Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10448/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-parte ricorrente-
-resistente al ricorso incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente incidentale-
-resistente al ricorso principale-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2358/2020 depositata il 21/10/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2018 la società RAGIONE_SOCIALE conveniva davanti al Tribunale di Busto Arsizio la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito rispettivamente la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE), chiedendo:
-in via principale, che – previo accertamento dell’obbligo di manutenzione straordinaria dell’immobile, sito in Jerago con Orago e da essa condotto in locazione – la società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di detto immobile, fosse condannata ad eseguire i lavori indicati nella relazione depositata dal architetto AVV_NOTAIO in sede di accertamento tecnico preventivo, nonché fosse condannata a risarcirle i danni subiti, nella misura che sarebbe stata accertata in corso di causa, oltre agli interessi legali dal fatto al saldo;
-in via subordinata, che -sempre previo accertamento dell’inadempimento del suddetto obbligo – essa conduttrice fosse autorizzata ad eseguire, a spese della società RAGIONE_SOCIALE, i lavori descritti nella citata relazione; nonché a trattenere dai maturandi canoni di locazione gli importi da sostenersi per i suddetti lavori. Il tutto oltre al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva la società RAGIONE_SOCIALE, contestando la domanda attorea. In particolare, sosteneva di aver già eseguito i lavori indicati dalla controparte (funzionali alla eliminazione delle infiltrazioni); aggiungeva che la impresa esecutrice, che li aveva realizzati, attendeva di verificarne la adeguatezza, onde integrarli, se fosse stato necessario; produceva il contratto 5 giugno 2018, con il quale aveva appaltato le opere in esame a detta ditta e nel quale dette opere erano definite espressamente di straordinaria manutenzione.
Il Tribunale di Busto Arsizio con sentenza n. 174/2019:
respingeva la domanda proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE
compensava tra le parti le spese processuali.
2.Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE, che, nel ribadire le tesi sostenute nel giudizio di primo grado, chiedeva che la corte – sempre previo accertamento dell’obbligo di manutenzione straordinaria in capo alla convenuta – in via principale condannasse la società RAGIONE_SOCIALE ad eliminare i vizi ancora presenti sull’immobile ed a risarcirle tutti i danni subiti, che quantificava in euro 115.335,92, oltre al danno per ridotto utilizzo del bene, che quantificava in euro 35 mila o nella diversa somma ritenuta di giustizia anche in via equitativa, oltre ad interessi legali dal fatto al saldo; in via subordinata, autorizzasse essa appellante ad eseguire, a spese della controparte, i lavori di cui sopra, nonché a trattenere dai canoni di locazione maturandi gli importi da sostenersi per i predetti lavori, e condannasse la società RAGIONE_SOCIALE a risarcirle i danni subiti, ivi compreso quello conseguente al ridotto utilizzo, nella misura di cui sopra; in ogni caso con vittoria delle spese.
La società RAGIONE_SOCIALE si costituiva nel giudizio di appello e, in via preliminare, chiedeva dichiararsi la inammissibilità per novità della domanda, ex adverso formulata, di eliminazione dei vizi ancora presenti sull’immobile; nel merito chiedeva, in via principale, il rigetto dell’impugnazione e la conferma della sentenza impugnata, e, in via subordinata, nel caso in cui fosse ritenuto provato che la controparte aveva subito danni a causa delle infiltrazioni verificatesi prima della citazione, chiedeva che detti danni fossero posti a suo carico nella misura del 45%. Il tutto con vittoria delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.
La Corte d’appello di Milano: dapprima esperiva tentativo di conciliazione, delineando essa stessa una ipotesi di conciliazione, e, poi, non avendo detto tentativo avuto esito positivo, con sentenza n. 2358/2020:
accertava e dichiarava l’inadempimento da parte della società RAGIONE_SOCIALE dell’obbligo di eliminare i vizi dell’immobile descritti nella consulenza tecnica d’ufficio di cui alla motivazione;
accertava e dichiarava che la società RAGIONE_SOCIALE aveva diritto a non versare i canoni locatizi concernenti il contratto di locazione per cui era processo fino alla concorrenza della somma di euro 24.888,50 aumentata dagli interessi legali dalla data della domanda al saldo;
condannava la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 5.451,37;
confermava nel resto la sentenza del giudice di primo grado;
provvedeva sulla regolamentazione delle spese processuali.
3.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, che ha proposto ricorso incidentale.
La società RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della società RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza camerale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso tre motivi.
1.1.Con il primo motivo la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1576 e 1592 c.c. nella parte in cui la corte territoriale, senza indicarne le ragioni, ha inquadrato la fattispecie non quale miglioramento ex art. 1592 c.c. (rifacimento del tetto con materiali tecnologicamente e qualitativamente migliori e differenti rispetto a quelli esistenti e risalenti alla costruzione dell’immobile nel 1984), come invece aveva fatto il giudice di primo grado (invocando Cass. n. 24987/2014), ma quale intervento di manutenzione
straordinaria (come invece aveva fatto la società RAGIONE_SOCIALE, che nell’atto introduttivo aveva qualificato come manutenzione straordinaria l’intervento di sostituzione della copertura dell’immobile industriale detenuto in locazione).
Lamenta (p. 8) che <>.
Osserva (p. 9) che la corte territoriale ha dato per scontato trattarsi di manutenzione straordinaria, senza entrare nel merito della differenza tra il concetto di manutenzione straordinaria, di cui all’art. 1575 c.c., ed il concetto di miglioramento, di cui all’art. 1592 c.c., nonostante le puntuali argomentazioni del primo giudice al riguardo. E sottolinea che, se la corte di merito è addivenuta a tale conclusione sulla base del contratto di appalto (nel quale i lavori sono stati per l’appunto definiti di straordinaria manutenzione), tanto è avvenuto in violazione sia principio, costituzionalmente affermato (art. 111 sesto comma) per cui ogni sentenza deve essere adeguatamente motivata sia dell’ulteriore principio per cui la motivazione, per quanto sintetica, deve essere precisa e chiara (mentre, nel caso di specie il richiamo non ad una norma di legge, ma ad un documento tra APE ed un soggetto terzo, in alcun modo può essere inteso come motivazione della decisione).
Esclude di aver ammesso (ad esito della espletata ATP e nella propria comparsa) di essere obbligata di provvedere alla realizzazione delle opere e precisa di aver rifatto la copertura (non già perché fosse obbligata a farlo) ma perché voleva sottrarre alla società RAGIONE_SOCIALE la possibilità di accampare ulteriori pretestuosi diritti a risarcimenti. Sottolinea comunque di non aver mai posto in essere condotte
incompatibili con la negazione del fatto costitutivo della domanda della società RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Con il secondo motivo la società ricorrente, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., denuncia violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 115 e 696 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha dichiarato che, pur avendo preso atto degli interventi fatti eseguire dalla società RAGIONE_SOCIALE dopo l’instaurazione della causa, non poteva affermarsi la cessazione della materia del contendere (con riferimento alla domanda della società RAGIONE_SOCIALE di condannare essa società alla realizzazione delle opere), in quanto il resoconto degli interventi non avrebbe consentito di stabilire detta cessazione.
Osserva che, non essendo stati verificati i lavori da essa fatti eseguire, la corte ha errato nel ritenere aprioristicamente che detti lavori non erano equivalenti a quelli indicati dal ctu in sede di atp per la sola ragione che erano costati di meno.
Osserva altresì che il ctu si era espresso nel senso che, a suo avviso, la copertura sarebbe stata da rifare in un certo modo e che quel determinato modo avrebbe avuto un certo costo, ma nessun soggetto terzo ha il potere di imporre modalità di esecuzione degli interventi (e conseguenti costi) al proprietario dell’immobile locato.
Si duole che la corte: a) ha posto a fondamento, unico ed esclusivo, la relazione tecnica redatta dal ctu in sede di atp, che invece non ha per legge natura di prova; b) sulla base di tale atto ha supposto il suo inadempimento all’obbligo di aver eseguito lavori adeguati; c) sulla base di tale supposizione ha riconosciuto alla controparte il diritto di non versare i canoni locatizi fino alla concorrenza della somma di euro 24.888,50.
1.3. Con il terzo motivo la società ricorrente, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha riconosciuto alla società RAGIONE_SOCIALE il diritto di trattenere la somma di euro
24.888,50 dai canoni di locazione, nonostante che essa società ricorrente avesse già rifatto la copertura.
Tanto sarebbe avvenuto in difetto di domanda, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE, che non ha eseguito alcun lavoro, aveva chiesto di essere autorizzata ad eseguire a proprie spese i lavori descritti dal ctu ed a trattenere i relativi costi dai canoni di locazione.
La società RAGIONE_SOCIALE in sede di ricorso incidentale articola due motivi.
2.1. Con il primo motivo la società RAGIONE_SOCIALE denuncia omesso esame di un fatto decisivo e controverso nella parte in cui non ha disposto una nuova ctu, che accertasse se e quali opere erano state realizzate dalla società RAGIONE_SOCIALE.
Si duole che la corte ha ritenuto di limitarsi ad effettuare una mera sottrazione, nonostante che la documentazione versata in atti non consentisse di valutare quali opere fossero state effettivamente eseguite.
Tanto più che a) come rilevato dalla stessa corte nella impugnata sentenza (p. 4, ultimo rigo), la società RAGIONE_SOCIALE non aveva prodotto alcun allegato e pertanto la corte territoriale non era nelle condizioni di valutare quali lavori erano stati in concreto eseguiti; b) la corte territoriale aveva impostato l’intero giudizio sul presupposto che l’unico modo per poter verificare l’efficacia dei lavori eseguiti da RAGIONE_SOCIALE fosse disporre idonea ctu; c) essa società RAGIONE_SOCIALE, nel corso del giudizio di primo grado, aveva segnalato che le infiltrazioni continuavano anche dopo l’esecuzione delle opere effettuate da RAGIONE_SOCIALE; e tale richiesta era stata reiterata nel giudizio di appello.
Osserva che, nel caso in cui fosse stata disposta nuova ctu ed il tecnico nominato avesse accertato che le opere effettuate avevano eliminato i vizi, la sua domanda avrebbe dovuto essere integralmente rigettata, mentre, nel caso contrario, la sua domanda avrebbe dovuto essere integralmente accolta.
2.2. Con il secondo motivo la società RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., denuncia violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale, ha rigettato la domanda di risarcimento danni da essa proposta, in quanto nell’atto introduttivo: a) non sarebbe stata inserita la domanda di risarcimento per ore lavorate dai dipendenti a causa delle infiltrazioni; b) non sarebbero stati indicati quali manufatti erano rimasti danneggiati e quanto spazio era stato inibito; c) non erano state indicate le ragioni della domanda, con conseguente nullità dell’atto.
Sostiene che la decisione è errata, in quanto errati sono i presupposti, su cui essa si fonda, e, all’uopo, ripercorre il contenuto dell’atto introduttivo, nel quale aveva messo in evidenza: la presenza di infiltrazioni, la necessità di spostamento di materiale e macchinari e relative coperture, nonché un ridotto utilizzo degli spazi.
Rileva che, ammesso e non concesso che le indicazioni fornite nell’atto introduttivo fossero ritenute insufficienti, la sanzione avrebbe dovuto essere (non la nullità dell’atto di citazione, ma) la concessione di un termine per integrare la domanda ai sensi dell’art. 164 comma 5 c.p.c.
In tale prospettiva, osserva che la sua memoria ex art. 426 c.p.c. avrebbe dovuto essere considerata come integrazione dell’atto introduttivo anche ai sensi del citato art. 164 comma 5 e che in detta memoria aveva indicato i macchinari rovinati (producendo le relative fatture) ed aveva indicato le ore di lavoro dei dipendenti.
In definitiva, secondo la società RAGIONE_SOCIALE, la corte territoriale, errando nell’interpretazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., ha erroneamente omesso di condannare la società RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni conseguenti alle infiltrazioni (e, precisamente, euro 25.140,20 per riparazione dei macchinari ed euro 8.044,19 per lavorazioni fatte eseguire a terzi) ed ha erroneamente omesso di ammettere all’uopo i capitoli di prova, che erano stati articolati in sede di memoria ex art.
426 c.p.c., che erano stati ribaditi in sede di precisazione delle conclusioni in sede di giudizio di primo grado e che erano stati oggetto di espresso motivo di appello.
Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
Occorre premettere che detto motivo, pur deducendo in rubrica la violazione e/o falsa applicazione delle norme degli artt. 1576 e 1592 c.c., in realtà lamenta, come emerge dalla pag. 9, la violazione dell’obbligo di motivazione, espressamente deducendo che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 111, sesto comma, della Costituzione. In tale modo, assume la sostanziale consistenza di motivo di deduzione della violazione del pur non espressamente evocato art. 132, secondo comma, n.4 c.p.c.
Sotto tale profilo, il motivo si palesa fondato, giacché la motivazione della sentenza non ha la struttura di una sentenza di appello, in quanto omette di prendere posizione sulla motivazione della sentenza di primo grado, sulle ragioni dell’appello, nonché sulle difese della parte appellata in relazione alla questione fondamentale, oggetto di causa: se i lavori in esame abbiano costituito ‘opere di miglioria’ (ai sensi dell’art. 1592 c.c.), come argomentato dal giudice di primo grado, ovvero ‘opere di manutenzione straordinaria’ (ai sensi dell’art. 1575 c.c.), come affermato apoditticamente dalla corte.
Invero – dopo un’esposizione del contenuto dell’appello alle pagg. 2-3 del tutto inidonea ad evidenziare le ragioni delle prospettazioni delle parti in primo grado ed il decisum della sentenza di primo grado – la motivazione (che inizia dopo l’enunciazione dell’ultimo rigo della pagina 3 della sentenza impugnata) omette qualsiasi riferimento alla sentenza di primo grado ed al tenore dell’appello (oggetto della devoluzione giudicanda) e procede ad enunciazioni necessariamente del tutto prive di correlazione all’una ed all’altro, le quali non risultano in alcun modo esplicative del dovere decisionale di un giudice di appello.
La corte territoriale, nelle pagine che dovrebbero costituire la veste motivazionale sull’impugnazione (cioè nelle pagine 4 e 5, nonché nelle prime righe di pagina 6): dapprima ripercorre le conclusioni rassegnate dalla COGNOME in atto di citazione e le corrispondenti censure della convenuta RAGIONE_SOCIALE; poi, dà atto che detta società ha prodotto il contratto di appalto, ma non ha prodotto l’Allegato A, nel quale era indicato l’oggetto del contratto; quindi, testualmente afferma:
<<Gli atti, ed in particolare anche il resoconto degli interventi fatti eseguire da quest'ultima (RAGIONE_SOCIALE, ndr) successivamente all'instaurazione della causa (…) non consentono quindi di stabilire se i medesimi abbiano creato le condizioni, in particolare perché pienamente conformi a quelli individuati dal summenzionato consulente tecnico d'ufficio, per una declaratoria, quanto alla domanda di condanna alla realizzazione di opere avanzata da COGNOME, di cessazione della materia del contendere.
<>.
In definitiva, non si coglie nella pretesa motivazione a pag. 5 e proprio per la segnalata pregressa carenza, alcuna indicazione evidenziatrice delle ragioni della riforma della sentenza di primo grado e dell’approdo che si enuncia nelle prime otto righe della pagina 6.
Nella descritta situazione si verte in presenza di una motivazione del tutto inidonea a svolgere la funzione che deve svolgere una sentenza di grado di appello che riformi una sentenza di primo grado (e, dunque, per ciò solo di una motivazione nella sostanza inesistente).
Occorre qui ribadire che la sentenza in grado di appello, che giunga ad un risultato diverso da quello consacrato nella sentenza di primo grado, deve contenere necessariamente, in ragione della stessa funzione del giudizio di appello, una propria motivazione, cioè una manifestazione (diretta od almeno indiretta) delle ragioni di censura della soluzione della vicenda, espressa dal giudice di primo grado, prima di esprimere una soluzione diversa.
Nulla di tutto ciò si coglie nella sentenza impugnata, sicché si è in presenza di una sostanziale carenza di motivazione.
Tale carenza comporta la nullità della sentenza ex art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e, ai sensi dell’art. 336, primo comma, c.p.c., la conseguente caducazione di quanto la sentenza impugnata esprime a partire da dopo le prime otto righe della pagina 6.
Per le ragioni che precedono, dell’impugnata sentenza s’impone la cassazione in relazione al primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi e del ricorso incidentale.
Ne segue il rinvio alla Corte d’appello di Milano, che, in diversa composizione provvederà a rendere una motivazione intellegibile sull’appello, evidenziando le ragioni dell’eventuale dissenso dalla sentenza di primo grado, sulla base delle ragioni dell’appello stesso e della prospettazione difensiva dell’appellata.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il primo motivo del ricorso principale, e, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, in diversa composizione personale, perché proceda a nuovo e motivato esame dell’atto di appello.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024, nella camera di consiglio