Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23184 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23184 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10286-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 844/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/02/2023 R.G.N. 3120/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
R.G.N. 10286/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/04/2025
CC
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Civitavecchia n. 53 del 3/11/2022 con la quale si confermava l’ordinanza emessa in fase sommaria dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato il 20.6.2020 a NOME Nicola e si accordava la tutela ex articolo 18, comma 4, della legge n. 300/70.
A fondamento della decisione la Corte d’appello premetteva, come antefatto processuale e per quanto qui ancora rilevava, che risultava documentalmente provato che il lavoratore fosse stato già licenziato una prima volta il 31/10/2014 e reintegrato con sentenza n. 367/2019 del tribunale di Civitavecchia (confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 1012/2021 ) che tuttavia non era stata eseguita da Alitalia SAI. Inoltre, la contestazione disciplinare del 31/3/2020 rivolta al lavoratore – per essersi reso irreperibile non consentendo così il suo effettivo reinserimento in azienda non comunicando la nuova ricollocazione presso altra società -era priva di fondamento; sia perché il lavoratore non si era reso irreperibile dal momento che la società ai fini della lettera di licenziamento aveva agevolmente reperito la sua residenza richiedendo un certificato presso il Comune di Milano; e sia perché il lavoratore subordinato nel lasso temporale in cui non svolge la prestazione oggetto del contratto di lavoro può compiere anche altre attività lavorative senza necessità di darne notizia al datore di lavoro a meno che non sia previsto espressamente un obbligo contrattuale di comunicazione .
Inoltre NOME aveva pienamente assolto al dovere di collaborazione manifestando con la comunicazione del 5/7/2019 il proprio interesse a riprendere servizio in esecuzione
dell’ordine giudiziale di reintegra ed offrendo la sua prestazione lavorativa.
Non era provato che le missive inviate al lavoratore fossero pervenute nella sfera di conoscibilità dello stesso. Non era nemmeno dimostrato che la società avesse effettivamente inviato le missive al lavoratore con cui comunicava la collocazione in CIGS; e neppure che avesse inviato le buste paga con l’imputazione di somme a titolo di integrazione salariale.
Difettavano dunque elementi probatori tali da consentire di ritenere che NOME fosse a conoscenza dell’avvenuta collocazione in CIGS, circostanza che avrebbe potuto far sorgere, in adempimento dei doveri di correttezza e buona fede, l’obbligo di comunicare ad Alitalia che stava prestando altra attività lavorativa a favore di un diverso datore di lavoro.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria con due motivi ai quali ha resistito con controricorso NOME COGNOME Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza. Il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp att. c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. per genericità e carenza di motivazione (ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 4 CPC) in relazione alla ritenuta non sussistenza e proporzionalità dei fatti contestati.
La Corte d’appello avrebbe aderito acriticamente all’argomentazione del giudice dell’opposizione ad avviso del quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto formulare al lavoratore uno
specifico invito a rientrare in azienda nel luogo e nelle mansioni ricoperte alle dipendenze della cedente CAI per poi valutare un miglior più proficuo collocamento nella struttura aziendale. Tali argomentazioni non potevano però essere assolutamente condivise.
1.2.- Il motivo deve essere disatteso perché essenzialmente di merito e non si confronta con il decisum. Non c’è anzitutto alcun vizio di motivazione nella sentenza impugnata, censurabile in questa sede.
La Corte di appello, tenuto conto dei motivi di gravame formulati dall’appellante, ha ricostruito i fatti ed ha offerto una propria interpretazione di quanto accaduto; in base alla quale ha escluso l’esistenza della giusta causa per motivi di fatto e di diritto, ribadendo la correttezza della soluzione offerta dai giudici di primo grado.
Secondo la Corte il lavoratore non era irreperibile (anche perché è stato rintracciato quando è stato cercato) ed aveva diritto di lavorare nelle more della reintegrazione che Alitalia aveva invece eluso.
Nessun vizio di legittimità si può ravvisare in tale modello argomentativo. Tanto meno di natura motivazionale. Si è dinanzi piuttosto a censure di merito con le quali la ricorrente dissente dalla motivazione della Corte in maniera assertiva in base ad una opzione ricostruttiva di parte. Ma le critiche sollevate non rappresentano censure di diritto che possano portare ad annullare la sentenza ex art 360 c.p.c. e costituiscono piuttosto mere critiche generali che sconfinano nel merito.
Del resto è corretto sotto il profilo del diritto quanto affermato dalla Corte d’appello, secondo cui la cessionaria Alitalia avrebbe dovuto formulare un invito concreto e specifico al lavoratore a
rientrare in azienda nel luogo e nelle mansioni ricoperte alle dipendenze della cedente CAI per poi eventualmente valutare un migliore e più proficuo collocamento nella struttura aziendale nel rispetto dei paletti imposti dall’articolo 2103 c.c.
Secondo la giurisprudenza consolidata infatti l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro emanato dal giudice con la declaratoria di illegittimità dell’impugnato licenziamento, esige che il lavoratore sia in ogni caso ricollocato nel posto di lavoro da ultimo occupato, salva la facoltà del datore di lavoro di valutare le circostanze di cui all’art. 2103 cod. civ. ai fini di una successiva diversa ricollocazione.
Va ribadita quindi la necessità che alla declaratoria di illegittimità di un licenziamento, con il conseguente ordine di reintegrazione, il datore di lavoro ottemperi innanzitutto con il riammettere il lavoratore nella stessa sede di lavoro nella quale questi operava all’atto dell’illegittimo licenziamento.
Per il resto occorre rimarcare che il motivo nella sostanza critica la sentenza impugnata per come ha valutato le prove e ricostruito, in base ad esse, i fatti contestati e la condotta del lavoratore. Ed in proposito, occorre ribadire che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene alcun conto, pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti storici ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
Per quanto attiene la motivazione deve pure confermarsi in consonanza con l’orientamento di questa Corte ( Sez. Un. sentenze n. 8053 e 8054 del 2014) che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione”. La motivazione apparente, che determina nullità della sentenza perché affetta da error in procedendo, è quella che non consente di percepire il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 12351 del 2017).
2.Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2105 c.c. in relazione agli obblighi di fedeltà ricadenti sul lavoratore (ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 CPC) la Corte avrebbe errato nel ritenere che l’obbligo di comunicazione quale obbli go discendente dai doveri ex art 2105 c.c. non possa ritenersi sussistente per il solo fatto che RAGIONE_SOCIALE avrebbe eluso l’ordine giudiziale di reintegra; si sostiene inoltre che neppur e dopo aver ricevuto il provvedimento di collocazione in CIGS il NOME ha ritenuto di dover contattare Alitalia al fine di
rappresentare l’incompatibilità tra la fruizione dell’indennità di CIGS e la sua occupazione presso Ferrovie dello Stato.
Il motivo deve essere disatteso perché si basa su questioni di fatto e su accertamenti del tutto differenti da quelli posti a base della sentenza e deve pertanto ritenersi inammissibile, avendo la Corte di appello rilevato che Alitalia non avesse dato prova di aver ritualmente comunicato al lavoratore le proprie determinazioni e neppure di averlo collocato in CIGS; sicchè non vi è prova che il lavoratore sapesse nemmeno di essere stato collocato in CIGS.
I motivi di ricorso si risolvono quindi in critiche prive di specifica attinenza rispetto alla ratio decidendi o in censure meramente apparenti. Esse sono inammissibili anche perché, nonostante la raffigurazione di una asserita violazione o falsa applicazione di norme di legge, nella sostanza investono esclusivamente l’accertamento in fatto compiuto dai Giudici di merito.
3.-In base alle argomentazioni svolte il ricorso deve essere complessivamente rigettato; le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 30.4.2025.