Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17899 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17899 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che, confermando la pronuncia del Tribunale di Viterbo, aveva rigettato la sua domanda di permanenza in servizio alle dipendenze della Azienda Sanitaria Locale di Viterbo (di seguito, ASL) sino al compimento della anzianità contributiva massima di 42 anni e 10 mesi e comunque fino al 70º anno di età;
l’ordinanza premetteva la distinzione tra età lavorativa massima, quale limite ordinamentale dei rapporti di lavoro con le P.A. ed età pensionabile, quale minima età anagrafica per l’accesso alla pensione, riguardante gli aspetti previdenziali;
la S.C. precisava che il limite lavorativo massimo, salvo specifiche eccezioni, era fissato per i dipendenti dello Stato al compimento del 65° anno di età e non era stato elevato con l’innalzamento del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia operato con la riforma delle pensioni dell’anno 2011 (d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 241 del 2011, art. 24) ed aggiungeva che l’art. 15 -novies del d. lgs. n. 502 del 1992 aveva fissato il limite massimo di età lavorativa per i dirigenti medici e del ruolo sanitario, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, al compimento del 65° anno di età, ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, senza la possibilità peraltro di superare i 70 anni di età;
l’ordinanza qui impugnata precisava ancora che l’art. 15 -novies era stato dichiarato incostituzionale solo limitatamente alla parte in cui, nel testo anteriore alle modifiche apportate con l’art. 22 della legge n. 183 del 2010, non prevedeva il trattenimento in servizio per il raggiungimento del minimo della pensione;
essa quindi, nel definire il rapporto tra l’art. 15 -novies cit. e l’art. 72, co. 11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con mod. in legge n. 133
del 2008, ribadiva che per il superamento del limite dei 65 anni al fine di raggiungere i 40 anni di servizio effettivo dovevano ricorrere due condizioni, ovverosia che il dirigente non avesse raggiunto il 70° anno di età e che la permanenza in servizio non comportasse l’aumento del numero dei dirigenti, con possibilità comunque per la P.A., salvo il caso dei dirigenti di struttura complessa, di procedere al recesso anticipato, dopo il sessantacinquesimo anno di età, ai sensi del l’art. 72, co. 11, cit.;
la S.C. rilevava quindi come il giudice di appello avesse accertato che, sebbene ricorresse la condizione del mancato raggiungimento del 70° anno di età, il dirigente aveva già maturato 40 anni di servizio effettivo alla data del pensionamento nel dicembre 2017, in cui egli aveva compiuto 67 anni e 3 mesi, sicché la permanenza in servizio non era necessaria per conseguire il diritto a pensione e non era conferente il richiamo alle pronunce della Corte Costituzionale n. 33/2013 e n. 111/2017;
infatti, il limite ordinamentale dei 65 anni era soglia non superabile, se non per il trattenimento in servizio secondo la disciplina già richiamata o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione, anche secondo quanto precisato dall’art. 2, co. 5, del d.l. n. 101 del 2013, conv, in legge n. 125 del 2013, di interpretazione autentica dell’art. 24, co. 4, secondo periodo del d.l. n. 201 del 2011;
in definitiva -concludeva la sentenza qui impugnata -non vi era necessità di protrazione del limite anagrafico per consentire il perfezionamento del diritto a una prestazione pensionistica;
infine, la Corte di Cassazione ha escluso ogni rilevanza della dedotta disparità di trattamento rispetto ad altro dirigente medico, in quanto, oltre ad essere preclusa in sede di legittimità ogni verifica in fatto, doveva considerarsi la natura cogente della disciplina dettata in tema di età lavorativa;
NOME COGNOME ha domandato la revocazione della menzionata ordinanza sulla base di due motivi;
la ASL ha resistito con controricorso;
sono in atti memorie di ambo le parti.
CONSIDERATO CHE
1.
deve premettersi come, salvo che nell’ipotesi prevista dall’art. 395, n. 6, c.p.c. (dolo del giudice), che qui non ricorre, secondo l’ordinamento processuale vigente, non sussista, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come tale, ben può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante (Cass., 13 ottobre 2022, n. 30112; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23498 e altre precedenti conformi);
2.
con il primo motivo -richiamate le norme del codice di rito sulla revocazione della sentenza della Corte di Cassazione -si adduce l’erronea individuazione della richiesta di pensionamento sottoposta a giudizio e della normativa applicabile;
il motivo assume che l’ordinanza impugnata avrebbe considerato la sola istanza di pensionamento del 2012, senza considerare quelle successive, con errore di fatto che aveva portato a considerare unicamente la disciplina dell’art. 15 -nonies cit. e non le norme invocate a sostegno della domanda, introdotte successivamente al 2012;
in tal modo, la SRAGIONE_SOCIALE aveva omesso di valutare le altre e successive richieste e la normativa di cui veniva chiesta l’applicazione, in riferimento a ll’art. 72, co. 11, della legge n. 133 del 2008, come modificato dalla legge n. 102 del 2009, dalla legge n. 148 del 2011
e dalla legge n. 114 del 2014 ed in particolare il disposto dell’art. 1, co. 5, di quest’ultima legge che aveva equiparato i dirigenti di struttura complessa ai magistrati e ai professori universitari, sottoponendoli all’unico limite anagrafico dei 70 anni di età;
altro errore di fatto sarebbe, secondo il ricorso per revocazione, da ravvisare nel passaggio in cui la Corte di Cassazione, nell’esaminare la normativa, aveva affermato « salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa … (ma come detto, non è questa l’ipotesi che qui rileva », mentre la qualifica di dirigente di struttura complessa del ricorrente era circostanza di fatto incontestabile;
infine, oltre ad indicare erroneamente come data di pensionamento del Carrozza il 31.12.2017, mentre la data corretta era il 1.12.2017, il ricorrente rilevava come la Corte d’Appello avesse affermato che la ASL aveva consentito al Carrozza di maturare i 40 anni di contribuzione utili per l’accesso al trattamento pensionistico, che era requisito « ben diverso dall’anzianità di servizio effettivo », che invece è stato il motivo per il quale il Carrozza è stato messo in quiescenza dalla ASL e « peraltro, solo il fatto di aver compiuto 67 anni e 3 mesi gli ha garantito il riconoscimento della pensione di vecchiaia da parte dell’INPS » ed « anche questo è un errore revocatorio »;
il secondo motivo – ancora previo richiamo delle pertinenti norme sull’impugnazione per revocazione adduce l’errore di fatto per omessa pronuncia da parte della Corte di Cassazione sulla questione di diritto sollevata nel quarto motivo di ricorso e concernente la violazione eo falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 15 -novies d. lgs n. 502 del 1992, dell’art. 16 del d. lgs. n. 503 del 1992, dell’art. 22 della legge n. 183 del 2010, dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, conv. in legge n. 214 del 2011 e dell’art. 72, co. 11, della legge n. 133 del 2008 e successive integrazioni e modificazioni, normativa che avrebbe imposto di
riconoscere il diritto del ricorrente di restare in servizio fino al settantesimo anno di età;
i motivi vanno esaminati congiuntamente, secondo il loro ordine
logico;
4.
va intanto sgomberato il campo dal profilo di revocazione incentrato sull’ipotesi che la SRAGIONE_SOCIALE. avrebbe commesso un errore di fatto rispetto alla qualifica del ricorrente quale dirigente preposto a struttura complessa;
i passaggi in cui si desumerebbe ciò sono quelli, riportati a pag. 13, in fine e 14, in inizio, del ricorso per revocazione, in cui la RAGIONE_SOCIALE ha affrontato il tema del recesso anticipato ai sensi dell’art. 72, co. 11, ai punti 5.4. e 5.6 dell’ordinanza qui impugnata;
si tratta di passaggi svolti da quell’ordinanza per definire il (diverso) regime dei dirigenti non di struttura complessa e rispetto ai quali appunto la motivazione dell’ordinanza qui impugnata dice che « non è questo il caso di specie » (punto 5.4) e poi che la volontà del dirigente di permanere in servizio fino al 40° anno di età ai sensi dell’art. 15 -novies cit. poteva essere superata dal recesso anticipato della P.A. « salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa … (ma come detto, non è questa l’ipotesi che qui rileva »;
è palese la pretestuosità dell’assunto in ordine al verificarsi di un errore sulla veste di dirigente di struttura complessa del COGNOME, perché il fatto che l’ipotesi non rilevasse non voleva in alcun modo intendere ciò, quanto spiegare -come affermato per ben due volte ai punti 5.4 e 6.5 – che non si verteva in fattispecie di recesso anticipato della P.A., dopo la protrazione del rapporto oltre i 65 anni di età e prima dei quarant’anni di servizio effettivo, propria solo dei dirigenti non di struttura complessa;
in altre parole, l’ordinanza non nega mai che il COGNOME fosse dirigente di struttura complessa;
4.1
neanche può dirsi che abbia rilievo -e lo stesso ricorrente per revocazione pur rilevando l’errore (« oltre all’errore sulla data ») non fornisce migliori spiegazioni -l’essersi fatto riferimento a pag. 3 dell’ordinanza qui impugnata, nella narrativa dei fatti, ad un trattenimento in servizio fino al 31.12.2017, tenuto anche conto che poi nella motivazione si fa riferimento al pensionamento del ‘1.12.2017’;
4.2
privo di rilievo è anche l’avere la Corte d’Appello come si dice a pag. 15 del ricorso per cassazione -erroneamente affermato che era stato consentito al Carrozza di maturare i 40 anni di contribuzione utili per l’accesso al trattamento pensionistico, mentre la ASL aveva messo il ricorrente in quiescenza per il raggiungimento del diverso requisito dei 40 anni di ‘servizio effettivo’ e la pensione era stata ottenuta per i requisiti di vecchiaia;
infatti, la S.C., nell’ordinanza qui impugnata, ha poi ragionato sui requisiti corretti (raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo; concreto ottenimento di un trattamento pensionistico) e sulla loro rilevanza per i fini di cui alla collocazione a riposo, sicché nulla quaestio ;
5.
anche il fatto che la Corte di Cassazione abbia fatto riferimento alla sola istanza del 2012 proposta dal Carrozza è privo di rilievo;
il preteso errore non ha infatti inciso in alcun modo sul contenuto della decisione che ha riguardato, come indicato con chiarezza nello storico di lite (punto 1), nell’espositiva delle ragioni della decisione (punto 5.7) e secondo quanto è comunque desumibile dall’intero contesto della decisione, la legittimità del provvedimento di
collocamento a riposo nel dicembre 2017 o in ogni caso il diritto del ricorrente alla permanenza in servizio oltre quella data;
il non essersi espressamente richiamate le istanze successive alla prima è dunque fatto del tutto ininfluente ai fini della decisione, la quale è dipesa -e dipende -dalla correttezza della ricostruzione normativa e non da particolari di alcun interesse come la menzione delle istanze successive alla prima;
6.
quanto all’asserito omesso esame del motivo concernente il rilievo da attribuire alle norme sul diritto al permanere in servizio fino al 70° anno, occorre evidenziare che l’errore revocatorio presuppone che la Corte non percepisca la formulazione del motivo per mera svista materiale e non è configurabile quanto alla interpretazione e valutazione del motivo medesimo (v. anche, mutatis mutandis , Cass. 27 novembre 2019, n. 31032; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22569);
nel caso di specie, il motivo è stato correttamente percepito e riassunto (a pag. 5, punto 4, seconda parte, dell ‘ ordinanza) e sullo stesso la Corte di Cassazione ha pronunciato ritenendo che tutte le doglianze potessero essere esaminate congiuntamente (pag. 5, punto 5);
la circostanza che la decisione non contenga una specifica motivazione anche sull’argomento della parificazione dei dirigenti di struttura complessa ai magistrati ed ai professori universitari non integra dunque errore di fatto denunciabile con lo strumento della revocazione;
d’altra parte, non vi sono neanche ragioni per ritenere che sia stata realmente trascurata la normativa applicabile;
7.
a quest’ultimo proposito, si rileva che l’art. 72, co. 11, del d.l. n. 133 del 2008, come modificato dalla l. n. 114 del 2014 (ora divenuto, con alcune modificazioni, art. 1, co. 164bis della legge
n. 207 del 2024) su cui fa leva il ricorso per revocazione stabilisce che: « con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1º gennaio 2012 dall’articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell’articolo 24. Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario. Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che abbiano beneficiato dell’articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni »;
la norma dunque prevede che:
-per i dirigenti medici non preposti a struttura complessa, dopo il raggiungimento del 65° anno di età (« non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età »), la P.A. possa recedere se vi è maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso a pensione, sicché si potrebbe impedire in tal caso al dirigente di raggiungere i 40 anni di servizio effettivo (v. già per il regime antecedente alle modifiche del 2014, peraltro, Cass. 3 luglio 2017, n. 16354);
-quanto appena detto non opera per i dirigenti preposti a struttura complessa, che dunque possono proseguire nel rapporto fino ai 40 anni di servizio effettivo, ma non oltre i 70 anni di età (v. anche in questo caso, per il regime antecedente alle modifiche del 2014, che faceva parimenti riferimento ai magistrati ed ai professori universitari, oltre che ai dirigenti di struttura complessa, sempre Cass. 16354/2017);
persistono tuttavia comunque le condizioni generali stabilite dall’art. 15 -novies del d. lgs. n. 502 del 1992, mai derogato, ovverosia la funzionalità della protrazione del rapporto al fine di raggiungere i 40 anni di servizio effettivo;
8.
il senso dell’intricato sistema lo si coglie se si considera la diversa valenza e significato che ha il requisito del ‘servizio effettivo’, rispetto al requisito dell’ ‘anzianità contributiva’;
il primo requisito riguarda, come è detto nell’ordinanza impugnata, il piano del rapporto di lavoro ed ha il senso di consentire al dipendente, al fine di realizzare appieno la propria professionalità, di raggiungere un certo numero di anni di servizio effettivo, cioè reale, che sovente non coincide con l’anzianità contributiva, al cui interno si calcolano periodi che non sono di servizio, come è per le contribuzioni figurative, le c.d. supercontribuzioni, i riscatti (ad es. periodi di studio) etc.;
il requisito dell’ ‘anzianità contributiva’ riguarda invece il dato della contribuzione accreditata ed ha valenza al fine della maturazione del diritto a pensione;
8.1
il requisito del ‘servizio effettivo’ interferisce con il c.d. limite di età ordinamentale, che è il limite oltre il quale non può protrarsi il rapporto con la P.A.;
l’interferenza è data dal fatto che, pur al raggiungimento del limite ordinamentale (qui, 65 anni) può aversi su domanda la protrazione del lavoro per raggiungere i 40 anni di servizio ‘effettivo’, nei termini e per i fini in cui al medesimo è attribuito rilievo, sempre entro il limite massimo dei 70 anni;
ciò è quanto previsto dall’art. 15 -novies cit.
8.2
nonostante questa interferenza, il dirigente medico di struttura non complessa che, dopo i 65 anni, abbia maturato i requisiti per il diritto a pensione, può essere raggiunto da provvedimento ‘motivato’ di recesso della P.A., alla quale è dunque consentito, in tali casi, di impedire la protrazione fino ai 40 anni di servizio ‘effettivo’;
ciò è conseguenza dell’art. 72, co. 11, nel testo modificato dalla legge n. 114 del 2014;
questo non vale per i dirigenti di struttura complessa, il che però significa soltanto che essi mantengono il diritto a raggiungere i 40 anni di servizio ‘effettivo’, nonostante la maturazione del diritto a pensione, ma non che essi possano raggiungere sempre e comunque i 70 anni di età;
ciò è conseguenza diretta della persistente vigenza dell’art. 15 -novies che si inserisce pianamente nel sistema come appena riepilogato;
8.3
il coordinamento tra limiti ordinamentali di età ed accesso a pensione è poi assicurato dall’art. 24, co. 4 del d.l. n. 101 del 2013 conv. in legge n. 125 del 2013, secondo cui l’articolo 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, si interpreta nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla
data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione; così come deve rammentarsi che Corte Costituzionale 6 marzo 2013, n. 33 ha ritenuto l’illegittimità del combinato disposto degli articoli 15-nonies, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e 16, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) -nel testo di essi quale vigente fino all’entrata in vigore dell’art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro) -nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età;
tutto ciò per dire che il limite ordinamentale è destinato a piegarsi, nel limite dei 70 anni, se la protrazione sia necessaria per l’accesso
a pensione, ponendosi altrimenti il tema della sua legittimità costituzionale;
ciò altresì con la precisazione, riveniente sempre da Corte Costituzionale 33 del 2013, secondo cui «mentre il conseguimento della pensione al minimo è un bene costituzionalmente protetto, altrettanto non può dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza n. 227 del 1997) »;
non pone dunque questioni il fatto che la prosecuzione oltre i 40 anni di servizio effettivo possa portare al conseguimento di un miglioramento pensionistico, essendo pacifico che il ricorrente l’accesso a pensione l’ha avuto;
9.
tutto ciò posto, si rileva che l’asse decisionale dell’ordinanza impugnata si muove lungo i seguenti passaggi:
esistenza di un limite ordinamentale per i rapporti di lavoro fissato a 65 anni dei dirigenti sanitari riguardante l’ « attività lavorativa massima » e da distinguere dai requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso a pensione, secondo quanto detto nell’ordinanza al punto 5.1, al punto 5.6 di pag. 8, primo inciso ed al punto 5.8;
derogabilità di tale limite dell’attività lavorativa, ai sensi dell’art. 15 -novies del d. lgs. n. 502 del 1992 per raggiungere i 40 anni di servizio effettivo, senza superare comunque i 70 anni di età: pag. 8, punto 5.6, secondo inciso;
possibilità per la P.A., rispetto ai dirigenti non di struttura complessa, di risolvere comunque il rapporto, dopo i 65 anni e nonostante il mancato raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo: pag. 8, punto 5.6, terzo inciso;
superabilità del limite ordinamentale altresì nel caso il cui ciò sia necessario per conseguire la prima decorrenza utile della
pensione, ove essa non sia immediata (pag. 9 punto 5.7 e punto 5.9);
maturazione dei 40 anni di servizio effettivo del COGNOME -sulla base di accertamento in fatto della Corte territoriale, non suscettibile di revisione in sede di legittimità -alla data di decorrenza della pensione del dicembre 2017, allorquando il COGNOME aveva un’età di 67 anni e tre mesi : pag. 8, punto 5.7;
assenza quindi di necessità per il ricorrente di permanenza in servizio per il conseguimento del diritto a pensione e raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo.
9.1
se si considera quindi il quadro esplicativo della normativa ( supra , punto 8 e ss.) e quello dell’asse decisionale ( supra , punto 9) è evidente che la S.C. ha considerato il tema della norma di cui all’art. 72, co. 11, nel testo su cui fa leva il ricorrente, allorquando -come si è già detto -essa ha argomentato sul diritto della P.A. di recedere, nonostante il mancato raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo, se vi sia stato il raggiungimento della massima anzianità contributiva e si tratti non di dirigente di struttura complessa ( supra , punto 9, lett. c);
così come è evidente che la S.RAGIONE_SOCIALE. ha considerato il tema di quella norma anche quando ha implicitamente ribadito che, se non ricorra tale ipotesi – e quindi nel caso del direttore di struttura complessa il raggiungimento dei 70 anni è consentito allorché in tal modo possano raggiungersi i 40 anni di servizio effettivo ( supra punto 9, lett. b);
va poi considerato che, seppure l’ordinanza qui impugnata non citi in modo espresso il testo dell’art. 72, co. 11, quale vigente dopo le modifiche del 2014, essa richiama tuttavia quella norma, ponendola in relazione con l’art. 15 -novies , cit., e -come detto –
ricostruisce il sistema coerentemente al contenuto di essa e delle disposizioni correlate, quale riepilogato sopra anche in questa sede; quanto appena detto, unitamente a quanto già detto al punto 6 in ordine all’avere la S.C. mostrato, nel riepilogo delle censure, di avere percepito il senso del motivo di ricorso per Cassazione, consentono di escludere che vi sia stato un errore di fatto revocatorio sotto il profilo dell’essersi trascurato un motivo di ricorso per Cassazione, tutto riducendosi, al più, a irrilevanti profili di tecnica espositiva delle ragioni della decisione;
10.
il presupposto del raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo è stato accertato dalla Corte d’Appello e ritenuto dalla S.C. non rivedibile in fatto in sede di legittimità -sicché sul punto vi è un’espressa pronuncia sul piano del diritto processuale, certamente insuscettibile di revocazione -oltre che espressamente affermato dallo stesso ricorrente (v. punto 12 del ricorso per revocazione, pag. 5; memoria difensiva in sede di revocazione, pag. 7);
dunque, non vi è stato anche da questo punto di vista alcun errore revocatorio, ovverosia di fatto;
12.
tale accertamento, a chiusura del ragionamento giuridico, ha definito la causa perché l’ordinamento non assicurava al ricorrente più di ciò, ovverosia il raggiungimento dei 40 anni di servizio effettivo;
13.
l’impugnazione va dunque integralmente rigettata e le spese del giudizio di revocazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso per revocazione e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio
che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro