Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
Oggetto: Avvocato – Omessa informazione – Violazione dell’obbligo di diligenza – Sussistenza.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20820/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé, con elezione di domicilio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME NOME, rappresentati e difesi entrambi dall’AVV_NOTAIO e il primo anche dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati preso lo studio del primo difensore in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti-
Avverso l’ordinanza del 5/4/2019, emessa nell’ambito del procedimento n. 4635/2017, comunicata via PEC il 29/4/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dalla AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. In data 14 dicembre 2017, NOME COGNOME adì il Tribunale di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 702 -bis cod. proc. civ., deducendo di aver rappresentato e difeso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in una vertenza davanti alla Commissione Tributaria di primo grado di Reggio Calabria, conclusasi con il rigetto della domanda, di avere assistito i predetti anche nella successiva fase di appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale, finché nel 2009 aveva rinunciato al mandato difensivo nei confronti di NOME e NOME e aveva continuato a difendere il solo NOME, ottenendo una pronuncia favorevole, e di avere ottenuto il pagamento della sola quota di NOME, ma non anche di quella degli altri due fratelli, chiedendo, pertanto, la liquidazione del compenso maturato nella misura di € 50.535,14 al netto della somma versata.
Costituitisi in giudizio, NOME e NOME chiesero il rigetto della domanda, evidenziando che il primo aveva agito quale erede di NOME e in rappresentanza di tutti gli altri eredi, sicché non poteva rispondere per l’intero da solo, e rilevando che il legale aveva violato gli obblighi informativi in ordine agli esiti che il giudizio avrebbe verosimilmente potuto avere, sia al momento del conferimento dell’incarico, sia nel corso del processo, tant’è che in sede di legittimità avevano perso la causa siccome fondata su un principio contrastante con la norma vigente.
Con l’ordinanza del 5 Aprile 2019, il Tribunale di Reggio Calabria rigettò la domanda, ritenendo che fosse pacifico tra le parti l’inadempimento del difensore all’obbligo, su di lui gravante, di
informare i clienti della rischiosità della causa, non avendo egli contestato per ben due udienze le deduzioni delle sue controparti e avendovi provveduto soltanto con le note conclusive e attraverso il deposito di documentazione non sottoposta all’esame delle parti in causa, né intellegibile, siccome denominata ‘atto non codificato’, e che in conseguenza di ciò avesse perso il diritto al compenso.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria. NOME e NOME resistono con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 87 disp att. cod. proc. civ., con riguardo all’art. 13 D.M. n. 44 del 2011, come modificato dal Decreto 15 ottobre 2012, n. 209, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il Tribunale ritenuto irrituale la produzione documentale effettuata telematicamente in data 12 giugno 2018, in quanto non comunicata alla controparte ai sensi dell’art. 87 disp. att. cod. proc. civ.. Il ricorrente ha, sul punto, obiettato che le modalità di deposito in cancelleria sancite dagli artt. 74 e 87 disp. att. cod. proc. civ. erano state superate dalle novità introAVV_NOTAIOe dal PCT, in quanto l’esigenza di comunicazione alle parti sottesa al ridetto art. 87 disp. att. era soddisfatta dal fatto che il sistema avvertisse sempre in automatico le parti costituite dei nuovi inserimenti nel fascicolo informatico, così da garantire la messa a disposizione dei documenti agli altri contendenti e la possibilità, per essi, di prenderne visione, tant’è che col decreto del Ministero della Giustizia n. 209 del 15/10/2012, entrato in vigore il 20/12/2012, era stato soppresso il periodo dell’art. 13,
n. 4, del D.M. n. 44 del 2011, nella parte in cui prevedeva l’obbligo di inviare ai procuratori delle parti costituite la copia informatica dell’atto e dei documenti allegati con le modalità previste dall’art. 18 del medesimo decreto, ed era stato sostituito dall’attuale art. 13, comma 4, secondo cui il rigetto del deposito da parte dell’ufficio non impedisce il successivo deposito entro i termini assegnati o previsti dalla normativa processuale. Peraltro, la nomenclatura sotto cui era stata effettuato il deposito rispondeva ai codici e alle elencazioni degli atti telematici ministeriali, sicché la produzione non poteva che essere sussunta sotto la voce ‘atto non codificato generico’, sebbene nella parte ‘informazioni di cancelleria’ fosse stato precisato che si trattava di ‘nota di accompagnamento a deposito documenti’, mentre l’etichettatura non aveva comunque effetto vincolante, in quanto la cancelleria poteva intervenire correggendo l’anomalia attraverso la modifica della nomenclatura informatica. Infine, non era plausibile che la difesa della controparte non avesse controllato per mesi i depositi telematici, neppure al momento del deposito della sua comparsa conclusionale, avvenuto qualche ora prima di quella della controparte.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione degli artt. 1176, 2236 e 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e l’errore nell’individuazione della norma generale ed astratta sotto cui sussumere la fattispecie, per avere i giudici di merito ritenuto non spettante il compenso in ragione dell’avvenuta violazione del principio di diligenza professionale ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., tra cui rientrano gli obblighi informativi, e avere, dunque, reputata fondata l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ., richiamando all’uopo due precedenti di legittimità che avevano escluso il diritto al compenso per dolo e/o colpa grave
del professionista e affermando che la difficile realizzazione del credito avrebbe dovuto indurre ad una più adeguata informazione in favore di un soggetto sprovvisto di particolari cognizioni tecniche. Il ricorrente ha, sul punto, obiettato: che costituisce parametro della responsabilità del professionista non il primo, ma il secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., oltreché dell’art. 2236 cod. civ.; che il proprio inadempimento non era sussumibile sotto il profilo del dolo e/o colpa grave, posto che la propria attività professionale si era esaurita con una pronuncia, quella della Commissione Tributaria Regionale, favorevole ai propri clienti, non avendo egli difeso in cassazione né NOME COGNOME, che aveva proposto ricorso con il patrocinio di altro difensore, né NOME COGNOME, non costituitosi, come risultante dalla copiosa corrispondenza intercorsa tra le parti, riferita a periodo successivo alla sentenza di secondo grado e ritenuta irritualmente proAVV_NOTAIOa, benché idonea, a dire degli stessi giudici, a contrastare le eccezioni avversarie; che la propria conAVV_NOTAIOa avrebbe dovuto essere vagliata alla luce dell’art. 2236 cod. civ., valevole per i soli casi di dolo o colpa grave, in quanto la sua prestazione involgeva problemi tecnici di particolare difficoltà, tant’è che il giudice di secondo grado, nell’accogliere la domanda dei propri assistiti, aveva compensato le spese proprio in ragione della complessità anche giuridica della vertenza; che il diritto al risarcimento e la non debenza del compenso non sorgevano davanti a qualsiasi inadempimento, ma postulavano un accertamento fondato su un giudizio probabilistico, dovendosi valutare se in assenza dell’errore l’esito negativo del cliente si sarebbe ugualmente proAVV_NOTAIOo e dovendosi considerare che è esclusa la sua responsabilità, tranne che in casi di dolo o colpa grave, quando si debba procedere alla interpretazione di leggi o alla soluzione di questioni opinabili, stante l’attenuazione dettata
dall’art. 2236 cod. civ., e che la Corte di legittimità aveva esaminato, nella causa dei propri assistiti, un profilo diverso da quello da lui affrontato.
3. Va in primo luogo rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, proposta dai controricorrenti, sul presupposto che lo stesso sia possibile soltanto in caso di provvedimenti caratterizzati da decisorietà e definitività e dichiarati dalla legge espressamente non impugnabili, sì da non essere possibile nella specie, essendo la sentenza divenuta irrevocabile per omessa interposizione di uno specifico mezzo di impugnazione.
Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato in materia civile, l’ordinanza conclusiva del procedimento ex art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 non è appellabile, ma impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, sia che la controversia riguardi solamente il quantum debeatur , sia che la stessa sia estesa all’ an della pretesa, trovando anche in tale ultimo caso applicazione il rito di cui al citato art. 14 (Cass., Sez. 2, 14/12/2023, n. 35026; Cass., Sez. 2, 17/5/2017, n. 12411), a meno che, e non è questo il caso di specie, il giudice abbia aAVV_NOTAIOato una diversa forma di decisione in base alla qualificazione data, implicitamente o esplicitamente, all’azione esercitata in giudizio, allorché vale il principio secondo cui è a questa che occorre far riferimento per l’impugnazione del provvedimento anche in seguito all’entrata in vigore del ridetto art. 14 (Cass., Sez. 6-2, 17/10/2019, n. 26347; Cass., Sez. 6-2, 1/3/2018, n. 4904; Cass., Sez. 2, 17/5/2017, n. 12411), come quando il procedimento si sia svolto nelle forme ordinarie, essendo in tal caso la decisione impugnabile con appello e non mediante ricorso per cassazione, stante l’inapplicabilità, in tale
situazione, dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011 (Cass., Sez. 2, 14/6/2016, n. 12248).
Venendo al merito, la prima censura è inammissibile.
Al riguardo occorre prendere le mosse dall’ordinanza impugnata, nella quale i giudici di merito, nel rigettare la domanda avanzata dal difensore per essere il suo diritto al compenso eliso dalla violazione degli obblighi informativi su di lui gravanti, hanno fondato la decisione su plurime rationes decidendi , riconducibili, per un verso, alla mancata presa di posizione, da parte del legale, sulle deduzioni difensive delle sue controparti, essendosi limitato a farlo nelle sole memorie conclusive, e, per altro verso, sulla inutilizzabilità della documentazione atta a contrastare l’eccezione di violazione degli obblighi informativi, siccome proAVV_NOTAIOa irritualmente fuori udienza senza il rispetto dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 87 disp. att. cod. proc. civ. e senza alcun richiamo ad essa in udienza, così da non consentire l’instaurazione del contraddittorio con la controparte, anche in ragione della qualificazione data alla produzione, denominata ‘atto non codificato’, inidonea a rendere percepibile la natura del deposito e il suo contenuto.
Orbene, al di là della correttezza della decisione, nella parte in cui evidenzia la mancata contestazione dell’eccepito inadempimento degli obblighi informativi e la conseguente sua dimostrazione ex art. 115 cod. proc. civ. sulla base del principio di non contestazione, è certo che su questa ratio decidendi il ricorrente non ha avanzato alcuna censura, sicché non può che trovare applicazione il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una
soltanto di esse determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass., Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257; Cass. Sez. 6-2, 3/12/2021, n. 38336; Cass., Sez. 6-5, 18/04/2017, n. 9752 Cass., Sez. 6-5, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. I, 18 aprile 1998, n. 3951).
Del resto, posto che il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato (Cass., Sez. L, 19/8/2019, n. 21460), imponendo al convenuto ex art. 167 cod. proc. civ., anche anteriormente alla formale introduzione dello stesso a seguito della modifica dell’art. 115 cod. proc. civ., introAVV_NOTAIOa dall’art. 45, l. n. 69 del 2009, di prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara (Cass., Sez. 6-3, 4/4/2022, n. 10761, in motivazione), il motivo di ricorso per cassazione che si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto conAVV_NOTAIOe processuali di non contestazione, dovrebbe comunque consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte e contenere perciò, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., la trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata (o, al contrario escluso la) non contestazione negata (o, al contrario, invocata) dal ricorrente, quanto meno nella misura necessaria a integrare la specificità del motivo ed a consentirne la valutazione senza necessità di procedere all’esame del fascicolo d’ufficio o di quelli di parte (cfr. Cass., Sez. 1, 11/12/2023, n. 34449; Cass.
9/8/2016, n. 16655), indicando specificamente sia in quale atto processuale il fatto, che si assume non essere stato contestato (o contestato), sia stato a suo tempo esposto (Cass., Sez. 5, 6/12/2018, n. 31619), sia il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, e di specificare, dunque, tanto il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, con la puntuale allegazione dei fatti di causa ivi esposta dall’attore, quanto il contenuto dell’atto contenente la risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, con la prospettata mancanza o genericità di contestazione in ordine agli stessi (Cass. Sez. 6-2, 17/6/2022, n. 19581) o presenza di contestazione, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass., Sez. 6-3, 22/5/2017, n. 12840) o, al contrario, la presenza di contestazioni.
Nel caso in esame, invece, non soltanto il ricorrente non ha prospettato la questione, benché l’onere di allegazione debba evidentemente precedere e non seguire quello probatorio, dato nella specie dai documenti proAVV_NOTAIOi, ma questa, quand’anche fosse implicita nella censura, non assolverebbe, per i motivi sopra detti, agli obblighi di contenuto-forma posti a carico del ricorrente.
Né può obiettarsi che l’ error in procedendo denunciato con la censura avrebbe dovuto indurre questa Corte ad esaminarla comunque in quanto giudice del fatto, dovendosi sul punto ribadire il principio, più volte affermato, secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura (Cass., Sez. 3, 7/6/2023, n. 16028; Cass., Sez. 5, 29/9/2017, n. 22880), la quale è, invece, in sé inammissibile anche in quanto non ha assolto all’onere dettato dall’art. 366, n.
6, cod. proc. civ., che impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), posto che non è stato, in essa, chiarito il contenuto dei documenti considerati dai giudici di merito tardivamente proAVV_NOTAIOi.
Alla stregua di quanto detto, il motivo è inammissibile.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
A fronte di una pronuncia che ha considerato prima ancora che provata, pacifica perché non contestata la conAVV_NOTAIOa inadempiente del legale, per avere egli omesso di informare i clienti dei rischi connessi all’avvio del procedimento giudiziale, e averne evidenziato la gravità, non essendo stati gli stessi posti nelle condizioni di autodeterminarsi consapevolmente in merito alla scelta se intraprendere e/o proseguire il giudizio, benché incerto a fronte di norme già esistenti a quella data, il ricorrente propone una censura che sposta l’attenzione su una questione tutt’affatto diversa, in quanto volta a rimettere in discussione la reputata importanza dell’inadempimento , allorché lamenta la falsa applicazione di una norma, quella dettata dall’art. 1173, cod. civ., a suo dire inapplicabile alla specie, per essere questa sussumibile nella diversa disposizione di cui all’art.2236 cod. civ .. La censura, dunque, non coglie nel segno.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, infatti, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle dell’avvocato, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo, senza che il proprio inadempimento possa essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, dovendo, invece, essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale media fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ., da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata, sicché la relativa responsabilità può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 cod. civ., solo nel caso di dolo o colpa grave (Cass., Sez. 2, 14/8/1997, n. 7618).
In sostanza, la responsabilità del legale, quale prestatore d’opera professionale, è normalmente regolata dall’art. 1176 cod. civ., che fa obbligo al professionista di usare, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che egli risponde anche per colpa lieve, mentre nella sola ipotesi che la prestazione deAVV_NOTAIOa in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la norma dell’art. 2236 cod. civ. prevede una attenuazione della normale responsabilità, nel senso
che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave (Cass., Sez. 2, 11/8/1990, n. 8218), sicché, essendo la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 cod. civ. di integrazione per complementarità e non già per specialità, vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (art. 1176, comma secondo) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell’art. 2236 cod. civ., che delimita la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave (Cass., Sez. 3, 15/1/2001, n. 499).
E allora, analizzando più nel dettaglio la questione oggi controversa, non può che affermarsi come la conAVV_NOTAIOa ascritta al difensore più che attenere all’impegno intellettuale richiesto in misura superiore a quello professionale medio per l’esame della questione oggetto del mandato di patrocinio, tale essendo quello che, ai sensi dell’art. 2236 cod. civ., limita al dolo o alla colpa grave la responsabilità del legale (Cass., Sez. 2, 23/4/2002, n. 5928), o alla misura della diligenza correlata alla preparazione e al dispendio di attività in misura pari o superiore alla media, attenga ad un dovere, quello di informazione, che l’art. 13, comma 5, della l. n. 247 del 2012 gli impone di adempiere per ogni questione sottoposta alla sua attenzione, indipendentemente dalla maggiore o minore difficoltà di essa, non solo all’atto del conferimento del mandato, ma anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e che deve essere assolto attraverso la rappresentazione al cliente di tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, la richiesta di elementi necessari o utili in suo possesso e l’opera di dissuasione dall’intraprendere o proseguire
un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole nel corso dello svolgimento del rapporto (Cass., Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412; Cass., Sez. 3, 19/7/2019, n. 19520).
Se questi sono, dunque, i principi da applicare nella specie, appare allora evidente come, a fronte dell’accertato inadempimento all’obbligo di informazione, nessun rilievo possano assumere né le difficoltà della causa, né gli esiti favorevoli dei giudizi di merito rappresentati nella censura, siccome inidonei a deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o intervenire in giudizio, giacché sarebbe stata rilevante la sola prova della conAVV_NOTAIOa mantenuta, il cui onere, gravante sullo stesso ricorrente (Cass., Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412), non è stato, invece, assolto, come accertato dai giudici di merito.
Pertanto, non cogliendo la censura la ratio decidendi del provvedimento impugnato, non può che dichiararsene l’inammissibilità.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità delle due censure, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del