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Obbligo di assunzione: no a promesse politiche

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni lavoratori che rivendicavano un obbligo di assunzione da parte di una Regione e delle sue società partecipate. La Corte ha confermato le decisioni dei giudici di merito, stabilendo che gli accordi e gli incontri richiamati dai lavoratori avevano una natura meramente politica e programmatica, insufficiente a creare un obbligo giuridicamente vincolante o un legittimo affidamento tutelabile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di assunzione: Quando la promessa della P.A. non è un diritto

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: la distinzione tra un impegno politico e un vero e proprio obbligo di assunzione. Un gruppo di lavoratori precari ha visto le proprie speranze di stabilizzazione svanire di fronte alla Cassazione, che ha ribadito come gli accordi di natura programmatica con una Pubblica Amministrazione non siano sufficienti a generare un diritto soggettivo al posto di lavoro.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un gruppo di lavoratori, impiegati con contratti atipici, di essere assunti a tempo indeterminato da una Regione e dalle sue società partecipate. I lavoratori fondavano la loro pretesa su una serie di accordi e verbali di incontro, stipulati nel corso degli anni, in cui l’ente pubblico si era impegnato a garantire i livelli occupazionali a seguito dell’acquisizione di una società.

Secondo i ricorrenti, questi documenti sancivano un vero e proprio diritto all’assunzione. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le loro domande, qualificando tali atti come un “fenomeno negoziale in divenire”, essenzialmente volto a sensibilizzare i vertici politico-amministrativi, ma privo di un carattere giuridicamente vincolante.

L’obbligo di assunzione e i motivi del ricorso in Cassazione

Contro la decisione d’appello, i lavoratori hanno proposto ricorso in Cassazione basato su sei motivi. Essi lamentavano la violazione di diverse norme, tra cui quelle sulla responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.), contrattuale (art. 1218 c.c.) ed extracontrattuale (art. 2043 c.c.). Sostenevano che la condotta della Regione avesse generato in loro un legittimo affidamento, poi tradito, e che gli accordi costituissero un chiaro obbligo di assunzione.

Inoltre, contestavano il mancato esame di documenti decisivi che, a loro dire, contenevano tutti gli elementi necessari per definire i futuri contratti di lavoro, invocando persino l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno chiarito che i motivi proposti dai lavoratori miravano, in sostanza, a ottenere una nuova e diversa interpretazione degli accordi e una rilettura dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione non è riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

La Corte ha evidenziato che i ricorrenti non avevano censurato la decisione d’appello sotto il profilo della violazione delle regole di interpretazione dei contratti, unico modo per poter contestare l’esito ermeneutico raggiunto dai giudici di merito. La qualificazione degli atti come “di natura politica e programmatica” è stata quindi ritenuta incensurabile.

Inoltre, la Corte ha sottolineato la genericità dei motivi, che non riportavano il contenuto specifico degli atti negoziali su cui si fondava la pretesa. È stato anche ribadito che la pretesa assunzione si scontrava con il principio costituzionale dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso (art. 97 Cost.), un ostacolo insormontabile per la stabilizzazione basata su accordi non formalizzati in un obbligo giuridico specifico.

Infine, per uno dei motivi, è stato richiamato il principio della “doppia conforme”, che impedisce l’impugnazione per vizi di motivazione sui fatti quando le decisioni di primo e secondo grado sono concordanti.

Le conclusioni

Questa pronuncia offre un importante monito: le dichiarazioni di intenti e gli impegni politici assunti da una Pubblica Amministrazione, per quanto solenni, non si traducono automaticamente in un obbligo di assunzione. Per far valere un diritto al posto di lavoro, è necessario che esista un obbligo giuridico chiaro, specifico e vincolante, non una mera promessa programmatica. La decisione riafferma la netta separazione tra l’indirizzo politico e l’atto amministrativo produttivo di effetti giuridici, ricordando che l’accesso al pubblico impiego segue regole rigorose a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della P.A.

Una serie di accordi programmatici con una Pubblica Amministrazione può creare un obbligo di assunzione?
No, secondo l’ordinanza, atti e accordi che hanno una natura “politica e programmatica”, volti a sensibilizzare i vertici amministrativi, non sono sufficienti a creare un obbligo giuridicamente vincolante di assumere i lavoratori.

Perché il ricorso dei lavoratori è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti tendevano a una rilettura dei fatti e a una nuova interpretazione degli accordi, attività che non spetta alla Corte di Cassazione. Inoltre, i motivi erano generici e non contestavano correttamente la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti.

Il legittimo affidamento dei lavoratori è stato tutelato?
No, la Corte ha ritenuto che non si potesse configurare un legittimo affidamento nell’assunzione, poiché gli atti in questione non erano idonei a generarlo. Inoltre, il principio costituzionale del concorso pubblico (art. 97 Cost.) rappresentava un ostacolo fondamentale alla pretesa dei lavoratori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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