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Obbligo di repechage: la prova spetta al datore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6552/2024, ha confermato la decisione dei giudici di merito, ribadendo che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro dimostrare l’impossibilità di adempiere all’obbligo di repechage. Tale onere probatorio si estende anche alla verifica della possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, compatibili con il suo bagaglio professionale. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’azienda, in parte perché mirava a una rivalutazione dei fatti e in parte per l’applicazione della regola della “doppia conforme”, essendo le decisioni di primo e secondo grado fondate sul medesimo iter logico-argomentativo.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di Repechage: La Prova Spetta Sempre al Datore di Lavoro

L’obbligo di repechage rappresenta uno dei pilastri fondamentali a tutela del lavoratore in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si tratta del dovere, per il datore di lavoro, di verificare concretamente la possibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni lavorative all’interno della struttura aziendale prima di procedere con il recesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 6552 del 12 marzo 2024, ha ribadito con forza un principio cruciale: l’onere di dimostrare l’impossibilità di tale ricollocazione grava interamente sull’azienda. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

Il Caso: Licenziamento e la Questione della Ricollocazione

Una società in liquidazione aveva licenziato un dipendente per giustificato motivo oggettivo, legato a una riorganizzazione aziendale. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che l’azienda non avesse adempiuto al suo obbligo di repechage. In particolare, contestava la mancata offerta di una posizione resasi vacante a seguito delle dimissioni di un collega, posizione poi coperta da un nuovo assunto.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, dichiarando il licenziamento illegittimo. I giudici di merito hanno ritenuto che l’azienda non avesse fornito una prova adeguata dell’impossibilità di ricollocare il dipendente, anche in mansioni inferiori, violando così il suo dovere.

L’azienda, non soddisfatta della decisione, ha proposto ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali:
1. Un’errata valutazione della fungibilità tra le posizioni lavorative e una violazione dell’art. 2103 c.c., sostenendo che non fosse possibile adibire il lavoratore a mansioni inferiori.
2. L’omesso esame di un fatto decisivo, ovvero la successione cronologica degli eventi, che a suo dire dimostrava come la posizione del collega dimissionario non fosse disponibile al momento del licenziamento.

L’obbligo di repechage e l’Onere della Prova

Il cuore della questione giuridica ruota attorno a chi debba provare cosa. Secondo la giurisprudenza consolidata, rafforzata dalla nuova formulazione dell’art. 2103 del Codice Civile (introdotta dal D.Lgs. 81/2015), è il datore di lavoro che deve dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore. Questa prova non può essere generica, ma deve essere rigorosa e circostanziata.

Il datore di lavoro deve dimostrare di aver esplorato tutte le opzioni possibili, includendo:
* Posizioni di pari livello.
* Posizioni di livello inferiore, purché compatibili con il bagaglio professionale del lavoratore.

La Cassazione ha sottolineato che l’obbligo di repechage è un’applicazione dei principi di correttezza e buona fede che devono governare il rapporto di lavoro. Pertanto, non basta affermare l’inesistenza di posti vacanti; occorre provare attivamente di aver cercato soluzioni alternative al licenziamento.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità e Principi di Diritto

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, dichiarandolo in parte inammissibile e in parte infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha stabilito che le argomentazioni dell’azienda costituivano un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, attività precluse in sede di legittimità. La decisione dei giudici di merito, che avevano accertato la fungibilità delle posizioni e la violazione dell’obbligo di ricollocamento, era stata adeguatamente motivata e non poteva essere riesaminata.

Relativamente al secondo motivo, è stata applicata la cosiddetta regola della “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c.). Poiché la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza del Tribunale basandosi sullo stesso iter logico-argomentativo, il ricorso per omesso esame di un fatto decisivo era inammissibile. L’azienda non era riuscita a dimostrare una reale divergenza nelle motivazioni delle due sentenze di merito.

Le Motivazioni

Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte ha riaffermato con chiarezza i principi che regolano l’obbligo di repechage. Ha evidenziato che la valutazione sulla possibilità di ricollocamento è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in Cassazione se logicamente motivato. La Corte ha inoltre confermato che, alla luce della normativa vigente, l’onere del datore di lavoro di provare l’impossibilità del repechage è assoluto e si estende alla proposta di mansioni inferiori compatibili con il profilo del dipendente. L’inerzia o la mancata prova da parte dell’azienda rende il licenziamento illegittimo. La decisione si allinea perfettamente con un orientamento giurisprudenziale consolidato che mira a rendere il licenziamento l’extrema ratio, l’ultima soluzione possibile solo quando ogni alternativa per la salvaguardia del posto di lavoro sia stata inutilmente percorsa.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza nel diritto del lavoro: la tutela del posto di lavoro prevale sulle esigenze organizzative dell’azienda, a meno che quest’ultima non fornisca una prova rigorosa e inconfutabile dell’impossibilità di trovare soluzioni alternative al licenziamento. Per i datori di lavoro, ciò significa che la gestione di una riorganizzazione aziendale che comporti esuberi richiede un’attenta e documentata analisi delle possibilità di ricollocazione interna, pena la declaratoria di illegittimità del recesso. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta un’ulteriore conferma della robustezza delle tutele apprestate dall’ordinamento contro i licenziamenti arbitrari.

A chi spetta l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare l’impossibilità di adempiere all’obbligo di repechage spetta interamente ed esclusivamente al datore di lavoro. Egli deve dimostrare attivamente di aver cercato, senza successo, posizioni alternative per il dipendente.

L’obbligo di repechage include anche l’offerta di mansioni inferiori?
Sì. La Corte ha confermato che il datore di lavoro, in attuazione dei principi di correttezza e buona fede, ha il dovere di prospettare al dipendente anche la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori, a condizione che siano compatibili con il suo bagaglio professionale.

Cosa significa il principio della “doppia conforme” nel processo civile?
È una regola processuale (art. 348-ter c.p.c.) che rende inammissibile il ricorso in Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.) quando la sentenza di appello conferma la decisione di primo grado basandosi sul medesimo iter logico-argomentativo riguardo ai fatti principali della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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