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Obbligo di repechage: onere della prova sul datore

Una società di forniture mediche licenzia una dipendente per un presunto conflitto di interessi. La Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento, ribadendo che l’azienda non ha rispettato l’obbligo di repechage, non provando l’impossibilità di ricollocare la lavoratrice in un’altra posizione.

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Obbligo di repechage: La Cassazione ribadisce l’onere della prova a carico del datore

L’obbligo di repechage rappresenta un pilastro fondamentale nella disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su questo istituto, confermando che l’onere di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore grava interamente sul datore di lavoro. La violazione di tale obbligo rende il licenziamento illegittimo, a prescindere dalla sussistenza delle altre ragioni addotte dall’azienda. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore delle forniture mediche licenziava una propria dipendente per giustificato motivo oggettivo. La ragione principale addotta dall’azienda era un presunto conflitto di interessi, derivante dalla relazione di convivenza della lavoratrice con un medico che operava presso una struttura sanitaria cliente.

La lavoratrice impugnava il licenziamento. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello dichiaravano l’illegittimità del recesso, non perché non sussistesse la ragione addotta, ma perché l’azienda aveva violato l’obbligo di repechage. Secondo i giudici di merito, la società non aveva fornito prova adeguata dell’impossibilità di adibire la dipendente ad altre mansioni o di trasferirla in un’altra zona per risolvere l’incompatibilità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’azienda, non soddisfatta dell’esito dei primi due gradi di giudizio, proponeva ricorso in Cassazione, articolandolo in quattro motivi principali:

1. Violazione di legge: Sosteneva che i giudici avrebbero dovuto prima valutare la legittimità del motivo di licenziamento (il conflitto di interessi) e solo dopo l’eventuale possibilità di ricollocamento.
2. Nullità della sentenza per motivazione apparente: Lamentava che la motivazione della Corte d’Appello fosse incongrua e incomprensibile.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: Affermava che la Corte d’Appello non avesse considerato l’oggettiva impossibilità di spostare la lavoratrice in un’altra posizione.
4. Omessa pronuncia: Denunciava che i giudici non si fossero espressi sulla sua tesi circa l’inoperatività, nel caso specifico, dell’obbligo di repechage.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione e l’obbligo di repechage

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione dell’obbligo di repechage.

Innanzitutto, la Corte ha stabilito che la ratio decidendi della sentenza impugnata era corretta. La legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è condizionata a due presupposti fondamentali: la soppressione effettiva della posizione lavorativa e la provata impossibilità di ricollocare il lavoratore. Se manca la prova del secondo presupposto, come nel caso di specie, il licenziamento è illegittimo, e diventa superfluo analizzare la fondatezza della ragione organizzativa iniziale. È la stessa azienda, del resto, ad aver menzionato nella lettera di licenziamento l’impossibilità di ricollocamento, attraendo su di sé il relativo onere probatorio.

La Corte ha inoltre respinto la censura sulla motivazione, giudicandola chiara e comprensibile nel suo percorso logico-giuridico. Ha dichiarato inammissibile il motivo relativo all’omesso esame di un fatto decisivo, applicando il principio della “doppia conforme”, che impedisce tale censura quando le decisioni di primo e secondo grado sono concordanti sui fatti.

Infine, ha ritenuto infondato il motivo sull’omessa pronuncia, specificando che la Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha implicitamente ma inequivocabilmente rigettato la tesi aziendale sull’inapplicabilità del repechage.

Conclusioni: L’Onere della Prova nel Licenziamento Oggettivo

La decisione in commento consolida un principio cardine del diritto del lavoro: nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la tutela del posto di lavoro passa necessariamente attraverso un rigoroso controllo dell’obbligo di repechage. Il datore di lavoro non può limitarsi ad addurre una valida ragione organizzativa, produttiva o tecnica per giustificare il recesso. Deve altresì dimostrare, in modo concreto e puntuale, di aver fatto tutto il possibile per evitare il licenziamento, esplorando ogni possibilità di ricollocamento del dipendente in altre posizioni compatibili con il suo bagaglio professionale, anche se di livello inferiore. La mancanza di questa prova rende, da sola, il licenziamento illegittimo, con tutte le conseguenze sanzionatorie previste dalla legge.

Quando è legittimo un licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
Secondo la Corte, la legittimità è condizionata a una duplice prova: la soppressione della posizione lavorativa del licenziato e la dimostrazione dell’impossibilità di ricollocare il medesimo in un’altra posizione lavorativa.

Su chi ricade l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore?
L’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore (obbligo di repechage) ricade interamente sul datore di lavoro. È l’azienda a dover dimostrare di non avere altre posizioni disponibili.

Un presunto conflitto di interessi esonera il datore dall’obbligo di repechage?
No. La Corte ha chiarito che, una volta accertata la violazione dell’obbligo di repechage, ogni altra indagine sulla fondatezza delle ragioni addotte dall’azienda, come un presunto conflitto di interessi, diventa superflua ai fini della decisione sull’illegittimità del licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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