Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2759 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 8001/2023 R.G.) proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in Milano, al INDIRIZZO presso lo studio de ll’ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4556/2022, pubblicata il 28 settembre 2022;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
FATTI DI CAUSA
1.- Con ricorso ex art. 6 d.lgs. n. 150 del 2011, il notaio NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto sanzionatorio n. 401496, emesso il 29 giugno 2018, dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze, che gli
n. 8001/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 8 ottobre 2024
Sanzioni amministrative
infliggeva la sanzione amministrativa pecuniaria di €. 200.000,00 (euro duecentomila/00), per avere omesso di segnalare tempestivamente all’UIF della Banca d’Italia, in violazione dell’art. 41 d.lgs. n. 231 del 2007 (attuale art. 35, come modificato e integrato dal d.lgs. n. 90 del 2017) operazioni finanziarie sospette, eseguite nel mese di aprile dell’anno 2010, con atti rogati presso il suo studio concernenti le società RAGIONE_SOCIALE Conegliano (TV) e RAGIONE_SOCIALE di Treviso, per un ammontare di €. 8.000.000,00 (euro ottomilioni/00).
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con sentenza n. 12738/2020, accoglieva parzialmente l’ opposizione del professionista e riduceva la sanzione all’importo di €. 100.000,00 (euro centomila/00).
2.- La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4556/2022, pubblicata il 28 settembre 2022, accoglieva l’appello del notaio limitatamente alle spese del giudizio di primo grado osservando per quanto di interesse in questa sede:
che non erano fondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate dall’appellante in relazione alla normativa antiriciclaggio (d.lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal d.lgs. n. 90 del 2017); in particolare, la Corte di merito ha affermato che il regime sanzionatorio a carico della platea dei trasgressori, compresi i professionisti, è ragionevole e proporzionato e non si pone in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di adeguatezza e ragionevolezza della sanzione pecuniaria, né con quelli di buon andamento e imparzialità dell’azione ammi nistrativa e di determinatezza delle norme di carattere sanzionatorio; inoltre ha escluso l’illegittimità costituzionale per violazione della legge delega ;
che la contestazione aveva tratto origine da accertamenti valutari compiuti dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Treviso, volti a riscontrare la corretta e puntuale osservanza delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231 del 2007, a seguito della concessione del nulla osta ai fini amministrativi da parte della Procura della Repubblica di Treviso, nel contesto delle indagini di polizia giudiziaria da questa A.G. nell’ambito del procedimento penale n. 3505/2011; in particolare, gli approfondimenti si erano si concentrati sui fascicoli relativi alla stipula di due atti, mediante i quali la società scozzese denominata RAGIONE_SOCIALE rappresentata dal
procuratore NOME COGNOME aveva sottoscritto l’aumento di capitale di due società italiane, mediante apporto di titoli obbligazionari emessi da una società statunitense denominata RAGIONE_SOCIALE;
c) che, in dettaglio, gli atti notarili contestati erano: 1) il verbale di assemblea rogato in data 8 aprile 2010, con il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto l’aumento di capitale della Società Finanziaria Italiana S.p.A. di Treviso per un valore periziato di €. 6.500.000 (euro seimilionicinquecentomila/00); 2) il verbale di assemblea rogato in data 13 aprile 2010, con il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto l’aumento di capitale con sovrapprezzo della società RAGIONE_SOCIALE Conegliano (TV), per un valore periziato di €. 1.500.000 (euro unmilionecinquecentomila/00);
d) che « Dall’esame dei relativi fascicoli, i verbalizzanti rilevavano la non completa osservanza degli obblighi di adeguata verifica, essendo emersa l’assenza di informazioni identificative del titolare effettivo della RAGIONE_SOCIALE che il professionista era tenuto ad acquisire ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. c), n. 5) dell’allora vigente d.lgs. n. 231/2007, trattandosi di atti riguardanti “la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi”. Né dalla modulistica fornita si riteneva potesse evincersi che fosse stato espressamente richiesto al cliente, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 231/2007, di riferire in merito al titolare effettivo della RAGIONE_SOCIALE soprattutto in considerazione della affermata impossibilità di reperire documentalmente, attraverso la consultazione dei pubblici registri inglesi, le informazioni utili all’adempimento in questione. I verbalizzanti rilevavano quindi l’inottemperanza dell’ex art. 23, comma 3, del citato decreto legislativo che prescrive l’inoltro della segnalazione quando non sia possibile rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela e il professionista sia impossibilitato per legge ad astenersi dalla prestazione, anche a prescindere dalla sussistenza di elementi di sospetto. Dal momento che tale violazione, all’epoca dei fatti era sanzionata penalmente, a norma dell’art. 55, comma 1, i verbalizzanti inoltravano all’A.G. competente apposita comunicazione di notizia di reato. In conseguenza della depenalizzazione intervenuta “con il D.Lgs. n. 8 del 15/01/2016 che ha riguardato anche il reato di cui al menzionato art. 55 comma 1, la
Procura della Repubblica di Treviso, rinviava gli atti all’autorità competente, la quale, il 2 settembre 2016 provvedeva alla relativa contestazione amministrativa. »;
e) che, nel caso di specie, oltre alla mancanza di informazioni in merito al titolare effettivo della RAGIONE_SOCIALE venivano riscontrati elementi di sospetto relativi alle operazioni esaminate, quali l’ingente valore complessivo delle operazioni di aumento del capitale , a favore di società scarsamente capitalizzate e le modalità di conferimento del capitale, atipiche in ragione della provenienza delle obbligazioni apportate e dell’interposizione di soggetti economici residenti in stati diversi (i titoli erano stati emessi dalla RAGIONE_SOCIALE a favore della RAGIONE_SOCIALE per l’assegnazione alle due società italiane);
f) che, dunque, i verbalizzanti avevano riscontrato quindi la presenza di due indici di anomalia di cui al provvedimento della Banca d’Italia del 24 febbraio 2006 (istruzioni applicative in materia di antiriciclaggio ai professionisti e vigente al momento del compimento delle operazioni), relativi alla costituzione e all ‘ amministrazione di imprese, società, trust ed enti analoghi e, cioè, quello relativo a prestazioni professionali concernenti « operazioni di natura societaria palesemente rivolte a perseguire finalità di dissimulazione o di ostacolo all’identificazione della effettiva titolarità e della provenienza delle diponibilità finanziarie coinvolte » e quello relativo a clienti che « intendono effettuare conferimenti in società o altri enti con modalità tali da risultare palesemente incoerenti con il loro profilo economico o con le finalità della società o dell’ente conferitario »;
g) che con il primo motivo d’appello , il notaio aveva riproposto l’eccezione di violazione dell’art. 41 d.lgs. n. 231 del 2007, deducendo che per alcuna delle operazioni contestate sussistevano indicatori di anomalia, tali da far sorgere l’obbligo di segnalazione, non avendo i verbalizzanti correttamente valutato l’ appartenenza della RAGIONE_SOCIALE a un ordinamento giuridico straniero caratterizzato , all’epoca dei fatti, dall’assenza di pubblicità sulle informazioni relative alla compagine sociale e non consentiva quindi ai soggetti obbligati un ‘ individuazione autonoma e documentale dei titolari delle partecipazioni;
h) che tale censura era infondata, in quanto « nel caso in esame, il professionista ha rogato due verbali di assemblea per mezzo dei quali veniva disposto – da parte di una società scozzese di cui non era noto l’effettivo titolare – l’aumento di capitale per complessivi 8 milioni di Euro di due società italiane scarsamente capitalizzate. Tale aumento aveva luogo per mezzo del conferimento di titoli obbligazionari emessi a favore della società scozzese da una società americana e non negoziati in mercati regolamentati, in assenza di indicazioni sull’origine dei fondi utilizzati per il relativo acquisto. Pertanto, appare congruo ritenere che la varia provenienza dei soggetti coinvolti, la singolarità delle modalità di conferimento, la sproporzione tra l’ingente aumento di capitale effettuato e la scarsa capitalizzazione delle due società italiane, l’impossibilità di individuare il titolare della società scozzese avrebbero dovuto fondare la consapevolezza della sussistenza dei presupposti per la prescritta segnalazione all’U.I.F., al fine di poter consentire di valutare e effettuare gli opportuni approfondimenti. » (cfr., all’uopo, la sentenza impugnata, a pag. 4);
i) che, del resto, il fatto che il regime societario delle private limited companies assicurasse la segretezza in merito al titolare della RAGIONE_SOCIALE contribuiva a rendere la fattispecie ulteriormente opaca, richiedendo, dunque, la segnalazione da parte del notaio, senza che tale circostanza potesse – al contrario – esonerarlo dall’obbligo di segnalazione; in altri termini, come già evidenziato dal giudice di prime cure, « il professionista quand’anche si fosse trovato nell’impossibilità di acquisire informazioni in ordine all’effettivo titolare della società RAGIONE_SOCIALE per i limiti di segretezza imposti dal diritto anglosassone … , a maggior ragione sarebbe stato tenuto alla segnalazione, per quanto disposto nell’art. 23 co. 3 del testo di legge nella formulazione vigente ratione temporis »;
j) che, con riguardo al secondo motivo di appello, andava rilevato come con l’introduzione del d.lgs. n. 90 del 2017 fosse stata prevista (art. 58, comma 1) la sanzione amministrativa pecuniaria in misura fissa, pari a €. 3.000,00 e, in misura compresa fra il minimo di € . 30.000,00 (euro trentamila/00) e il massimo di € . 300.000,00 (euro trecentomila/00), « nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime »;
k) che, già alla stregua della sentenza di primo grado, la gravità della violazione era stata determinata tenendo conto degli indici previsti dall’art. 58 d.lgs. n. 90 del 2017;
l) che, nella specie, tenuto conto dell’ingente entità dei valori conferiti, in un breve arco temporale, dalla RAGIONE_SOCIALE (complessivi otto milioni di euro), della sua riferibilità ad un soggetto giuridico (private limited company) istituzionalmente connotato da opacità (per l’assenza di pubblicità in ordine alla sua compagine sociale), che configuravano altrettanti indici di anomalia oggettiva, e quindi della concreta apprezzabilità della sussistenza dei presupposti per la segnalazione, doveva condividersi la valutazione del primo giudice quanto alla sussistenza di un ‘ ipotesi ‘ grave ‘ , per la quale tuttavia la sanzione era stata congruamente rideterminata nella misura intermedia di €. 100.000,00 (euro centomila/00), in luogo di quella più vicina al massimo determinata dal Ministero dell’Economia e della Finanze , in ragione della sussistenza di una soltanto delle ipotesi previste dalla norma per l’applicabilità del comma 2 , cosicché era da ritenersi equo riservare l’applicazione di sanzioni più gravi ai casi in cui venisse in rilievo una pluralità degli indici di gravità.
3.- Avverso la menzionata sentenza, il Notaio COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi contrastati con controricorso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze .
4.- Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione di norme costituzionali (artt. 3, 24, 25, 76 e 97), perché la Corte d’Appello di Roma, disattendendo i rilievi mossi dall’appellante alla normativa antiriciclaggio, non ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 58, commi 1 e 2, 62, comma 4 (quest’ultimo sia nella formulazione vigente che in quella modificata dal d.lgs. n. 90 del 2017), 65 comma 9 e 68 d.lgs. n. 231 del 2007 per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 76, 97 Cost..
La censura è inammissibile.
Ed invero, essa è redatta sostanzialmente riproponendo la doglianza già sviluppata nell’atto di citazione introduttivo del giudizio d’ appello (alle pagg. 14 e segg.) e, conclusivamente (cfr. pagg. 6 – 12 del ricorso per cassazione), senza sottoporre a specifica critica il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito, per disattendere l’eccezione di incostituzionalità della normativa antiriciclaggio, afferma laconicamente che, ove la Corte d’ Appello avesse « valutato compiutamente » i rilievi dell’appella nte, avrebbe senz’altro sollevato questione di legittimità costituzionale.
Il rilievo non è correttamente proposto perché non reca la specifica critica della norma di legge ordinaria della cui costituzionalità la parte dubita. Non viene sollecitata la Corte di cassazione, per il tramite di una articolata censura, a rimettere gli atti alla Corte costituzionale.
Le Sezioni Unite della Corte (Sentenza n. 25573 del 12 novembre 2020, Rv. 659459-01) affermano che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata. Nel caso in esame si chiede solo la cassazione della sentenza impugnata.
Aggiungasi che sempre le Sezioni Unite (Sentenza SSUU n. 11167 del 6 aprile 2022, Rv. 664412-01), hanno successivamente chiarito che la violazione o falsa applicazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. quando tali norme siano di immediata applicazione, non essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.
Nella specie, il ricorrente non fa menzione di norme di rango costituzionale di immediata applicazione, né argomenta alcunché in proposito, cosicché la censura da lui proposta esibisce chiari profili di inammissibilità.
2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli
artt. 41 e 2 d.lgs. n. 231 del 2007, il primo nella formulazione in vigore ‘ ratione temporis ‘ (attuale art. 35) .
Si assume, al riguardo, che la Corte di merito non avrebbe colto che nella fattispecie concreta non esistevano gli indici di anomalia, ricollegabili alla disciplina antiriciclaggio, delle operazioni sottese agli atti rogati dal notaio COGNOME il quale , pertanto, non era tenuto all’obbligo di segnalazione di cui all’art. 41 d.lgs. n. 231 del 2007.
E questo perché – obietta il ricorrente – in mancanza del passaggio di denaro o di un profitto illecito, suscettibili, anche astrattamente, di essere oggetto di riciclaggio, difetterebbe, in radice, il requisito basilare dell’obbligo di segnalazione, e cioè il riciclaggio medesimo, effettivo o anche solo sospetto.
La censura è infondata.
Il comma 1 dell’art. 2 ( rubricato « Finalità e principi ») del d.lgs. n. 231 del 2007, testualmente dispone: « Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività ».
L’art. 41 ( rubricato « Flusso di ritorno delle informazioni »), dello stesso decreto, nella versione ‘ ratione temporis ‘ vigente, testualmente disponeva: « I soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 11, 12 , 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico ».
Così delineata la cornice legislativa, rileva il Collegio che la Corte territoriale, attenendosi al dato normativo, alla stregua di un
apprezzamento di merito della fattispecie concreta, che si sottrae al sindacato di legittimità demandato a questa S.C., ha ravvisato la condotta sospetta nelle operazioni poste in essere dalla clientela del ricorrente, per il tramite de gli atti notarili redatti da quest’ultimo (delibere di aumento di capitale, emissione di strumenti finanziari), chiarendo che « la varia provenienza dei soggetti coinvolti, la singolarità delle modalità di conferimento, la sproporzione tra l’ingente aumento di capitale effettuato e la scarsa capitalizzazione delle due società italiane, l’impossibilità di individuare il titolare della società scozzese avrebbero dovuto fondare la consapevolezza della sussistenza dei presupposti per la prescritta segnalazione all’U.I.F., al fine di poter consentire di valutare e effettuare gli opportuni approfondimenti. » (cfr., all’uopo, la sentenza impugnata, a pag. 4); sempre secondo la Corte di merito, il fatto che il regime societario delle private limited companies assicurasse la segretezza in merito al titolare della RAGIONE_SOCIALE aveva contribuito a rendere la fattispecie ulteriormente opaca, richiedendo, dunque, la segnalazione da parte del notaio, senza che tale circostanza potesse – al contrario – esonerarlo dall’obbligo di segnalazione, giacché, come già evidenziato dal giudice di prime cure, il professionista quand’anche si fosse trovato nell’impossibilità di acquisire informazioni in ordine all’effettivo titolare della società RAGIONE_SOCIALE per i limiti di segretezza imposti dal diritto anglosassone, a maggior ragione sarebbe stato tenuto alla segnalazione, per quanto disposto nell’art. 23, comma 3, d.lgs. n. 231 del 2007.
Secondo la Corte distrettuale, dunque, al momento della stipula degli atti, si profilavano numerosi elementi oggettivi di anomalia delle operazioni societarie sottostanti che avrebbero dovuto mettere in allarme in notaio, quali: l’elevatissimo valore cartolare delle operazioni, la scarsa capitalizzazione delle società italiane coinvolte, la singolarità delle modalità di conferimento (attraverso titoli obbligazionari non negoziati in mercati regolamentari ed emessi, in favore della società scozzese, da una società americana), l’assenza di indicazioni circa l’origine dei fondi utilizzati per il relativo acquisto, l’impossibilità di individuare i titolari della società scozzese.
Pertanto, ad avviso della Corte d’Appello, se il notaio avesse preso in considerazione questi dati avrebbe dovuto sospettare che stava rogando
atti potenzialmente valevoli al perseguimento di obiettivi illeciti. Donde, anche, sul piano soggettivo, la violazione dello standard minimo di diligenza richiesto al notaio, fermo il rilievo che, in materia di sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 3, legge n. 689/1981, ai fini della responsabilità è sufficiente la colpa del professionista.
Coerenti con le considerazioni fin qui svolte sono del resto le Linee Guida in materia di adeguata verifica della clientela, approvate dal Consiglio Nazionale del Notariato nella seduta del 4 aprile 2014 che, sebbene non ancora in vigore all’epoca dei fatti, agevolano però l’interprete nella lettura del dato normativo.
Degno di nota è che, tra l’altro, il deliberato del CNN – Sezione II (rubricato « Elementi per la valutazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo ») – con riferimento agli obblighi di adeguata verifica posti dal decreto antiriciclaggio a carico dei notai, mette in evidenza che la normativa antiriciclaggio « prevede che il professionista deve essere in grado di dimostrare che nello svolgimento della sua attività adotta misure adeguate all’entità del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. In caso di anomalie emerse in sede di adeguata ver ifica, in via cautelare, è opportuno che il notaio conservi traccia scritta dell’iter logico che lo ha indotto a ritenere non sussistenti i presupposti per la segnalazione di operazione sospetta alla UIF. Tale cautela, in caso di controllo ispettivo, anche a distanza di tempo, potrebbe agevolare la dimostrazione della diligenza osservata dal notaio nell’assolvimento dell’obbligo di adeguata verifica ».
Priva di fondamento è, perciò, l’osservazione del ricorrente secondo cui l’obbligo di segnalazione non sorge se non si è in presenza di uno dei delitti di cui agli artt. 648 bis e 648 ter c.p. (riciclaggio; impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita).
Vero è, piuttosto, che le misure del decreto antiriciclaggio si fondano sulla collaborazione attiva da parte dei destinatari (compresi i notai) delle disposizioni in esso previste, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia
dell’osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
L’obbligo di segnalazione a carico del notaio scatta in presenza di operazioni sospette e anomale in base ai parametri oggettivi o soggettivi indicati dal decreto antiriciclaggio e, al contrario di quanto prospetta il ricorrente, non presuppone necessariamente che il notaio abbia acquisito e che comunque sia in possesso di indizi circa la provenienza delittuosa dei beni e dei diritti oggetto di trasferimento.
Il tema è già stato affrontato dalla giurisprudenza di questa sezione (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 1798 del 17 gennaio 2024, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 24396 dell’11 settembre 2024, Rv. 672288-01), con riferimento all’analoga fattispecie degli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette a carico dei funzionari degli istituti di credito, ed è stato risolto con l’ affermazione del principio di diritto secondo cui « la segnalazione dell’operazione sospetta ha la funzione di mero filtro, attraverso il quale l’Ufficio Italiano dei Cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che può anche concludersi, ai sensi dell’art. 3, comma 4, lettera f), d.l. n. 143 del 1991, con un’archiviazione in via amministrativa, prima di qualsiasi indagine di polizia giudiziaria » (cfr. Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20647 dell’8 agosto 2018, Rv. 650003-01, 650003-02, 650003-03, in motivazione, nonché Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 9312 del 18 aprile 2007, Rv. 596556-01, sempre in motivazione).
3.- Con il terzo e ultimo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 68 e 69 d.lgs. n. 231 del 2007, per avere la Corte di merito determinato la sanzione a carico dell’odierno ricorrente in violazione e falsa applicazione dell’art. 68 d.lgs. n. 231 del 2007, applicabile al caso di specie ex art. 69 del novellato d.lgs. n. 231 del 2007, nonché per il mancato rispetto dei criteri per l’applicazione della sanzione previsti dall’art. 67 d.lgs. n. 231 del 2007 e, i nfine, deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non aver applicato la sanzione in misura ridotta.
Più specificamente, sotto un primo profilo, il ricorrente richiama la disposizione normativa di cui all’art. 58 d.lgs. n. 231 del 2007 , come novellato mediante il d.lgs. n. 90 del 2017, secondo cui: « 1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro.
Salvo che il fatto costituisca reato e salvo quanto previsto dall’articolo 62, commi 1 e 5, nelle ipotesi di violazione gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria dal 30.000 euro a 300.000 euro. La gravità della violazione è determinata anche tenuto conto: a) dell’intensità e del grado dell’elemento soggettivo, anche avuto riguardo all’ascrivibilità, in tutto o in parte, della violazione alla carenza, all’incompletezza o alla non adeguata diffusione di prassi operative e procedure di controllo interno; b) del grado di collaborazione con le autorità di cui all’articolo 21, comma 2, lett. a); c) della rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto, anche avuto riguardo al valore dell’operazione e al grado della sua coerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo rapporto; d) della reiterazione e diffusione dei comportamenti, anche in relazione alle dimensioni, alla complessità organizzativa e all’operatività del soggetto obbligato. ».
Sostiene, dunque, che alcuno dei parametri richiamati dalla sentenza impugnata ai fini dell’individuazione della gravità della violazione troverebbe rispondenza nel testo della norma sopra menzionata e nella propria condotta professionale.
In particolare, quanto all’intensità e al grado dell’elemento soggettivo, quest’ultimo in termini di coscienza e volontarietà, rileva che quest’ultimo non poteva ritenersi integrato, giacché non sussistevano gli elementi oggettivi e soggettivi di anomalia in riferimento ad una operazione di riciclaggio, anche solo sospettata, e di conseguenza non era possibile una rappresentazione, sotto forma dolosa o colposa, della violazione, cosicché nemmeno elementi valevoli a destare motivi di sospetto, come previsto dall’art. 58, comma 2, lettera c), d.lgs. n. 231 del 2007.
Con riguardo al grado di collaborazione con le autorità, il ricorrente evidenzia di averla prestata al massimo livello, fornendo le informazioni richieste e rendendosi disponibile nel rendere dichiarazioni e spiegazioni.
Infine, quanto al profilo attinente alla reiterazione e diffusione dei comportamenti, il ricorrente precisa di non aver mai subito sanzioni di qualsivoglia natura.
Sotto altro profilo, il ricorrente, dopo aver richiamato i criteri previsti ex art. 67 d.lgs. n. 231 del 2007 ai fini dell’applicazione della sanzione, evidenzia che:
quanto alla gravità e durata della violazione e al grado di responsabilità, la sentenza impugnata avrebbe fatto discendere il proprio giudizio da indici molto vaghi, quali l’entità delle operazioni e la loro riferibilità ad un soggetto « opaco »;
-quanto all’entità del vantaggio , egli non ne avrebbe ottenuto alcuno;
quanto al livello di cooperazione con le autorità, egli avrebbe prestato la massima collaborazione, sia consegnando immediatamente la documentazione che gli era stata richiesta, sia fornendo qualsiasi informazione che si era resa necessaria durante le operazioni di verifica;
quanto alle precedenti violazioni della normativa antiriciclaggio, egli non risultava essere mai stato sanzionato.
In definitiva, alla stregua della prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, sussisterebbe una violazione dell’art. 69 d.lgs. n. 231 del 2007, giacché, in relazione all’illecito contestato , dovrebbe ritenersi più favorevole il regime sanzionatorio risultante a seguito delle modificazioni introdotte dal d.lgs. n. 90 del 2017, cosicché esso avrebbe dovuto essere rideterminato dalla Corte distrettuale nella misura del minimo edittale di cui all’art. 58 , comma 1, d.lgs. n. 231 del 2007.
Sotto un terzo profilo, il ricorrente invoca l’applicazione dell’ art. 68 d.lgs. n. 231 del 2007, evidenziando che tale disposizione ha introdotto la facoltà, per il destinatario del provvedimento sanzionatorio, di chiedere al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento della sanzione in misura ridotta, comportante una riduzione della sanzione pari ad un terzo della stessa e che tale istituto si applica a tutti provvedimenti sanzionatori,
già notificati agli interessati, ma non ancora divenuti definitivi al momento dell’entrata in vigore dell a disposizione normativa di cui si tratta.
Il motivo risulta destituito di fondamento sotto ogni profilo in cui si articola.
Nell’individuazione del trattamento sanzionatorio più favorevole, ex art. 69 del d.lgs. n. 231 del 2007, come introdotto dal d.lgs. n. 90 del 2017, tra la disciplina – vigente al momento della commessa violazione di cui al d.l. n. 143 del 1991 e al d.lgs. n. 231 del 2007, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 90 del 2017 e quella derivante da tali modifiche, non è sufficiente prendere in considerazione i minimi e i massimi edittali contemplati dalle diverse normative occorrendo, al contrario, un apprezzamento di fatto delle circostanze di commissione dell’illecito, ex art. 67 d.lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal d.lgs. n. 90 del 2017, dovendo la comparazione fondarsi come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2017 sull’individuazione in concreto del regime complessivamente più favorevole per la persona, avuto riguardo a tutte le caratteristiche del caso specifico (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20697 del 9 agosto 2018, Rv. 650011-01).
Orbene, quanto ai primi due sub motivi, nella motivazione della sentenza impugnata, a pag. 5, la Corte di merito fa chiaro riferimento agli indici previsti d all’art. 58 , comma 2, d.lgs. n. 231 del 2007, come modificato all’esito dello ius superveniens di cui al d.lgs. n. 90 del 2017 e motiva sulla base di tali indici, confermando la sanzione già applicata in primo grado e affermando che: « tenuto conto dell’ingente entità dei valori conferiti, in un breve arco di tempo, dalla RAGIONE_SOCIALE (complessivi otto milioni di curo), della sua riferibilità ad un soggetto giuridico (private limited company) istituzionalmente connotato da opacità (per l’assenza di pubblicità in ordine alla sua compagine sociale), che configuravano altrettanti indici di anomalia oggettiva, e quindi della concreta apprezzabilità della sussistenza dei presupposti per la segnalazione, si reputa di condividere la valutazione del primo giudice quanto alla sussistenza di una ipotesi “grave”, per la quale tuttavia la sanzione è stata congruamente rideterminata nella misura intermedia di euro 100.000, in luogo di quella più vicina al massimo determinata dal MEF, atteso che
sussiste solo una delle ipotesi (in particolare quella sub b) previste dalla norma per l’applicabilità del comma 2, e appare pertanto equo riservare in una logica di proporzionalità l’applicazione di sanzioni più gravi ai casi in cui ricorra una pluralità degli indici di “gravità”. ».
In tal senso, dunque, le censure di cui si tratta mirano, con tutta evidenza, ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda fattuale e una diversa valutazione in concreto degli elementi da essa emergenti, ai fini della riconducibilità dell’illecito ad un’ipotesi non connotata dalla presenza degli indici di gravità valevoli a giustificare – come invece ritenuto dal giudice di prime cure e confermato dalla Corte distrettuale l’applicazione dei limiti edittali di cui al comma 2 dell’art. 58 d.lgs. n. 231 del 2007.
Ne deriva che esse si infrangono contro il principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice e secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. » (Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01).
Del resto, questa Corte ha più volte chiarito altresì che non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; invero le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr., in tal senso ed ex permultis , Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01; Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01).
Peraltro, acclarato che la Corte di merito ha condiviso la rideterminazione della sanzione nella misura intermedia di €. 100.000,00 (euro centomila/00) già operata dal giudice di prime cure, in luogo di
quella più vicina al massimo originariamente determinata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze , deve soggiungersi che, sempre alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, « In tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata, ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta. » (Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 4844 del 23 febbraio 2021, Rv. 660460-01).
Con riguardo, infine, alle censure prospettate mediante il terzo sub motivo, la loro infondatezza discende dall’agevole considerazione del fatto che, come recentemente precisato dalla giurisprudenza sezionale, in tema di violazione della disciplina antiriciclaggio per omessa segnalazione di operazioni sospette, la facoltà di richiedere il pagamento in misura ridotta pertiene alla fase del procedimento amministrativo, sicché anche per godere della definizione agevolata ex art. 68, comma 5, d.lgs. n. 231 del 2007, l’interessato deve procedere con istanza da proporre al Ministero dell’economia e delle finanze, il cui esito è irrilevante nel procedimento giurisdizionale, salvo che, in caso di suo accoglimento, per la declaratoria di cessazione della materia del contendere (Sez. 2, Sent. n. 12514/2018).
In conclusione, il ricorso va rigettato, con inevitabile aggravio di spese per la parte soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in complessivi €. 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione