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Obbligo di cedere le quote: no stop a dividendi

Una società per azioni aveva sospeso il pagamento dei dividendi a ex dipendenti-soci, sostenendo che l’obbligo di cedere le quote previsto dallo statuto al termine del rapporto di lavoro comportasse la perdita automatica della qualità di socio. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando che tale clausola genera solo un’obbligazione a vendere, ma non annulla i diritti del socio, inclusi i dividendi, fino all’effettiva cessione della partecipazione.

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Obbligo di Cedere le Quote: La Cassazione Conferma il Diritto ai Dividendi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto societario: gli effetti di una clausola statutaria che impone un obbligo di cedere le quote a un socio-dipendente al momento della cessazione del suo rapporto di lavoro. La Corte chiarisce che tale obbligo non comporta la perdita automatica dello status di socio, né giustifica la sospensione del pagamento dei dividendi. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Clausola Statutaria Controversa

Una società di gestione delle partecipazioni aveva inserito nel proprio statuto una clausola che obbligava i soci persone fisiche, legati alla società anche da un rapporto di lavoro, a offrire in vendita le proprie quote agli altri soci al momento della cessazione del rapporto lavorativo.

Quando alcuni di questi soci-dipendenti hanno interrotto la loro collaborazione, la società ha deliberato la sospensione del pagamento dei dividendi a loro spettanti, ritenendo che l’inadempimento all’obbligo di cessione delle quote li privasse di tale diritto. I soci hanno impugnato le delibere, ottenendo ragione sia in primo grado che in appello. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’obbligo di cedere le quote

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. I motivi della decisione si fondano su due principi cardine del diritto societario.

Interpretazione della Clausola Statutaria

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione di una clausola statutaria è una quaestio facti, ovvero una valutazione di fatto riservata ai giudici di merito. In questo caso, i giudici avevano correttamente interpretato la clausola non come una condizione risolutiva che causa la perdita automatica della qualità di socio, ma come una fonte di un’obbligazione a contrarre. In altre parole, il socio uscente aveva l’obbligo di attivarsi per vendere le quote, ma fino al perfezionamento di tale vendita, manteneva pienamente il suo status e tutti i diritti connessi, compreso quello alla percezione degli utili.

L’Inapplicabilità dell’Eccezione di Inadempimento

La società ricorrente sosteneva di aver legittimamente sospeso i dividendi applicando l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), dato che i soci non avevano rispettato l’obbligo di cedere le quote. La Cassazione ha respinto con forza questa tesi, ribadendo un principio fondamentale: il rapporto tra socio e società non è un contratto a prestazioni corrispettive (sinallagmatico), ma è caratterizzato da una “comunione di scopo”.

L’eccezione di inadempimento è uno strumento di autotutela previsto per i contratti in cui una prestazione è il corrispettivo dell’altra. Nel contratto di società, invece, le prestazioni dei soci convergono verso un obiettivo comune. Di conseguenza, la violazione di un obbligo da parte di un socio non legittima la società a negargli i diritti patrimoniali che gli spettano, ma deve essere gestita attraverso gli strumenti previsti dalla legge o dallo statuto, come l’esclusione o il recesso.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte sono chiare e lineari. Tentare di rimettere in discussione l’interpretazione della clausola statutaria in sede di legittimità equivale a chiedere un riesame del merito, non consentito in Cassazione. La clausola prevedeva un “obbligo di offrire in acquisto”, non una decadenza automatica. Pertanto, fino a quando il negozio di cessione delle quote non viene perfezionato, il soggetto rimane a tutti gli effetti un socio, titolare dei relativi diritti.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi relativi all’eccezione di inadempimento anche perché la questione non era stata sollevata correttamente nei precedenti gradi di giudizio, rappresentando una questione nuova. Ad ogni modo, anche nel merito, la sua applicazione al contesto societario è stata esclusa, poiché i rimedi per l’inadempimento del socio sono altri e non possono consistere in una ingiustificata compressione dei suoi diritti patrimoniali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Soci e Società

Questa ordinanza offre un importante monito per la redazione degli statuti societari. Le clausole che legano la partecipazione sociale al rapporto di lavoro devono essere formulate con estrema chiarezza. Se l’intento è quello di provocare un’uscita automatica del socio, lo statuto deve prevederlo esplicitamente attraverso meccanismi come il recesso o l’esclusione, nei limiti consentiti dalla legge.

Un semplice obbligo di cedere le quote non è sufficiente a sospendere i diritti del socio. Quest’ultimo rimarrà titolare del diritto di voto, del diritto agli utili e di tutti gli altri diritti amministrativi e patrimoniali fino al momento in cui la sua partecipazione non sarà formalmente trasferita. Le società non possono farsi giustizia da sole sospendendo i dividendi, ma devono avvalersi degli strumenti legali e statutari appropriati per gestire l’inadempimento del socio.

La cessazione del rapporto di lavoro di un socio-dipendente comporta automaticamente la perdita della sua qualità di socio?
No. Secondo la Corte, una clausola statutaria che prevede un obbligo di cedere le quote non determina un effetto automatico. La qualità di socio si perde solo con il perfezionamento del negozio di cessione delle quote, non al semplice sorgere dell’obbligo.

Una società può sospendere il pagamento dei dividendi a un socio che non ha adempiuto all’obbligo statutario di vendere le proprie quote?
No. La Corte ha stabilito che l’eccezione di inadempimento, tipica dei contratti a prestazioni corrispettive, non si applica ai rapporti societari che sono basati su una comunione di scopo. La società non può unilateralmente sospendere i dividendi, che sono un diritto del socio finché rimane tale.

Qual è la differenza tra un ‘obbligo di cedere le quote’ e un effetto automatico di perdita della qualità di socio?
L’obbligo di cedere le quote, come interpretato dalla Corte, impone al socio uscente il dovere di attivarsi per vendere la sua partecipazione. La perdita della qualità di socio, invece, è la conseguenza che si verifica solo al momento della cessione effettiva, non alla cessazione del rapporto di lavoro che fa sorgere l’obbligo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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