Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 417 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 417 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 1010-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 943/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 21/10/2019 R.G.N. 327/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso: udito l’Avvocato NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 1010/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 05/10/2023
PU
udito l’Avvocato COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 943/2019, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Sciacca, ha condannato la società cooperativa Adranone alla reintegrazione di NOME COGNOME nel posto di lavoro e alla corresponsione, in suo favore, di una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento sino alla reintegrazione, non superiore a dodici mensilità detratto quanto percepito per le mensilità di lavoro svolte per conto di terzi da marzo a novembre 2018 per complessive 74 giornate e le quattro mensilità di indennità risarcitoria già riconosciuta, se corrisposta.
1.1. A fondamento della decisione la Corte distrettuale – giudice di rinvio a seguito di sentenza di questa Corte n. 6947 del 2019 che aveva emesso il principio di diritto secondo cui, in una società cooperativa, anche i soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato devono essere computati ai fini del requisito dimensionale per l’applicazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro, con la conseguenza della fruibilità anche dai lavoratori dipendenti non soci della tutela prevista dall’art. 18 legge n. 300 del 1970, nel testo novellato dall’art. 1 co. 412 legge n. 92 del 2012 – ha rilevato che, sulla base degli elementi di fatto ritualmente allegati e documentati nonché degli accertamenti già svolti in secondo grado, i dipendenti erano diciotto. Pertanto, sussistendo il presupposto della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, per violazione dell’obbligo di repêchage , ha ritenuto che al Coppola spettasse la tutela reintegratoria unitamente alla indennità risarcitoria nella misura sopra indicata.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado ricorre RAGIONE_SOCIALE con due motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l n. 137 del 2000 coordinato con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso e la ricorrente ha
depositato memoria insistendo nelle conclusioni già prese. Rinviata la discussione all’udienza odierna a causa di un sopravvenuto impedimento dell’originario relatore , parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa segnalando che analoga controversia era stata abbandonata e che il procedimento, a seguito di rinuncia, era stato dichiarato estinto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 18 comma 7 e la falsa applicazione dell’art. 18 comma 4 legge n. 300/1970, in relazione all’art. 360 co mma 1 n. 3 c.p.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c .p.c. Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale, che ha fondato il proprio giudizio di non giustificazione del licenziamento sulla sola violazione dell’obbligo di repêchage , avrebbe trascurato di considerare che l’esistenza di una crisi di liquidità e la connessa riduzione delle corse, delle linee pur mantenute, fatto posto a base del recesso, era stato oggetto di accertamento nei precedenti gradi di merito e tale accertamento era coperto dal giudicato atteso che il ricorso incidentale proposto dal lavoratore era stato dichiarato inammissibile dalla sentenza della Corte di cassazione che aveva disposto il rinvio. Ad avviso della ricorrente, pertanto, la Corte di appello in sede di rinvio avrebbe dovuto applicare, necessariamente, la tutela risarcitoria prevista dal quinto comma del l’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e ss. mm. e certamente non quella reintegratoria di cui al comma 4 della stessa legge.
Il motivo è infondato.
4.1. In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cfr. Cass.
11/11/2019 n. 29102 e già Cass. 12/12/2018 n. 32159 e 02/05/2018 n. 10435).
4.2. Orbene, la sentenza della Cassazione, che aveva rimandato alla Corte di appello la decisione sulla tutela da applicare al licenziamento, aveva verificato che la Corte territoriale aveva accertato in fatto che la società aveva proceduto ad una nuova assunzione, sia pure a tempo determinato e parziale, di un lavoratore. Aveva poi ritenuto che fosse irrilevante la circostanza che si era verificata una successione nella posizione di socio della cooperativa al padre dimissionario, in concomitanza con il licenziamento impugnato. Aveva accertato che la datrice di lavoro non aveva offerto la prova dell’inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato. Non erano state indicate, in relazione alle assunzioni effettuate, le qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi dipendenti né era stato dimostrato che si trattava di mansioni che non erano equivalenti rispetto a quelle svolte dal lavoratore licenziato in considerazione della sua professionalità. La Corte di cassazione aveva allora accertato che la censura, prospettata anche in termini di omesso esame di fatto decisivo, concretizzava piuttosto una contestazione probatoria e dell’accertamento in fatto, rispetto alla quale invece il giudice del merito aveva congruamente argomentato le sue ragioni, che restavano perciò insindacabili in sede di legittimità.
4.2. Nessun giudicato si era formato sul repêchage e dunque, correttamente, la Corte del rinvio in esito all’esame delle prove ha ritenuto manifestamente insussistente il fatto posto a base del licenziamento proprio sul rilievo che in maniera del tutto pretestuosa erano stati assunti nuovi dipendenti in concomitanza con la decisione di risolvere il rapporto con il COGNOME senza ricollocarlo. Si tratta di accertamento di merito incensurabile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c .c. , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt.
394, 395 e 437 c.p.c., per mancata assunzione della prova in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c .p.c., in quanto la Corte territoriale, pur essendo ravvisabile nella sentenza di cassazione della Suprema Corte anche il riscontro di un vizio di motivazione della prima decisione di appello, in quanto era stato richiesto al giudice di rinvio di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro dei soci amministratori, ha ritenuto di non ammettere la prova per testi articolata dalla società su tale questione. In tal modo ad avviso della ricorrente la Corte di merito sarebbe incorsa nella violazione dei principi affermati in sede di legittimità in tema di overruling. Osserva infatti che la Corte di cassazione, con la sentenza rescindente, pur avendo mutato orientamento su di una norma di diritto sostanziale, tuttavia, aveva inciso anche sulla natura processuale e, precisamente, sulla prova del requisito dimensionale.
Il motivo è infondato.
6.1. Il prospective overruling consiste nell’imprevedibile e radicale mutamento di un precedente univoco orientamento giurisprudenziale relativo alle norme regolatrici del processo e certamente non ricorre quando il mutamento giurisprudenziale riguardi norme sostanziali.
6.2. Si tratta di meccanismo finalizzato a garantire alla parte il diritto di azione e di difesa, neutralizzando i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo e impone di ritenere produttivo di effetti l’atto di parte posto in essere con modalità e forme ossequiose dell’orientamento dominante al momento del compimento dell’atto stesso, ma poi ripudiato.
6.3. Esso, perciò, non può essere invocato, come detto, nel caso di mutamenti giurisprudenziali che riguardino norme sostanziali. In tale ipotesi non vi è preclusione del diritto di azione della parte ed il giudice conserva il potere di dirimere la controversia. Si è escluso ad esempio che si configurasse una ipotesi di overruling in un caso in cui, mutato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo all’obbligo di repêchage , non essendosi
ritenuto più necessario allegare la disponibilità di posti da parte del lavoratore (cfr. Cass. n. 552 del 2021; v. anche Cass. del 03/02/2023 n. 3436 con riguardo ad un caso in cui le Sezioni unite della Corte avevano risolto un contrasto ermeneutico consolidando una delle opzioni interpretative precedentemente seguite. Ed anche Cass. 04/05/2023 n. 11659).
6.3. Da quanto esposto consegue che, evidentemente, la Corte distrettuale non è incorsa in alcuna violazione delle norme in tema di ammissione della prova laddove ha ritenuto che: a) quanto al numero dei dipendenti (n. 18), l’indagine del precedente Collegio era coperta da giudicato e b) quanto alla natura del rapporto, dall’esame degli atti si rilevava che era da qualificarsi come lavoro dipendente.
6.4. Premesso che rientra nella valutazione rimessa al giudice del merito la decisione della rilevanza dei mezzi di prova articolati, nella specie proprio in considerazione del mutato orientamento giurisprudenziale la prova era all’evidenza ininfluente .
In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 5.500,00 per compensi professionale, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 5 ottobre 2023