Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12635 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 12635 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25685/2022 proposto da: COGNOME rappresentata e difesa dall’avv.to COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
NOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza r.g. n. 261/2022 (rep. n. 1880/2022) della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA depositata in data 25/7/2022 e la sentenza n. 18/2022 del TRIBUNALE DI VENEZIA depositata in data 13/1/2022.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate e chiedendo l’accoglimento del primo motivo con assorbimento del secondo.
Uditi i difensori delle parti comparsi in udienza.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza resa in data 25/7/2022, la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348bis c.p.c., l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza (n. 18/2022 del 13/1/2022) con la quale il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda proposta dalla stessa COGNOME per la condanna di NOME COGNOME alla restituzione, in proprio favore, di quanto dalla COGNOME corrisposto al COGNOME a titolo di compensi per il patrocinio professionale di avvocato prestato in favore della COGNOME in occasione di plurime controversie giudiziarie.
A fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha rilevato come l’appello proposto dalla COGNOME non avesse alcuna ragionevole probabilità di essere accolto, dovendo condividersi integralmente le ragioni poste a fondamento della decisione di rigetto pronunciata dal giudice di primo grado, avendo quest’ultimo correttamente accertato l’avvenuta dimostrazione della piena consapevolezza, da parte della COGNOME (nella specie condivisa con lo stesso COGNOME), di revocare l’incarico conferito al precedente difensore (avvenuto con l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato) allo scopo di investire il COGNOME a proprie spese (non essendo il COGNOME iscritto nell’albo dei difensori per il patrocinio a spese dello Stato) e, quindi, di rinunciare ai vantaggi del patrocinio a spese dello
Stato, per poi giustificare la successiva revoca dell’incarico conferito al Mirandola a causa delle proprie difficoltà economiche.
Ciò posto, non essendo applicabile al Mirandola il divieto di percepire somme a titolo di compenso dal cliente non abbiente ammesso al patrocinio a spese dello Stato (in quanto non iscritto nel corrispondente albo), né potendo conferirsi rilevanza alla pretesa mancata informazione, da parte del professionista, circa la possibilità di avvalersi del gratuito patrocinio e delle conseguenze di una sua rinunzia (attesa l’avvenuta dimostrazione della piena contezza, in capo alla Leonardi, del meccanismo di funzionamento del patrocinio a spese dello Stato e dell’inequivoca scelta della stessa per l’assunzione di una difesa a titolo oneroso), l’impugnazione proposta in appello dalla COGNOME doveva ritenersi priva di alcuna ragionevole probabilità di essere accolta.
Avverso l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal giudice d’appello e la sentenza del giudice di primo grado, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Sulle memorie depositate dalle parti, il ricorso è stato avviato a decisione nelle forme della camera di consiglio per l’adunanza del 13/9/2024, allorché, con ordinanza interlocutoria n. 27620 del 24/10/2024, la Terza Sezione civile di questa Corte ha rimesso le parti dinanzi a questo Collegio per la discussione del ricorso in pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, invocando l’accoglimento del primo motivo del ricorso e l’assorbimento del secondo.
Entrambe le parti hanno depositato nuove memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Dev’essere preliminarmente confermata l’effettiva presenza, tra gli atti del giudizio, della procura alle liti rilasciata dalla COGNOME al proprio difensore in relazione a questo giudizio di legittimità, dovendosi in tal senso replicare al rilievo su tale punto sollevato nelle note conclusionali depositate dal Pubblico Ministero.
Con il primo motivo, la ricorrente censura i provvedimenti impugnati per violazione o falsa applicazione della normativa in tema di spese di giustizia e ammissione al patrocinio a spese dello Stato, Parte III, Titolo I, Capo IV, artt. 90 e segg. del d.p.r. n. 115/2002 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere entrambi i giudici del merito erroneamente ritenuto – sulla base di un’illegittima interpretazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio – che la COGNOME avesse volontariamente e consapevolmente inteso assumere ogni onere economico in ordine all’espletamento dell’incarico difensivo conferito al Mirandola, in contrasto con i contenuti della disciplina normativa in materia di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nonché in contrasto con i contenuti dell’ordinamento della professione forense, così come integrato dal codice deontologico forense approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31/1/2014.
Secondo la ricorrente, infatti, dai contenuti della disciplina normativa richiamata in ricorso i giudici del merito avrebbero dovuto desumere l’obbligo dell’avvocato non iscritto agli elenchi dei difensori patrocinatori a spese dello Stato – subentrato nella difesa di una cliente già ammessa al patrocinio a spese dello Stato – di procedere in ogni caso alla dettagliata informazione dei rischi che sarebbero potuti derivare alla stessa cliente dal mancato inserimento del difensore nell’elenco dei patrocinatori a spese dello Stato, nonché di desumere
l’obbligo del COGNOME di sottostare agli stessi vincoli dei difensori così qualificati.
Il motivo è inammissibile.
Osserva preliminarmente il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui il giudizio di appello si concluda con l’ ordinanza ex art. 348bis c.p.c., l ‘ impugnazione può essere proposta soltanto avverso la sentenza di primo grado ex art. 348ter , co. 3 c.p.c., atteso che l’impugnazione per cassazione della predetta ordinanza è consentita solo quando questa sia affetta da vizi suoi propri, ossia quando sia pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consente oppure sia affetta da vizi processuali (cfr. Sez. 2, ordinanza n. 35279 del 30/11/2022, Rv. 666324 – 01).
Nel caso di specie, avendo la ricorrente dichiarato di voler impugnare le decisioni di entrambi i giudici di merito, la censura in esame deve ritenersi inammissibile nella parte in cui risulta diretta avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello, trattandosi di una censura attinente al merito della controversia e non limitata alla sola contestazione di vizi processuali propri dell’ordinanza ex art. 348ter c.p.c. o dell’avvenuta pronuncia di quest’ultima al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
Tanto premesso, la censura in esame è inammissibile anche nella parte in cui risulta diretta avverso la decisione del giudice di primo grado.
Sul punto, al di là della correttezza dell’ interpretazione delle norme richiamate in ricorso (così come prospettata dalla ricorrente), varrà sottolineare come entrambi i giudici del merito, nel considerare gli elementi di prova acquisiti al giudizio (attraverso il legittimo esercizio dei propri poteri di valutazione discrezionale), abbiano evidenziato l’avvenuta dimostrazione, non solo che la COGNOME avesse
avuto piena consapevolezza della circostanza che l’avvocato COGNOME non fosse iscritto all’elenco dei patrocinatori a spese dello Stato, ma che la stessa avesse espressamente inteso avvalersi, in ogni caso e a titolo oneroso, delle prestazioni di tale avvocato in ragione delle sue specifiche qualità professionali, manifestando in modo chiaro (e condiviso con l’avvocato COGNOME) l ‘ intenzione di rinunciare ai benefici del patrocinio a spese dello Stato e di far fronte con i propri mezzi economici agli oneri di tale difesa, e rivelando inequivocamente il sopravvenuto venir meno di alcun interesse a ricorrere ai vantaggi economici di cui avrebbe potuto usufruire attraverso il ricorso al patrocinio a spese dello Stato, del quale pure aveva fino a tale momento beneficiato.
Ciò posto, la doglianza in esame, nel sostenere l’avvenuta violazione dell’obbligo del Mirandola di informare la cliente della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, trascura di considerare che la verifica in fatto operata nella sentenza gravata ha condotto alla conclusione secondo cui la ricorrente era ben consapevole della possibilità offerta dalla legge in favore di chi versasse nelle sue condizioni economiche, ma che aveva comunque preferito avvalersi, sebbene con la conseguenza di doverne sopportare in proprio l’onere, delle prestazioni del Mirandola.
In tale ottica, risulta altrettanto evidente l’insussistenza della violazione dell’art. 85 del d.p.r. n. 115/2002, che disciplina specificamente l’attività del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato di non richiedere altri compensi oltre quelli liquidati a carico dell’erario, ma che non è invece applicabile alla fattispecie in esame, nella quale il rapporto professionale è stato volutamente instaurato prescindendo dalla possibilità di avvalersi della menzionata
ammissione (v., in termini, Sez. 2, ordinanza n. 5710 del 2 marzo 2020).
Da qui l’inammissibilità della censura in esame, non solo nella parte in cui prospetta l’eventualità di una rilettura nel merito dei mezzi di prova e dei fatti di causa (segnatamente in relazione alla ricostruzione della comune consapevolezza, della COGNOME e del Mirandola, della rinuncia della prima al patrocinio a spese dello Stato a fine di assumere a titolo oneroso il secondo) sulla base di una impostazione critica non consentita in sede di legittimità, ma anche là dove intende conferire rilevanza decisiva al ricorso di pretese omissioni informative imputabili al COGNOME nei confronti di un soggetto, la COGNOME, il cui patrimonio informativo (tanto in ordine al significato della mancata iscrizione di quest’ultimo agli elenchi dei patrocinatori a spese dello Stato, quanto all’entità delle conseguenze economiche connesse alla consapevole rinuncia di tale beneficio e all’assunzione del COGNOME come difensore) risultava essere integrato nella completezza delle sue implicazioni, secondo quanto emerso dagli atti di causa in forza della coerente lettura fornitane da entrambi i giudici del merito.
È appena il caso di rilevare come debba ritenersi ragionevolmente priva di congruenza la pretesa di ritenere ancora persistente, in capo al Mirandola, la cogenza di obblighi informativi a beneficio di un soggetto, la COGNOME, che aveva già adeguatamente acquisito piena consapevolezza del significato e del tenore delle conseguenze connesse alle proprie scelte (sì che, quanto dovuto dal primo, nulla avrebbe potuto aggiungere al patrimonio informativo della seconda), dovendo per ciò solo ritenersi che l’assolvimento di detti oneri informativi (ormai privi di concreta ed effettiva rilevanza) in altro non sarebbe consistito se non nello sterile adempimento di un inutile formalismo burocratico.
Con il secondo motivo, la ricorrente censura i provvedimenti impugnati per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere i giudici del merito erroneamente omesso di esaminare la questione concernente il mancato rispetto, da parte dell’avvocato COGNOME degli obblighi informativi sullo stesso incombenti in ordine alla propria qualità di avvocato non iscritto negli elenchi dei patrocinatori a spese dello Stato, nonché la decisiva questione concernente il mancato rispetto degli obblighi informativi connessi a tutte le circostanze che avrebbero indotto l’interessata ad astenersi dal conferimento di un incarico professionale economicamente molto oneroso per la stessa.
Il motivo è inammissibile.
Osserva il Collegio come -al di là dell’ammissibilità della censura ai sensi dell’art. 348ter c.p.c. (che la ricorrente vorrebbe riconosciuta sul presupposto che il solo giudice d’appello avrebbe effettivamente considerato la questione di merito) -là dove la doglianza in esame fosse da intendere come riferita alla decisione del giudice di primo grado, la stessa si risolverebbe nella denuncia dell’omesso esame di un fatto (la mancata informazione della COGNOME imputabile al Mirandola) di cui non risulta affatto argomentata la decisività.
Al contrario, proprio sulla base di quanto illustrato dalla Corte territoriale, la circostanza in esame risulta del tutto priva di rilevanza decisiva, avendo il giudice d’appello sottolineato come gli elementi di prova acquisiti al giudizio avessero dato pienamente conto del fatto che la COGNOME fosse perfettamente consapevole, tanto dei meccanismi di funzionamento del l’istituto del patrocinio a spese dello Stato (del quale la stessa aveva già precedentemente usufruito), quanto della circostanza che l’avvocato COGNOME non fosse iscritto nell’elenco dei
patrocinatori a spese dello Stato e che, conseguentemente, tutti gli oneri economici relativi alla difesa del Mirandola (che la stessa COGNOME accettò di assumere in modo espresso) sarebbero ricaduti integralmente su di sé: circostanze, tutte, rese note e condivise con lo stesso Mirandola, sì che quand’anche il giudice di primo grado avesse considerato l’omissione informativa da parte del professionista (ove mai trascurata) la stessa non avrebbe ragionevolmente esercitato alcuna sicura decisività sull’esito della decisione.
La censura è parimenti inammissibile pur quando intesa come rivolta alla denuncia di un preteso omesso esame imputabile a ll’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’appello, avendo quest’ultima espressamente preso in considerazione la circostanza il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso, giudicandola del tutto sfornita di rilevanza.
Sulla base di tali premesse, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Devono essere infine disattese le istanze (datate 25.2.2025 e 30.8.2024) avanzata dal difensore della ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, volte alla liquidazione delle spese e dei compensi professionali, trovando al riguardo applicazione l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale la Corte di cassazione non è competente alla liquidazione dei compensi al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio, atteso il tenore dell’art. 83, comma 2 del d.P.R. n. 115 del 2002, senza che conclusioni diverse possano trarsi dal comma 3bis del medesimo art. 83 introdotto dall’art. 1 della l. n. 208 del 2015 – che nell’imporre al giudice l’adozione del decreto di pagamento ‘ contestualmente alla pronuncia
del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta ‘ , esplicita solo una finalità acceleratoria senza incidere sulle regole di competenza per la liquidazione (cfr. Sez.1, ordinanza n. 11677 del 16/06/2020, Rv. 657953 – 01).
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 1.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione