pag.5, la violazione della diligenza media comporta inadempimento contrattuale (del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo nel caso in cui, a norma dell’art. 2236 cod. civ. , la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà) e, in applicazione del principi o di cui all’art. 1460 cod. civ., la perdita del diritto al compenso; tuttavia l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460
cod. civ. può essere opposta dal cliente all’avvocato che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale purch é la mancanza di diligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, ed essendo contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove non sia pregiudicata la chance di vittoria in giudizio; quindi, ai fini del riscontro della proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, essenzial e per la fondatezza dell’ exceptio non rite adimpleti contractus, legittimamente il cliente rifiuta di corrispondere il compenso all’avvocato quando costui abbia espletato il proprio mandato incorrendo in omissioni dell’attività difensiva che, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, risultino tali da aver impedito un esito della lite altrimenti ottenibile (nello stesso senso, Cass. Sez. 2, 5-7-2012 n. 11304 Rv. 623151-01; Cass. Sez. 2, 23-42002 n. 5928 Rv. 553970-01, oltre a Cass. Sez. 2, 22-3-2017 n. 7309, non massimata, da pag. 14). Sulla base di questi principi, risulta confermato che rimangono estranei all’indagine gli altri profili della condotta dell’avvocato accertati e descritti dall’ordinanza impugnata, relativi alla tardiva costituzione nel giudizio e al mancato rilievo di questioni processuali in ordine a lla costituzione dell’attore in prosecuzione: la stessa ordinanza impugnata in fatto ha escluso qualsiasi conseguenza negativa per la cliente derivante da quelle scelte difensive e la pronuncia non è stata oggetto di motivo di ricorso ammissibile.
Posto perciò che l’inadempimento del professionista non comporta automaticamente la perdita del diritto al compenso ma si deve valutare se sia conforme a buona fede il rifiuto del cliente di pagare il corrispettivo, si deve altresì considerare che l’inadempimento all’obbligo di informazione come accertato in causa non possa in sé incidere sugli interessi del cliente nel senso di pregiudicare la chance
di vittoria in giudizio, secondo i principi che sono stati sopra esposti; perciò non è sotto questo profilo che si può valutare la legittimità del l’eccezione di inadempimento al fine di non pagare il compenso . Infatti, è evidente che, anche se non aveva adempiuto agli obblighi di informazione nei confronti della cliente, la professionista ha ugualmente potuto svolgere l’attività difensiva in termini tali da non pregiudicare l’esito della lite . Ciò è quanto si è verificato nella fattispecie, perché l’ordinanza impugnata non ha accertato altri profili di colpa professionale in capo all’avvocato che avessero negativamente influito sull’esito del la causa in primo grado o che comunque fossero indicativi di un disinteresse dell’avvocato nello svolgimento dell’attività difensiva; la pronuncia rimane ferma, in mancanza di censura ammissibile in questa sede (senza che possa incidere sulla valutazione del Tribunale il successivo esito della causa nel giudizio di Cassazione, al quale hanno fatto riferimento le parti nelle memorie illustrative). Evidentemente del tutto diverso è il caso nel quale l’omessa informazione al cliente nel corso del giudizio abbia riguardato la possibilità di impugnazione della decisione e le conseguenze dell’omessa impugnazione in termini di definitiva perdita del diritto: in tale caso Cass. Sez. 3, 26-2-2013 n. 4781 (Rv. 625387-01) ha evidenziato che l’errore professionale addebitabile all’avvocato è consistito nella mancata impugnazione e, stanti gli effetti della mancata impugnazione, ha reso del tutto inutile l’attività difensiva precedentemente resa, dovendosi perciò ritenere la prestazione totalmente inadempiuta e improduttiva di effetti in favore dell’assistito, con la conseguenza che in tal caso non è dovuto alcun compenso al professionista. Quindi, in quell’ipotesi la prestazione è stata ritenuta totalmente inadempiuta non in conseguenza dell’omissione dell’obbligo di informazione in quanto tale, ma in conseguenza dell’errore professionale consistito nel non avere provveduto all’impugnazione e
nel non avere informato il cliente delle conseguenze della mancata impugnazione.
Invece, al fine di valutare la rilevanza dell’inadempimento nella fattispecie, rimane utilizzabile il criterio volto ad accertare in quali termini l’omissione di informazione imputabile al professionista sia stato tale da incidere sugli interessi del cliente, dovendo il giudice di merito in primo luogo indagare sull’esistenza di nesso di causa tra l’inadempimento del professionista e lo svolgimento del l’attività per la quale il professionista chiede il corrispettivo. Nel caso in cui l’accertamento sia nel senso che, se adeguatamente informata, NOME COGNOME avrebbe scelto di non costituirsi nel giudizio di primo grado e perciò fosse stata solo la mancanza dell’informazione ad avere determinato lo svolgimento dell’attività giudiziale del professionista, sarebbe giustificato da parte della cliente il rifiuto di pagamento del corrispettivo per quell’attività , in quanto sarebbe conforme a buona fede sollevare l’ eccezione di inadempimento. Evidentemente l’avvocato non può pretendere il compenso con riguardo all’attività che ha svolto soltanto perché ha taciuto al cliente le informazioni che lo avrebbero indotto a non conferirgli l’incarico per la costituzione in giudizio, in quanto la volontà del cliente è stata determinata dalla mancanza di informazioni che il professionista era obbligato a fornire.
Inoltre, nel caso in cui sia esclusa tale ipotesi e perciò l’inadempimento all’obbligo di informazione non giustifichi il rifiuto del pagamento del corrispettivo per l’attività svolta dal professionista a favore del cliente, non può ritenersi che l’inadempimento rimanga privo di conseguenze nella fase della determinazione del compenso medesimo.
Secondo il principio generale posto dall’art. 2233 , co. 2 cod. civ. il compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione e specificamente l’art. 4 co. 1 D.M. 10 marzo 2014 n.
55 da applicare ratione temporis dispone che ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto, tra l’altro, delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata . Quindi, ai fini della valutazione discrezionale dell e caratteristiche dell’attività prestata, e perciò ai fini della valutazione delle caratteristiche qualitative e quantitative delle prestazioni, il giudice di merito ha a disposizione anche i l dato che l’avvocato non abbia adempiuto ai suoi obblighi di informazione; infatti, seppure la cliente abbia comunque poi deciso di proporre l’appello e seppure avrebbe in ogni caso conferito l’incarico per costituirsi nel giudizio di primo grado, questi dati non eliminano l’incidenza causale del precedente inadempimento dell’avvocato sui suoi interessi. Ciò, nel senso che quel profilo di inadempimento si è comunque inserito nella sequenza causale che ha condotto al conferimento dell’incarico e perciò vi ha contribuito; inoltre, quel profilo di inadempimento, in quanto protrattosi nel corso dello svolgimento delle prestazioni permanendo l’obbligo di informazione p er tutta la durata di svolgimento dell’attività professionale – è elemento idoneo a incidere in negativo sulla qualità delle prestazioni rese. Per questo, si tratta di dato del quale il giudice di merito deve dimostrare di tenere conto allorché è chiamato a determinare i compensi per l’attività svolta dall’avvocato .
L’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso nei termini esposti comporta l’assorbimento del qu into motivo; le ragioni svolte nel motivo, in quanto ulteriori rispetto a quelle già svolte e accolte con il quarto motivo, perdono di rilevanza decisoria perché involgono questioni che potranno essere nuovamente esaminate in sede di rinvio.
In conclusione l’ordinanza impugnata è cassata in relazione al terzo e quarto motivo accolti, con rinvio al Tribunale di Savona in diversa composizione, che deciderà facendo applicazione dei principi
esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, regolamentando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo motivo, assorbito il quinto; cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Savona in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 7-5-2025.
La Presidente NOME COGNOME