LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Obbligo di repêchage: onere della prova del datore

Un lavoratore viene licenziato per giustificato motivo oggettivo a seguito della chiusura del suo reparto. La Corte di Cassazione, riformando la decisione di merito, chiarisce che l’obbligo di repêchage grava interamente sul datore di lavoro. Quest’ultimo ha l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il dipendente, anche in mansioni inferiori, senza che il lavoratore debba indicare posizioni alternative. La mancata offerta di posizioni inferiori esistenti rende il licenziamento illegittimo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di repêchage: la Cassazione ribadisce che l’onere della prova è solo del datore

L’ordinanza n. 18904 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sull’obbligo di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La Suprema Corte ha chiarito in modo definitivo che l’onere di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore spetta esclusivamente al datore di lavoro, senza che il dipendente debba fornire alcuna indicazione su possibili posizioni alternative.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo, a seguito della decisione dell’azienda di chiudere il reparto in cui operava. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che l’azienda non avesse adempiuto al suo dovere di verificare la possibilità di un suo reimpiego in altre mansioni all’interno dell’organizzazione aziendale.

Nei primi due gradi di giudizio, le corti avevano dato ragione all’azienda, ritenendo che il lavoratore non avesse adeguatamente contestato e provato l’esistenza di posizioni lavorative alternative. Il caso è quindi giunto all’attenzione della Corte di Cassazione.

L’obbligo di repêchage e l’onere della prova

Il punto centrale della controversia è la corretta interpretazione dell’obbligo di repêchage. Questo principio impone al datore di lavoro, prima di procedere con un licenziamento per motivi economici o organizzativi, di tentare di ricollocare il lavoratore in altre posizioni disponibili.

La Corte d’Appello aveva erroneamente sostenuto che il lavoratore avesse un onere di allegazione, ovvero il dovere di indicare specificamente quali fossero le posizioni alternative a cui avrebbe potuto essere assegnato. La Cassazione ha completamente ribaltato questa prospettiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

Accogliendo il sesto motivo di ricorso del lavoratore, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello e ha enunciato un principio di diritto fondamentale. I giudici hanno stabilito che:
1. L’onere della prova in materia di repêchage è interamente a carico del datore di lavoro.
2. Sul lavoratore non grava alcun onere, neppure di semplice allegazione, riguardo all’esistenza di posti di lavoro alternativi.
3. L’obbligo si estende anche a mansioni inferiori (demansionamento), che devono essere offerte al lavoratore come alternativa al licenziamento.

Nel caso specifico, era emerso che l’amministratore della società aveva ammesso l’esistenza di posizioni operaie disponibili, ma nessuna offerta era stata fatta al lavoratore, che aveva una qualifica di impiegato. Questa ammissione è stata ritenuta decisiva dalla Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base del principio di correttezza e buona fede che deve governare il rapporto di lavoro. Il licenziamento rappresenta l’ultima ratio, la soluzione estrema da adottare solo quando non esistano alternative percorribili per salvaguardare il posto di lavoro. È il datore di lavoro, in quanto gestore dell’organizzazione aziendale, ad avere la piena conoscenza delle posizioni disponibili e delle competenze necessarie per ricoprirle.

Imporre al lavoratore un onere di allegazione sarebbe iniquo, poiché egli non ha la stessa visione d’insieme dell’organico aziendale. Pertanto, spetta unicamente all’azienda dimostrare in giudizio di aver fatto tutto il possibile per evitare il licenziamento, inclusa l’offerta di mansioni che comportino un demansionamento, e di provare, in caso di mancata offerta, che il lavoratore non possedeva le competenze professionali necessarie per ricoprire i ruoli disponibili.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza in modo significativo la tutela del lavoratore nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per le aziende, le implicazioni sono chiare: prima di intimare un licenziamento, è indispensabile effettuare una scrupolosa e documentabile verifica di tutte le possibili alternative di ricollocazione interna. Non è sufficiente affermare genericamente l’impossibilità di repêchage; occorre essere pronti a dimostrare in tribunale l’inesistenza di posizioni vacanti o l’inidoneità del lavoratore a ricoprirle. La mancata offerta di una posizione inferiore disponibile, prima di procedere al recesso, rende il licenziamento illegittimo.

A chi spetta l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare un lavoratore prima del licenziamento?
L’onere della prova in materia di obbligo di repêchage spetta interamente e unicamente al datore di lavoro. Egli deve dimostrare in giudizio che non esistevano posizioni alternative per ricollocare il dipendente.

Il lavoratore deve indicare quali posizioni alternative potrebbe ricoprire in azienda?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che sul lavoratore non grava alcun onere di allegazione, ovvero non è tenuto a specificare quali posizioni alternative potrebbero essere disponibili per lui.

L’obbligo di repêchage include anche mansioni inferiori a quelle del lavoratore?
Sì. Il datore di lavoro è tenuto a verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori (demansionamento) e, se esistenti, deve offrirle come alternativa al licenziamento. La mancata offerta rende il recesso illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati