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Obbligo di repêchage: licenziamento e reintegra

Un lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo. I tribunali di merito hanno ritenuto il licenziamento illegittimo per violazione dell’obbligo di repêchage, concedendo però solo un’indennità risarcitoria. La Corte di Cassazione, recependo una sentenza della Corte Costituzionale, ha annullato tale decisione, stabilendo che la semplice violazione dell’obbligo di repêchage è sufficiente per disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, avendo eliminato il requisito della ‘manifesta’ insussistenza del fatto. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di repêchage e licenziamento: la Cassazione conferma la reintegra

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32008/2024, interviene su un tema cruciale del diritto del lavoro: le conseguenze della violazione dell’obbligo di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La decisione chiarisce che, a seguito di un importante intervento della Corte Costituzionale, la mancata ricollocazione del lavoratore, se provata, conduce direttamente alla sua reintegrazione nel posto di lavoro, eliminando precedenti distinzioni che potevano limitare la tutela al solo risarcimento economico.

I fatti di causa

Il caso riguarda un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dichiarato il licenziamento illegittimo. La ragione risiedeva nel fatto che l’azienda non aveva fornito prova sufficiente di aver adempiuto all’obbligo di repêchage, ovvero di aver cercato una posizione alternativa per il dipendente prima di procedere al recesso.

Tuttavia, i giudici di merito avevano applicato solo la tutela indennitaria, ossia un risarcimento economico, e non quella reintegratoria. La loro decisione si basava sulla vecchia formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che prevedeva la reintegra solo in caso di “manifesta” insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. Secondo la Corte d’Appello, la violazione dell’obbligo di ricollocazione nel caso specifico non era così palese da poter essere considerata “manifesta”.

L’obbligo di repêchage e la svolta della Corte Costituzionale

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la violazione dell’obbligo di repêchage dovesse essere sufficiente a garantirgli il diritto alla reintegrazione. La Suprema Corte ha accolto il suo ricorso, basando la propria decisione su un cambiamento normativo fondamentale introdotto dalla sentenza n. 125/2022 della Corte Costituzionale.

Con tale pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della parola “manifesta” presente nell’art. 18. Il requisito della “manifesta insussistenza” è stato giudicato irragionevole, in quanto introduceva un criterio di valutazione vago e privo di fondamento empirico, creando una distinzione ingiustificata tra diversi gradi di illegittimità del licenziamento.

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione, applicando direttamente il principio stabilito dalla Corte Costituzionale, ha affermato che non è più necessario distinguere tra un’insussistenza del fatto “semplice” e una “manifesta”. Di conseguenza, l’accertamento da parte del giudice che il datore di lavoro non ha adempiuto all’obbligo di repêchage è di per sé sufficiente a integrare l’insussistenza del fatto che giustifica il licenziamento.

La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e ha rinviato la causa a una diversa sezione della stessa Corte territoriale, che dovrà riesaminare il caso applicando il nuovo principio e, quindi, disporre la reintegrazione del lavoratore.

Le motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte chiarisce che i presupposti per la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono due e inscindibili: le ragioni inerenti all’attività produttiva e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore. La mancanza anche di uno solo di questi elementi rende il licenziamento illegittimo e comporta l’applicazione della tutela reintegratoria.

La rimozione del requisito della “manifesta” insussistenza del fatto elimina ogni ambiguità: il giudice non deve più compiere una valutazione discrezionale sulla “gravità” della violazione datoriale. Se il datore di lavoro non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il licenziamento attraverso il repêchage, il fatto posto a base del recesso è insussistente, e la sanzione è la reintegra. Questo garantisce che il licenziamento sia sempre una extrema ratio e non il frutto di una scelta arbitraria.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza a tutela dei lavoratori. La violazione dell’obbligo di repêchage non è più una mancanza di “serie B”, sanzionabile con un semplice indennizzo, ma una violazione che colpisce al cuore la legittimità del licenziamento stesso. Per le aziende, ciò significa che l’onere della prova di aver cercato attivamente una ricollocazione per il dipendente diventa ancora più stringente. Qualsiasi negligenza in questo processo espone l’impresa al rischio concreto di dover reintegrare il lavoratore licenziato.

Cosa succede se un datore di lavoro viola l’obbligo di repêchage?
Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022, la violazione dell’obbligo di repêchage comporta l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata, ossia l’obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.

È ancora necessario che l’insussistenza del fatto alla base del licenziamento sia “manifesta” per ottenere la reintegra?
No. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la parola “manifesta” nell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Pertanto, è sufficiente che il giudice accerti la semplice insussistenza del fatto (inclusa la mancata prova del repêchage) per ordinare la reintegrazione del lavoratore.

La violazione dell’obbligo di repêchage ha lo stesso peso della mancanza della ragione economica del licenziamento?
Sì. L’ordinanza chiarisce che la verifica del giudice sull’insussistenza del fatto riguarda entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: sia le ragioni economiche/organizzative sia l’impossibilità di ricollocare il lavoratore. La mancanza di uno qualsiasi di questi elementi porta alla stessa sanzione della reintegra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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