Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34703 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34703 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6699-2019 proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura conferita a margine del ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio RAGIONE_SOCIALE in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO,
-ricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI NOME (INPGI), ora INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in forza di procura conferita a margine de l controricorso, dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
R.G.N. 6699/2019
COGNOME
Rep.
C.C. 16/10/2024
giurisdizione Contribuzione dovuta all’INPGI. Incentivo all’esodo . Indennità sostitutiva del preavviso.
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, con domicilio eletto presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, in ROMA, INDIRIZZO
-resistente con procura –
per la cassazione della sentenza n. 2298 del 2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 13 agosto 2018 (R.G.N. 2444/2015).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 2298 del 2018, depositata il 13 agosto 2018, la Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto il gravame di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e ha condannato la società appellante a pagare all’INPGI la complessiva somma di Euro 292.056,00, a titolo di contributi omessi e di sanzioni concernenti i lavoratori indicati nel ricorso monitorio (con l’eccezione del signor NOME COGNOME).
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha evidenziato, in primo luogo, che è stata accertata in giudizio la natura subordinata dei rapporti di lavoro giornalistico intercorsi con la società appellante, salvo che per il signor NOME COGNOME Ne discende, con riferimento a tale posizione, la necessità di revocare il decreto ingiuntivo opposto.
La revoca s’impone anche per il parziale accoglimento dell’eccezione di prescrizione quinquennale, per il periodo antecedente al maggio 2003.
Quanto alle somme versate ad alcuni lavoratori in sede di conciliazione, non si ravvisa la finalità d’incentivo all’esodo.
La contribuzione è dovuta anche sull’indennità sostitutiva di preavviso, in difetto di prova dell’insussistenza della giusta causa di dimissioni.
Inammissibili sono le doglianze sulla mancata compensazione con i contributi già versati alla Gestione separata, in quanto si correlano a una domanda nuova.
Infine, al caso di specie, alla luce dell’autonomia regolamentare di cui gode l’INPGI, non si applica automaticamente il regime sanzionatorio di cui all’art. 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
RAGIONE_SOCIALE liquidazione ricorre per cassazione, sulla base di sei motivi, contro la sentenza d’appello.
-L’INPGI (ora INPS) resiste con controricorso.
-L’INPS si è limitato a conferire procura.
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1., primo comma, cod. proc. civ.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-In prossimità dell’adunanza, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria illustrativa.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380 -bis .1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Possono essere esaminati congiuntamente i motivi dal primo al terzo, che vertono, sotto profili tra loro connessi, sulla qualificazione delle somme corrisposte ai giornalisti a titolo d’incentivo all’esodo.
1.1. -Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2697 cod. civ.
Avrebbe errato la Corte territoriale nell’escludere la riconducibilità delle somme corrisposte a ll’ incentivo all’esodo, a dispetto del chiaro e
insuperabile dato testuale dell’accordo sottoscritto dalle parti, e nel far gravare sulla società l’onere di provare il titolo sotteso all’attribuzione delle diverse erogazioni.
1.2. -Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153.
La sentenza d’appello meriterebbe censura, anche nella parte in cui ha inquadrato ogni versamento effettuato dal datore di lavoro nell’alveo della retribuzione imponibile dal punto di vista previdenziale, con il conseguente «stravolgimento della ripartizione dei carichi probatori» (pagina 21 del ricorso per cassazione).
1.3. -Con la terza critica, la ricorrente , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 e lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto doveroso il pagamento della contribuzione, «senza verificare in concreto se, ed in quale misura, il dipendente abbia effettivamente rinunciato a crediti esistenti di natura retributiva» (pagina 23 del ricorso per cassazione).
-Le censure si rivelano inammissibili, sotto molteplici e concorrenti profili.
-Questa Corte è costante nell’affermare che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto, demandato in via esclusiva al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità soltanto per la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per le anomalie radicali della motivazione.
Le censure non si possono risolvere «nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata» (di recente, Cass., sez. lav., 21 novembre 2024, n. 30087, punto 4.2. del Considerato ).
Ne consegue che, «per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l ‘ unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle
possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l ‘ interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l ‘ altra» (fra le molte, Cass., sez. II, 21 novembre 2024, n. 30045, punto 2.3. delle Ragioni della decisione ).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel ricostruire la volontà negoziale esternata dalle parti, non ha pretermesso il dato letterale, ma l’ha inquadrato nel complessivo contesto in cui le pattuizioni si collocano, valorizzando lo scopo pratico perseguito e la causa concreta sottesa all’accordo. A tale riguardo, i giudici del gravame, in coerenza con l’accertamento già compiuto dal giudice di prime cure, hanno posto l’accento sulla cesura temporale tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’accordo sottoscritto (pagina 8 della sentenza impugnata, punto 2.7.).
C on il supporto di un’argomentazione adeguata e coerente, la Corte di merito ha evidenziato che tale marcata discontinuità, avvalorata dall’insussistenza di più pregnanti elementi che attestino una genuina finalità d’incentivo all’esodo, contraddice quello scopo incentivante che l’odierna ricorrente intende accreditare, al fine di lucrare l’esenzione dall’obbligo contributivo. Esenzione che dev’essere allegata e dimostrata puntualmente da chi la invochi (Cass., sez. lav., 19 agosto 2024, n. 22920, punto 4.1. del Ritenuto ).
A tale interpretazione il primo mezzo, con rilievi che anche il secondo mezzo reitera e sviluppa sul versante della violazione dell’art. 2697 cod. civ., si limita a contrapporre una diversa, più appagante, lettura del dato negoziale, ribadita anche nella memoria illustrativa (pagine 1, 2 e 3) e incentrata sul la sola lettera dell’accordo . Elemento, quest’ultimo, che i giudici d’appello hanno ritenuto sprovvist o di valenza dirimente, all ‘esito di una ricostruzione sistematica di più
ampio respiro e di un’accurata ricognizione de ll’autentica volontà espressa dalle parti.
Anche il terzo motivo, nel far leva sul carattere transattivo dell’accordo, dissimula un’istanza di rivalutazione del compendio istruttorio e s’infrange contro la motivazione della Corte di merito, che ha escluso, con motivato apprezzamento, la natura d’incentivo all’esodo e ha ravvisato un collegamento genetico con il rapporto di lavoro, con la conseguente assoggettabilità dei relativi emolumenti all’obbligazione contributiva (cfr., in tal senso, anche la pagina 3 della memoria illustrativa della parte controricorrente).
-Con il quarto motivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e imputa ai giudici d’appello di avere assoggettato a contribuzione un’indennità sostitutiva di preavviso m ai versata «e neppure rivendicata dagli ex dipendenti» (pagina 24 del ricorso per cassazione).
4.1. -Anche tale censura è inammissibile.
4.2. -Il motivo non soltanto è formulato in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., a fronte di una pronuncia d’appello che, sul punto, conferma per le medesime ragioni di fatto la sentenza del Tribunale (pagina 8, punto 2.8.), ma non confuta in maniera risolutiva, sulla scorta di circostanze suscettibili di sovvertire le statuizioni di merito, la ratio decidendi che sorregge la pronuncia impugnata.
La Corte d’appello di Roma, nel condividere le valutazioni del Tribunale, ha riconosciuto l’obbligo contributivo anche rispetto all’indennità sostitutiva del preavviso, sul presupposto , accertato in fatto e non ritualmente censurato, che tale indennità sia dovuta e che non siano stati allegati elementi di segno contrario.
Tale accertamento, di per sé idoneo a suffragare la sussistenza dell’obbligo contributivo dedotto in causa, non è scalfito dalla
considerazione che l’indennità non sia stata corrisposta e non sia stata in concreto rivendicata (cfr., in tal senso, anche le pagine 5 e 6 della memoria illustrativa) , in quanto riveste rilievo dirimente l’obbligo di corrisponderla, accertato dai giudici di primo e di secondo grado, e non l’effettivo adempimento.
-Con la quinta censura (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), la ricorrente allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
I giudici del gravame erroneamente avrebbero reputato inammissibile il motivo d’appello sulla domanda di compensazione con i contributi già versati alla Gestione separata, «ritenendo tale domanda non proposta in primo grado e solo per la prima volta in appello omettendo, però, qualsiasi pronuncia sulla domanda formulata in primo grado di compensazione con i contributi versati all’INPS per la posizione del lavoratore COGNOME» (pagina 26 del ricorso per cassazione).
5.1. -Anche tale critica si dimostra inammissibile.
5.2. -Irritualmente dedotto in riferimento alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che postula l’omesso esame di un preciso accadimento o di una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053, e Cass., sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21152), il motivo s’incardina, nella sua essenza, sul vizio di omessa pronuncia sulla domanda di compensazione, senza infirmare il percorso argomentativo della Corte di merito.
La sentenza impugnata, lungi dall’omettere sic et simpliciter la pronuncia sulle domande dell’odierna ricorrente, le qualifica come inammissibili (pagina 9, punto 2.12), perché contravvengono al divieto di nova in appello.
Tale statuizione, che si raccorda a una specifica eccezione dell’INPGI, n on è fatta segno di censure circostanziate, che dimostrino, con il necessario grado di specificità, in quali termini, con il sostegno di
quali deduzioni, le domande siano state proposte in primo grado, per quali ragioni siano state disattese, in quali termini, e con il supporto di quali censure alla pronuncia di primo grado, siano state riproposte in appello , dando àdito a un’eccezione accolta dalla Corte territoriale .
Solo la valutazione comparativa di tali elementi, debitamente allegati nel ricorso, avrebbe consentito di delineare in modo esaustivo la dialettica processuale, sulla quale s’innestano le censure, disvelando le mende logiche del ragionamento dei giudici del gravame, in questa sede genericamente censurato per omesso esame di fatti decisivi, con argomentazioni riprese anche nella memoria illustrativa (pagine 6 e 7).
6. -Con la sesta critica (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente allega violazione e falsa applicazione della legge n. 388 del 2000.
Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe applicato «un regime sanzionatorio diverso e più oneroso rispetto a quello derivante dall’applicazione della normativa, contenuta nella legge n. 388 del 23 dicembre 2000» (pagina 28 del ricorso per cassazione).
6.1. -Anche l’ultima doglianza dev’essere dichiarata inammissibile.
6.2. -I giudici d’appello si sono conformati all’insegnamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che, nell’ipotesi di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’INPGI, disconosce l’applicazione automatica della disciplina sanzionatoria invocata nell’odierno ricorso (pagina 8, punto 2.10.). L’operatività di tale disciplina presuppone il recepimento da parte dell’Istituto, che ha il potere di adottare autonome deliberazioni, soggette ad approvazione ministeriale, fermo l’obbligo di coordinare l’esercizio del potere in esame con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria (cfr., su tale punto, i rilievi articolati dall’INPGI, da ultimo, nella memoria illustrativa, a pagina 4).
La parte ricorrente non induce a rimeditare tali enunciazioni di principio, addotte a fondamento della decisione impugnata e ribadite anche di recente da questa Corte (Cass., sez. lav., 21 agosto 2023, n. 24923), e non dimostra in modo convincente che, di tali princìpi, la Corte di merito abbia fatto arbitraria applicazione al caso di specie.
7. -Dai rilievi svolti discende che il ricorso dev’essere dichiarato, nel suo complesso, inammissibile.
-La ricorrente dev’essere condannata a rifondere alla sola parte controricorrente le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
-La declaratoria d’inammissibilità del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del la ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione