Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18908 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18908 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
Oggetto: Avvocato – Violazione obblighi informativi su causa – Conseguenze – Diritto al compenso – Esclusione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34131/2019 R.G. proposto da
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con studio in Salerno, INDIRIZZO, e domicilio telematico presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con studio in Verona, INDIRIZZO, presso il cui studio è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, n. 488 -2019, pubblicata il 5 aprile 2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27
giugno 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. Con sentenza n. 1986/2013, pubblicata il 25 luglio 2013, il Tribunale di Salerno condannò COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME al pagamento, in favore dell’attore COGNOME NOME, della somma di € 20.021,13 a titolo di corrispettivo dovuto per lo svolgimento di attività defensionale nell’ambito di due giudizi riuniti celebrati davanti al Tribunale di Verona, riducendo le pretese attoree e dichiarando che quest’ultimo aveva il diritto di escludere dal vincolo di solidarietà COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche nell’interesse dei quali erano stati instaurati i giudizi.
Il giudizio d’appello, incardinato su iniziativa di NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, che proposero a loro volta appello incidentale, con la sentenza n. 488/2019, pubblicata il 5 aprile 2019, con la quale la Corte d’Appello di Salerno rigettò tanto l’appello principale quanto quelli incidentali.
In particolare, premesso che, nel primo giudizio, COGNOME NOME (dante causa degli appellati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), COGNOME NOME, COGNOME NOME (deceduto nelle more) e COGNOME NOME avevano chiesto, per il tramite del difensore COGNOME NOME, che venisse dichiarata la nullità della rinuncia della madre, COGNOME NOME, all’eredità del secondo marito, COGNOME NOME, essendo maturati i presupposti per ritenere tacitamente accettata l’eredità, o, in subordine, che alla rinuncia venisse attribuita la natura di donazione indiretta nei confronti della figlia nata dal predetto, COGNOME NOME, soggetta a collazione, e che si procedesse allo scioglimento della comunione, mentre nel secondo giudizio, incardinato in seguito alle difese della convenuta COGNOME NOME nel primo giudizio, allorché aveva dedotto, tra l’altro, l’esistenza di un testamento olografo del padre che la istituiva erede universale,
dispensandola dalla collazione, chiesero, come risulta dal ricorso (non essendovi specificazione nella sentenza), che, in subordine, si desse prevalenza alla delazione testamentaria rispetto a quella legittima e che i due procedimenti venissero riuniti, i giudici d’appello, confermando la sentenza di primo grado, ritennero che nulla fosse dovuto al difensore per il patrocinio riguardante questa seconda causa, quantomeno fino alla sua riunione alla prima, sia perché il difensore avrebbe potuto ritualmente e tempestivamente approntare le medesime difese già nel primo giudizio, sia perché questi non aveva dimostrato, benché ne fosse onerato, di avere informato i propri clienti della proposizione del secondo giudizio e della necessità di instaurarlo a causa delle deduzioni della convenuta COGNOME NOME, non rilevando, a dimostrazione del contrario, il fatto che COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avessero rilasciato le loro procure, risalendo le stesse al 2003, ossia ad epoca di gran lunga antecedente a quella in cui il secondo giudizio era stato incardinato.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., nella versione antecedente alle novelle processuali del 2005, e degli artt. 620, 1460 e 2943 cod. civ. e di tutte le norme desumibili dai motivi che seguono, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso del ricorrente per tutte le attività professionali da lui svolte con riguardo al secondo giudizio, fino al momento della sua riunione al primo, in quanto le domande in esso spiegate avrebbero
potuto ritualmente e tempestivamente essere proposte nel primo, giacché, a fronte delle difese della controparte COGNOME NOME, gli attori avrebbero potuto, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., proporre domande ed eccezioni conseguenti alle avverse argomentazioni e richieste, nonché precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Il ricorrente ha, in proposito, obiettato che, al momento della notifica dell’atto di citazione, non risultava pubblicato, né trascritto alcun testamento olografo riconducibile a COGNOME NOME e contenente la nomina di NOME COGNOME quale erede universale, che di esso ne aveva fatto menzione quest’ultima solo nella comparsa di costituzione del 31/10/2002, allorché aveva affermato che lo stesso, essendo intervenuta la rinuncia all’eredità della madre, COGNOME NOME, non era stato pubblicato, né essa intendeva avvalersene, che detto documento era stato prodotto soltanto con le memorie istruttorie ex art. 184 cod. proc. civ., allorché si era saputo della sua pubblicazione avvenuta il 22/10/2002, che, pertanto, aveva chiesto la rimessione in termini per la formulazione delle conseguenti domande, che il giudice aveva rigettato l’istanza e che, pertanto, aveva notificato l’atto di citazione del 3/5/2005, in nome e per conto di tutti gli eredi legittimari, introducendo il secondo giudizio che era stato riunito al primo. Alla stregua di tali precisazioni, il ricorrente ha, quindi, affermato che, prima del deposito del testamento olografo, non avrebbe potuto proporre alcuna correlata domanda per la lesione della legittima dei propri assistititi, essendo il relativo diritto divenuto attuale soltanto con l’accettazione dell’eredità da parte della chiamata, in assenza della quale sarebbe mancato l’interesse alla domanda.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che le procure notarili rilasciate da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME risalivano al 2003 e, dunque, ad epoca di gran lunga antecedente all’istaurazione del giudizio e che le stesse, nonostante gli ampi poteri rilasciati al difensore, non facevano riferimento al secondo giudizio, ma a quello antecedentemente intrapreso. Peraltro, per non incorrere nell ‘ inammissibilità del motivo per la c.d. doppia conforme, il ricorrente ha precisato che le pronunce di primo e secondo grado erano sul punto diverse, posto che il Tribunale non aveva riconosciuto alcun compenso per il secondo giudizio, in quanto era mancato da parte dell’avvocato l’adempimento dell’obbligo di informazione nei confronti del cliente, senza citare in alcun modo le procure, mentre la Corte d’Appello aveva preso posizione sul punto.
3. Con il terzo motivo di ricorso, subordinato al secondo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 82, 83, 84 cod. proc. civ. e 1708 cod. civ. e di tutte le altre norme desumibili dai motivi, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso del difensore, in quanto questi aveva violato l’obbligo di informazione in relazione all’introduzione del giudizio di secondo grado, senza considerare che la procura alle liti, che costituisce una mera designazione, derivando l’attribuzione dei poteri del difensore direttamente dalla legge, dava facoltà a quest’ultimo di impostare la lite, di scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi del cliente e di modificarla in relazione agli sviluppi della causa, sicché le procure rilasciate al ricorrente gli conferivano il potere di proporre le domande più opportune, proprio perché non eccedenti l’ambito della lite originaria.
Per motivi di priorità logica, si ritiene di dover analizzare il secondo e il terzo motivo, la cui inammissibilità, prima ancora che infondatezza, determina a cascata l’inammissibilità del primo.
E invero, come precisato in premessa, i giudici d’appello hanno fondato la decisione su due autonome rationes decidendi , avendo escluso il diritto al compenso del difensore, sia in quanto il secondo giudizio avrebbe potuto essere evitato se il legale avesse proposto la medesima domanda con le memorie ex art. 183 cod. proc. civ., nella formulazione antecedente alla novella del 2005, sia in quanto il legale non aveva dimostrato di avere informato i propri assistiti della proposizione del secondo giudizio, non potendo considerarsi a tal fine dirimente né la procura ad esso rilasciata da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in quanto di gran lunga antecedente alla instaurazione dello stesso e, pur attribuendo al procuratore ampie facoltà, non riferita al secondo giudizio, ma a quello già intrapreso dal loro dante causa, né i documenti prodotti e le circostanze in essi attestate. Tale documentazione è attinente a soggetti diversi dagli appellati e non idonea a dimostrare, in maniera piena e incontrovertibile, la conoscenza, acquisita grazie all’informazione che il professionista avrebbe dovuto dare loro, dell’introduzione del secondo giudizio e della sua necessità derivante dalle difese della controparte COGNOME NOME. Ne deriva che il giudicato formatosi sulla prima ratio decidendi non può che ridondare nell ‘ inammissibilità della seconda, essendo la prima in sé idonea a reggere la decisione.
Con riguardo, in particolare, al la questione afferente all’omessa dimostrazione, da parte del ricorrente, dell’adempimento dell’obbligo di informazione, occorre, innanzitutto, evidenziare come le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività
professionale, come quelle dell’avvocato, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo, senza che il proprio inadempimento possa essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, dovendo, invece, essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale media fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ., da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata, sicché la relativa responsabilità può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 cod. civ., solo nel caso di dolo o colpa grave (Cass., Sez. 2, 14/8/1997, n. 7618).
In sostanza, la responsabilità del legale, quale prestatore d’opera professionale, è normalmente regolata dall’art. 1176 cod. civ., che fa obbligo al professionista di usare, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che egli risponde anche per colpa lieve, mentre nella sola ipotesi che la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la norma dell’art. 2236 cod. civ. prevede un ‘ attenuazione della normale responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno
unicamente per dolo o colpa grave (Cass., Sez. 2, 11/8/1990, n. 8218); sicché, essendo la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 cod. civ. di integrazione per complementarietà e non già per specialità, vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (art. 1176, comma secondo) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell’art. 2236 cod. civ., che delimita la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave (Cass., Sez. 3, 15/1/2001, n. 499).
E allora, analizzando più nel dettaglio la questione oggi controversa, non può che affermarsi come la condotta ascritta al difensore attenga ad un obbligo , quello di informazione, che l’art. 13, comma 5, della l. n. 247 del 2012 gli impone di adempiere per ogni questione sottoposta alla sua attenzione, indipendentemente dalla maggiore o minore difficoltà di essa, non solo all’atto del conferimento del mandato, ma anche nel corso dello svolgimento del rapporto. Obbligo, questo, che deve essere assolto attraverso la rappresentazione al cliente di tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, la richiesta di elementi necessari o utili in suo possesso e l’opera di dissuasione dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole nel corso dello svolgimento del rapporto (Cass., Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412; Cass., Sez. 3, 19/7/2019, n. 19520), derivando dall’omessa informazione il totale inadempimento della prestazione, che, in quanto improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, fa venir meno il diritto al compenso (in termini analoghi, Cass., Sez. 3, 26/2/2013, n. 4781).
Questi essendo, dunque, i principi da applicare nella specie, appare evidente come, a fronte dell’accertato inadempimento all’obbligo di informazione da parte del ricorrente, nessun rilievo possano assumere gli esiti favorevoli del giudizio di merito che sarebbero stati conseguiti in caso di impugnazione della sentenza di rigetto, né tantomeno i poteri conferiti al difensore attraverso il rilascio della procura necessaria all’esercizio dello jus postulandi , siccome inidonei a deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o intervenire in giudizio (Cass., Sez. 2, 19/7/2019, n. 19520; Cass., Sez. 2, 30/7/2004, n. 14597), specie ove si consideri che n on rientra tra i doveri di correttezza dell’avvocato ex art. 1227 cod. civ., quello di intraprendere un’azione giudiziaria aggiuntiva con accollo dei costi e dei rischi relativi (Cass., Sez. 2, 14/8/1997, n. 7618), giacché sarebbe stata rilevante la sola prova della condotta mantenuta, il cui onere, gravante sullo stesso ricorrente (Cass., Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412), è stato considerato dalla Corte d’Appello non assolto.
Orbene, le due censure, per come articolate, non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale la questione afferente alla procura è stata esaminata, unitamente, peraltro, ad altra documentazione fornita e giudicata a sua volta inidonea, solo in quanto prospettata come dimostrativa dell’assolvimento dell’obbligo di informazione gravante sul legale, non certo per negare la sussistenza di poteri rappresentativi in capo ad esso nell’instaurazione del secondo giudizio o per mettere in discussione la strategia difensiva dallo stesso adottata e i poteri difensivi ad essa connessi, come dedotto con la terza censura, che, peraltro, sono stati stigmatizzati sotto altro profilo, ossia
quello delle facoltà esercitabili nel primo giudizio ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ.
Inoltre, il secondo motivo tende altresì a rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, benché tale possibilità, trattandosi di accertamento di fatto, sia preclusa in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056). La valutazione delle prove raccolte è attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono, per l’appunto , sindacabili con il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/10/2018, n. 27415).
Per quanto detto, le due censure sono inammissibili.
Dall’inammissibilità del secondo e terzo motivo, deriva l’inammissibilità del primo, atteso che, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità (o, come nella specie, la pronunciata inammissibilità della censura riguardante una di esse), per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata o, pur censurata, inammissibile, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass., Sez. I, 18 aprile 1998, n. 3951; Cass., Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257).
6. In conclusione, stante l’inammissibilità delle censure, deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del