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Obbligo di repechage: onere della prova sul datore

Una società licenzia un dipendente per soppressione del posto di lavoro a seguito di una riorganizzazione. La Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento, ribadendo che l’obbligo di repechage impone al datore di lavoro di provare attivamente l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni, anche inferiori.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di repechage: La Cassazione ribadisce l’onere della prova a carico del datore di lavoro

Nel contesto dei licenziamenti per motivi economici, l’obbligo di repechage rappresenta un pilastro fondamentale a tutela del posto di lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza un principio consolidato: spetta esclusivamente al datore di lavoro l’onere di dimostrare non solo la legittimità della riorganizzazione aziendale, ma anche l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni. Questa pronuncia offre spunti cruciali per comprendere la distribuzione delle responsabilità in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

I Fatti del Caso: Licenziamento per Soppressione del Posto

Una società operante nel settore dei servizi decideva di licenziare un proprio dipendente adducendo come motivazione un giustificato motivo oggettivo. Nello specifico, l’azienda sosteneva di aver soppresso la posizione lavorativa ricoperta dal dipendente a seguito di una profonda riorganizzazione interna, finalizzata a ottimizzare le risorse e a razionalizzare i costi. Il lavoratore, ritenendo il licenziamento illegittimo, impugnava il provvedimento davanti al Tribunale.

La Decisione nei Primi Gradi di Giudizio

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello davano ragione al lavoratore, dichiarando l’illegittimità del licenziamento. I giudici di merito hanno ritenuto che la società non avesse fornito una prova adeguata e convincente della effettiva necessità di sopprimere quel determinato posto di lavoro. Inoltre, e questo è il punto cruciale, la società non aveva dimostrato di aver adempiuto al proprio obbligo di repechage, ovvero di aver verificato l’inesistenza di altre posizioni lavorative in azienda in cui il dipendente avrebbe potuto essere ricollocato, anche con mansioni inferiori.

Il Ricorso in Cassazione e l’onere della prova sull’obbligo di repechage

L’azienda, non soddisfatta della decisione d’appello, presentava ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali. In primo luogo, sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nell’applicare le norme sull’onere della prova. Secondo la tesi aziendale, una volta dimostrata la soppressione del posto, sarebbe spettato al lavoratore indicare quali altre posizioni alternative avrebbe potuto ricoprire. In secondo luogo, lamentava che i giudici non avessero considerato adeguatamente le prove documentali e testimoniali che, a suo dire, confermavano la genuinità della riorganizzazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le sentenze precedenti e cogliendo l’occasione per ribadire principi cardine in materia.

L’Onere della Prova grava interamente sul Datore di Lavoro

La Cassazione ha smontato la tesi aziendale, chiarendo che l’onere della prova nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo è pienamente a carico del datore di lavoro. Questo onere non si esaurisce nel dimostrare la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che hanno portato alla soppressione del posto. Il datore di lavoro deve andare oltre: deve provare attivamente e concretamente l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni disponibili nell’assetto organizzativo aziendale. Tale verifica deve riguardare non solo posizioni equivalenti, ma anche mansioni inferiori, purché compatibili con il bagaglio professionale del dipendente.

La Cassazione non è un Terzo Grado di Merito

Riguardo al secondo motivo di ricorso, la Corte ha ricordato il proprio ruolo di giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o i fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. La Corte d’Appello aveva esaminato le prove e concluso, con una motivazione logica e coerente, che la riorganizzazione non fosse genuina e che il repechage fosse possibile. Pertanto, la censura della società si traduceva in una richiesta inammissibile di riesaminare il merito della vicenda.

Le conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela del lavoratore. Per le aziende, il messaggio è chiaro: un licenziamento per motivi economici deve essere l’ultima risorsa. Prima di procedere, è indispensabile effettuare una scrupolosa e documentabile verifica interna per escludere qualsiasi possibilità di ricollocamento. Non è sufficiente sopprimere una posizione sulla carta; è necessario dimostrare in modo inequivocabile che per quel lavoratore, in quel preciso contesto aziendale, non esisteva alcuna alternativa possibile. Per i lavoratori, la sentenza rafforza la consapevolezza che l’onere di provare l’impossibilità del repechage non è un loro compito, ma un dovere inderogabile dell’azienda.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, chi deve provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta interamente e unicamente al datore di lavoro. Egli deve dimostrare non solo le ragioni oggettive della soppressione del posto, ma anche l’impossibilità di adibire il lavoratore a qualsiasi altra mansione esistente in azienda, anche inferiore.

Cosa si intende esattamente per ‘obbligo di repechage’?
È l’obbligo del datore di lavoro di cercare attivamente e concretamente una posizione lavorativa alternativa all’interno dell’organizzazione aziendale per il lavoratore a rischio di licenziamento per motivi economici, prima di procedere con la risoluzione del rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un caso come un terzo grado di giudizio?
No. Come chiarito nella sentenza, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità. Il suo compito non è quello di rivalutare nel merito i fatti o le prove, ma solo di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano correttamente interpretato e applicato le norme di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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