Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6552 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6552 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25317-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
Oggetto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Obbligo c.d. di repechage
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/11/2023
CC
NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 474/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/07/2020 R.G.N. 285/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano accoglieva parzialmente il reclamo proposto COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione contro la sentenza n. 440/2020 del Tribunale della medesima sede, la quale, revocando l’ordinanza d el medesimo Tribunale resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a NOME COGNOME COGNOME suddetta RAGIONE_SOCIALE il 23.1.2018, aveva ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di RAGIONE_SOCIALE ed aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE a pagargli un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con interessi e rivalutazione, nonché a versare i contributi previdenziali e assistenziali; in particolare, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva l’importo oggetto di condanna a titolo di indennità risarcitoria dell’ammontare pari all’ aliunde perceptum nel periodo
intercorso dal 3.4.2018 al 23.1.2019, confermando nel resto la stessa sentenza.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver premesso che il Tribunale aveva riconosciuto l’effettività delle giustificazioni poste a base del recesso, riteneva che la decisione del Tribunale -contrariamente a quanto sostenuto nel secondo motivo di reclamo della RAGIONE_SOCIALE -era pienamente condivisibile quanto alla lamentata violazione dell’obbligo di repechage . In particolare, giudicava infondate, in primo luogo, le contestazioni svolte da RAGIONE_SOCIALE con riguardo alla fungibilità delle posizioni di COGNOME e del collega dimissionario COGNOME, poi sostituito dal neo assunto COGNOME. Inoltre, riteneva non ostativa la diversità di inquadramento, da valutarsi alla luce dell’art. 2103 c.c. nel testo vigente al momento del recesso. Né, secondo la Corte, rilevava in senso opposto -contrariamente a quanto sostenuto COGNOME reclamante -l’intento di ottenere la ‘conservazione del posto’, manifestato da COGNOME avanti alla DTL nell’incontro del 17.1.2018, prodromico al licenziamento, certamente non interpretabile come opposizione ad una ricollocazione in posizione inferiore, mai prospettata COGNOME RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. Considerava, ancora, che la ricollocazione in esame neppure poteva ritenersi preclusa in ragione del bagaglio professionale dell’allora reclamato, pien amente compatibile con la posizione ricoperta da COGNOME (e poi da COGNOMECOGNOME. Infine, riteneva che le doglianze svolte da RAGIONE_SOCIALE in ordine alla successione cronologica degli eventi fossero smentite dall’approfondimento istruttorio esperito dal Tribunale nel giudizio di opposizione, le cui risultanze –
espressamente richiamate in sentenza -non sono state in alcun modo confutate nell’atto di reclamo.
Avverso tale decisione, la RAGIONE_SOCIALE liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, dev’essere respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per intempestività, sollevata dal controricorrente in sintesi sul rilievo che la notifica a mezzo p.e.c. del ricorso per cassazione era avvenuta alle ore 22.51 del 25.9.2020, ultimo giorno utile allo scopo. Secondo la controricorrente, infatti, pur tenendo conto della sent. Corte Cost. n. 75/2019, nel caso specifico è la notificazione stessa ad essere avvenuta oltre l’orario previsto per le notificazioni, ossia, dopo le ore 21.
1.1. Come è noto, la Corte costituzionale, con la sent. 9.4.2019, n. 75, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16 -septies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., in l. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45 -bis, comma 2, lettera b), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv., con modif., in l. 11 ottobre 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfezione per il notificante
alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.
1.2. E questa Corte di legittimità, dopo tale intervento del Giudice delle leggi, ha costantemente e più volte affermato che, in tema di notificazione del ricorso per cassazione a mezzo EMAIL, la notifica è tempestiva quando la generazione della ricevuta di accettazione è avvenuta entro la ventiquattresima ora dell’ultimo giorno utile per la proposizione dell’impugnazione, e, cioè, entro le ore 23:59:59 (secondo l’UTC, ‘Coordinated Universal Time’) , poiché una volta sopraggiunto il secondo immediatamente successivo (alle ore 00:00:00 UTC) si deve ritenere già iniziato un nuovo giorno (così Cass., sez. trib., 18.1.2023, n. 1519; e in termini esatti o analoghi id., sez. I, 18.1.2022, n. 1383; id., sez. VI, 2.9.2020, n. 18235; id., sez. I, 22.6.2020, n. 12224; id., sez. I, 13.3.2020, n. 7159; id., sez. VI, 21.2.2020, n. 4712; id., sez. VI, 9.10.2019, n. 25227).
1.3. Conseguentemente, tenendo conto della regola della scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione, nel caso in esame la notifica del ricorso per cassazione per il notificante si è tempestivamente perfezionata alle ore 22.59 del 25.9.2020, quando, secondo la stessa eccipiente, è stata generata la ricevuta di accettazione di tale notifica eseguita con modalità telematiche, e ben prima delle ore 24.00 del medesimo giorno, essendo ininfluente che lo stesso procedimento notificatorio sia iniziato dopo le ore 21.00.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Error in iudicando. Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 cpc in
relazione agli artt. 3 e 5 della L. 15 luglio 1966, n. 604 ed all’art. 2103 c.c.’. Individuata la parte di motivazione censurata, la ricorrente assume che il ragionamento ivi esposto dal giudice di secondo grado è erroneo. In tal senso fa riferimento alla deposizione della teste COGNOME, ed assume che l’istruttoria ha confermato che l’COGNOME non è stato sostituito da alcuno e che le mansioni di coordinamento e di gestione diretta dell’area nord erano state avocate dal dr. COGNOME, membro del c.d.a. Richiamati taluni precedenti di legittimità, sostiene che nel caso di specie è ravvisabile una diversa ripartizione delle mansioni del dipendente COGNOME fra il personale in servizio avvenuta in concreto mediante la riassegnazione delle medesime al COGNOME, in aggiunta a quelle già assegnate, attuata ai fini di una più economica ed efficiente gestione aziendale, con il risultato finale di far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto, ossia, l’COGNOME. Sempre secondo la r icorrente, la Corte d’appello di Milano con la sentenza gravata finisce per ritenere, erroneamente, in presenza di elementi documentali che deponevano in senso contrario, la piena fungibilità tra la posizione di COGNOME e quella di COGNOME, che avrebbe imposto alla RAGIONE_SOCIALE, a seguito delle dimissioni del primo, di attribuire al secondo le funzioni del primo, evitando l’assunzione del dipendente COGNOME COGNOME ha sostituito COGNOME per qualche tempo, ma a far data dal marzo 2020, cioè due mesi dopo il licenziamento. Richiamati ulteriori precedenti, deduce che, anche a voler ritenere che fosse astrattamente possibile ricollocare il dipendente attinto dall’atto espulsivo in mansioni inferiori, ciò non sarebbe stato concretamente possibile, perché il
COGNOME ricopriva mansioni incompatibili con il bagaglio professionale dell’RAGIONE_SOCIALE. Infine, per la ricorrente, il datore di RAGIONE_SOCIALE può adibire il lavoratore a mansioni inferiori solo nelle ipotesi tassativamente previste COGNOME legge, ovvero, dall’art. 2103 c.c. nella formulazione modificata dall’art. 3 d.lgs. n. 81/2015, e dalle altre ipotesi previste COGNOME legislazione speciale. E ne derivava che, risultando il COGNOME inquadrato in una categoria legale differente da quella dell’COGNOME, non era possibile l’adibizione a mansioni inferiori, ai sensi ed agli effetti dell’art. 2103 cit., contrariamente a quanto ritenuto dal giudicante di secondo grado.
3. Con un secondo motivo denuncia: ‘Error in iudicando. Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc’. Riportata altra parte della motivazione della sentenza impugnata, oggetto di censura, la ricorrente deduce che ‘la pretesa conoscenza di RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE delle dimissioni di COGNOME si evince COGNOME sola prova testimoniale resa da COGNOME nella fase di opposizione del rito Fornero che si limita ad affermare di aver comunicato le dimissioni a COGNOME: non risulta, tuttavia, mai allegata la prova di tale comunicazione, né dal sig. COGNOME, né COGNOME ricorrente in primo grado. Ciò che emerge dal doc. 6 LUL/marzo 2018 allegato alla costituzione di RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE nella fase sommaria del rito Fornero è che il sig. COGNOME ha cessato la propria attività lavorativa alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE il 19.2.2020. Non vi è, tuttavia, alcuna prova che l’azienda fosse a conoscenza delle dimissioni prima della effettiva cessazione del rapporto con COGNOME come annotata a LUL (cfr. LUL gennaio 2018 laddove si evince la
cessazione del rapporto alla data reale del 23.01.2018). La posizione di cui si discorre, al momento del licenziamento ed anche successivamente, era coperta da COGNOME, che si è dimesso a fine febbraio 2018, quindi, successivamente al licenziamento’. Di qui, secondo la ricorrente, la ‘violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Il primo motivo è infondato.
Esso, anzitutto, presenta evidenti profili d’inammissibilità. Come ben risulta, infatti, dall’ampio riassunto della censura sopra esposto, la stessa si fonda in buona parte, da un lato, su una critica dell’apprezzamento probatorio compiuto COGNOME Corte d i merito, e, dall’altro, su una differente lettura delle risultanze processuali, il che non è consentito in questa sede di legittimità (cfr., ad es., Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34476).
Il motivo è comunque privo di giuridico fondamento per la parte in cui vi si torna a sostenere la violazione dell’art. 2103 c.c., come da ultimo sostituito dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, vale a dire, nella versione vigente ratione temporis all’atto del recesso datoriale di cui è causa; tesi che la Corte territoriale ha già motivatamente respinto sulla scia della giurisprudenza di legittimità richiamata, in base ad un accertamento fattuale incensurabile in questa sede di legittimità (cfr. in particolare in extenso pagg. 5-6 della sua sentenza).
6.1. Invero, questa Corte ha confermato che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce
della nuova formulazione dell’art. 2103 c.c., come novellato dal d.lgs. n. 81 del 2015, è onere del datore di RAGIONE_SOCIALE fornire la prova dell’impossibilità del repechage , e in particolare, di aver prospettato al dipendente, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale, ai fini della sua utilizzazione alternativa (così, con ampia motivazione, Cass., sez. lav., 11.11.2019, n. 29100; e in termini, più di recente, tra le altre, id., sez. lav., 23.2.2022, n. 5981).
Pertanto, l’indirizzo di legittimità già delineato in ordine al previgente testo dell’art. 2103 c.c. è stato confermato anche con riferimento alla più recente formulazione dello stesso articolo, che è quella applicabile in relazione al licenziamento di cui è causa.
E la decisione gravata a riguardo risulta del tutto conforme a tali principi di diritto.
7. Interamente inammissibile è il secondo motivo.
Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la
statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
8.1. Nel caso in esame, la sentenza di secondo grado e quella che ha definito il primo grado sono del tutto conformi quanto all’illegittimità del licenziamento sotto il profilo della violazione dell’obbligo di ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori, ma compatibili col suo bagaglio professionale, in quanto, come riferito in narrativa, la sentenza del Tribunale è stata parzialmente riformata solo in relazione all’aspetto dell’ aliunde perceptum .
8.2. Ebbene, la ricorrente neanche ha allegato se ed in che parti le motivazioni delle due sentenze in questione fossero significativamente difformi.
Per contro, dal testo della sentenza oggetto di ricorso risulta che a più riprese le argomentazioni e valutazioni del primo giudice in sede d’opposizione sono state esplicitamente condivise COGNOME Corte d’appello.
9. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del