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Obbligo di mobilità: la Regione deve garantire i lavoratori

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a carico di due assessorati regionali, stabilendo che questi avevano un vero e proprio obbligo di mobilità nei confronti dei lavoratori di un ente di formazione professionale privato. I dipendenti erano stati sospesi senza retribuzione e gli enti regionali avevano omesso di attivare le procedure necessarie a garantire la loro continuità lavorativa. La Corte ha chiarito che, nonostante i lavoratori fossero dipendenti di un ente privato, esisteva un “rapporto di servizio” con la Regione, dato che l’ente operava per conto e con finanziamenti pubblici. Di conseguenza, la mancata attivazione delle procedure di mobilità non era una scelta discrezionale, ma una violazione di un preciso dovere legale, che ha generato il diritto al risarcimento del danno per i lavoratori.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di Mobilità: La Cassazione Conferma la Responsabilità della Regione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel diritto del lavoro pubblico: quando un ente pubblico affida un servizio a un soggetto privato, può rimanere vincolato da precisi doveri a tutela dei lavoratori. Il caso in esame ha chiarito che l’ obbligo di mobilità per il personale degli enti di formazione professionale siciliani non è una mera facoltà discrezionale della Regione, ma un dovere giuridico la cui violazione comporta il risarcimento del danno.

I Fatti del Caso: Lavoratori Sospesi e Tutele Mancate

La vicenda ha origine dalla domanda di un gruppo di lavoratori di un centro di formazione professionale, un ente di natura privata. Questi lavoratori erano stati sospesi dal servizio senza percepire la retribuzione. Essi sostenevano che gli Assessorati competenti della Regione Siciliana avessero violato un obbligo specifico: quello di attivare i processi di mobilità previsti dalla legge per garantire la loro continuità occupazionale e di sostenere il loro reddito attraverso un apposito fondo di garanzia.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai lavoratori. I giudici avevano stabilito che l’attivazione delle procedure di mobilità non rappresentava una scelta facoltativa per l’amministrazione regionale, ma un vero e proprio obbligo sancito dalla legislazione regionale. A sostegno di questa tesi, era emerso che la Regione aveva già impegnato specifiche somme a bilancio per il Fondo di Garanzia destinato a questi lavoratori, dimostrando di aver assunto un impegno concreto.

L’obbligo di mobilità secondo la Cassazione

Gli Assessorati regionali hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di avere una mera facoltà e non un obbligo di attivare le procedure di mobilità. Hanno richiamato una precedente sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato illegittima una legge regionale sul transito diretto del personale nel pubblico impiego.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, operando una distinzione fondamentale. Il caso in esame non riguardava un’assunzione diretta nella pubblica amministrazione, ma l’attuazione di processi di mobilità per personale già inserito in un sistema che, sebbene gestito da privati, realizzava finalità pubbliche.

Il “Rapporto di Servizio” tra Ente Privato e Pubblica Amministrazione

Il punto centrale della decisione è il riconoscimento di un “rapporto di servizio” tra l’ente di formazione e la Regione. Anche se l’ente è un soggetto privato e i lavoratori sono suoi dipendenti, esso svolgeva un’attività formativa “in vece e per conto dell’amministrazione regionale”, essendo interamente finanziato e disciplinato da quest’ultima.

Questo legame funzionale, secondo la Corte, implica che la Regione non può disinteressarsi della sorte dei lavoratori. La normativa regionale (in particolare la L.R. n. 25/1993 e la L.R. n. 24/1976) è stata interpretata come fonte di una garanzia di continuità lavorativa per il personale iscritto a un apposito albo regionale. Di conseguenza, l’ obbligo di mobilità diventa lo strumento per rendere effettiva tale garanzia.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che l’inadempimento della Regione non consisteva in una mancata assunzione, ma nel non aver rispettato gli obblighi assunti per garantire la continuità lavorativa del personale. La normativa regionale, autorizzando l’Assessore competente ad attuare i processi di mobilità, non gli conferiva un potere discrezionale, ma gli imponeva di agire per realizzare la finalità di tutela prevista dal legislatore. Il fatto che fossero state impegnate somme a bilancio per gli anni in questione ha ulteriormente rafforzato la tesi dell’esistenza di un obbligo specifico e non di una mera facoltà. La Corte ha quindi confermato che la mancata attivazione di tali procedure costituisce un inadempimento che dà diritto al risarcimento del danno in favore dei lavoratori ingiustamente sospesi.

Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, stabilisce che le garanzie occupazionali previste da leggi regionali per i lavoratori di enti privati che svolgono servizi pubblici non sono mere dichiarazioni di intenti. Esse creano obblighi giuridici precisi per l’amministrazione, la cui violazione può essere sanzionata in sede giudiziaria. In secondo luogo, il concetto di “rapporto di servizio” viene valorizzato come elemento chiave per estendere la responsabilità della pubblica amministrazione anche al personale di soggetti esterni, quando questi sono organicamente inseriti nel perseguimento di finalità pubbliche. Infine, la decisione offre una tutela concreta ai lavoratori di un settore storicamente caratterizzato da precarietà, affermando che la continuità lavorativa è un diritto che l’amministrazione ha il dovere di proteggere attivamente.

La Regione ha una semplice facoltà o un vero e proprio obbligo di attivare le procedure di mobilità per i lavoratori degli enti di formazione professionale?
Secondo la Corte di Cassazione, la Regione ha un vero e proprio obbligo giuridico. La legislazione regionale non le conferisce una facoltà discrezionale, ma le impone di attivare i processi di mobilità per garantire la continuità lavorativa del personale iscritto all’albo, in adempimento di una precisa garanzia legislativa.

Cosa si intende per “rapporto di servizio” tra un ente privato e la pubblica amministrazione e quali conseguenze comporta?
Il “rapporto di servizio” si verifica quando un ente privato, pur mantenendo la sua autonomia giuridica, svolge un’attività di interesse pubblico in vece, per conto e con il finanziamento di un’amministrazione pubblica. La conseguenza principale, in questo caso, è che l’amministrazione pubblica assume specifici obblighi, come quello di garantire la continuità lavorativa del personale dell’ente privato attraverso strumenti come la mobilità.

La precedente dichiarazione di incostituzionalità di una legge regionale sul transito del personale ha influenzato questa decisione?
No, non in senso negativo. La Corte ha distinto nettamente le due situazioni: la sentenza della Corte Costituzionale riguardava l’illegittimità di un’assunzione diretta di personale presso enti pubblici, che violava i principi di accesso al pubblico impiego. Il caso attuale, invece, concerne l’obbligo di attivare procedure di mobilità, che è uno strumento diverso finalizzato a garantire la continuità di un rapporto di lavoro già esistente all’interno di un sistema finanziato dalla Regione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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