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Obbligo contributivo liquidatore: quando non è dovuto

Un liquidatore ha impugnato un avviso di addebito per contributi previdenziali. Il Tribunale ha stabilito che l’obbligo contributivo del liquidatore non sorge se l’attività si limita alla vendita di beni strumentali e al recupero crediti sporadico, poiché manca il requisito dell’abitualità e prevalenza tipico dell’attività commerciale. Di conseguenza, l’avviso di addebito è stato annullato.

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Obbligo Contributivo Liquidatore: Quando la Sola Liquidazione Non Basta

La figura del liquidatore di società si trova spesso in un’area grigia dal punto di vista previdenziale. Sorge spontanea una domanda cruciale: lo svolgimento di tale incarico comporta automaticamente un obbligo contributivo liquidatore nei confronti della Gestione Commercianti dell’INPS? Una recente sentenza del Tribunale di Trento fa luce sulla questione, stabilendo un principio fondamentale: non è il ruolo, ma la natura effettiva delle attività svolte a determinare l’obbligo di iscrizione e versamento.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’opposizione di un socio amministratore, nominato liquidatore della propria società, a un avviso di addebito con cui l’INPS richiedeva il pagamento di contributi per il periodo gennaio 2016 – gennaio 2021. Secondo l’ente, l’incarico di liquidatore comportava la prosecuzione dell’obbligo contributivo.
Il ricorrente, di contro, sosteneva di aver cessato ogni attività commerciale a far data dalla messa in liquidazione della società. La sua attività si era limitata esclusivamente a compiti finalizzati alla chiusura dell’impresa: la vendita dei beni strumentali (attrezzature, mobili d’ufficio, immobili), del magazzino residuo e il recupero di alcuni crediti pregressi. Sottolineava, inoltre, come tali operazioni fossero state sporadiche e non configurassero un’attività d’impresa svolta con abitualità e prevalenza, requisiti essenziali per l’iscrizione alla Gestione Commercianti.

La Decisione del Tribunale

Il Tribunale ha accolto integralmente le ragioni del ricorrente, annullando l’avviso di addebito. La decisione si fonda su un’attenta analisi della distinzione tra attività di liquidazione e vera e propria attività commerciale. Il giudice ha chiarito che l’obbligo contributivo per un liquidatore sussiste solo se le operazioni da lui compiute sono in “rapporto di strutturale continuità con la fisiologica attività commerciale” precedentemente esercitata dalla società. In caso contrario, l’obbligo viene meno.

Le Motivazioni: Analisi dell’obbligo contributivo liquidatore

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi dettagliata delle attività poste in essere dal liquidatore e nella loro qualificazione giuridica ai fini previdenziali. Il Tribunale, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha ribadito che i presupposti per l’iscrizione alla Gestione Commercianti sono la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.

L’Attività del Liquidatore Sotto la Lente d’Ingrandimento

Il giudice ha esaminato punto per punto le operazioni compiute dal ricorrente:
1. Dismissione di beni strumentali e immobili: Questa attività è stata qualificata come mera monetizzazione del patrimonio sociale, finalizzata alla chiusura della società. Non è stata ritenuta un’attività commerciale in continuità con quella precedente (realizzazione di impianti elettrici).
2. Dismissione del magazzino: Sebbene la vendita delle scorte possa, in astratto, rappresentare una continuazione dell’attività commerciale, nel caso specifico è avvenuta in un unico momento, all’inizio del periodo di liquidazione. Questa singola operazione è stata giudicata insufficiente a dimostrare un’attività abituale e prevalente per tutto l’arco temporale di cinque anni preteso dall’INPS.
3. Recupero crediti: Aver recuperato solo tre crediti nell’arco di cinque anni è stato considerato un’attività palesemente sporadica e insufficiente a configurare il requisito dell’abitualità.

L’Irrilevanza della Dichiarazione dei Redditi

Un punto interessante affrontato dal Tribunale riguarda il valore probatorio della dichiarazione dei redditi, in cui era stata erroneamente indicata l’attività come “occupazione prevalente”. Il giudice ha specificato che la dichiarazione dei redditi è una “dichiarazione di scienza” e non di volontà. Ciò significa che essa rappresenta la conoscenza che il dichiarante ha di certi fatti e può essere smentita da prove di tenore contrario. Nel caso di specie, le testimonianze e le prove documentali hanno ampiamente dimostrato che nessuna attività commerciale abituale era stata svolta, superando così la presunzione derivante dal dato fiscale.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Trento offre un importante chiarimento per tutti i professionisti e soci che assumono il ruolo di liquidatori. L’obbligo contributivo liquidatore non è automatico, ma dipende strettamente dalla natura delle operazioni effettivamente compiute. Se l’attività si esaurisce nella dismissione del patrimonio aziendale e in atti sporadici di gestione, senza mantenere i caratteri di abitualità e prevalenza tipici di un’impresa attiva, l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti non sussiste. Questa pronuncia rafforza il principio secondo cui la sostanza delle attività prevale sempre sulla forma dell’incarico ricoperto.

Un socio liquidatore è sempre tenuto a pagare i contributi alla Gestione Commercianti?
No. Secondo la sentenza, l’obbligo non sussiste se l’attività del liquidatore non presenta i caratteri dell’abitualità e della prevalenza. La semplice monetizzazione dei beni aziendali e il recupero sporadico di crediti non sono sufficienti a generare l’obbligo contributivo.

Quali attività svolte durante la liquidazione non generano l’obbligo contributivo?
Le attività che non generano l’obbligo sono quelle che non si pongono in continuità con la precedente gestione commerciale. La sentenza ha escluso la vendita di beni strumentali, mobili d’ufficio, immobili e il recupero di un numero esiguo di crediti in un lungo arco temporale, in quanto non configurano un’attività commerciale abituale.

Un errore nella dichiarazione dei redditi può determinare l’obbligo di versare i contributi?
No, non necessariamente. Il Tribunale ha chiarito che la dichiarazione dei redditi è una ‘dichiarazione di scienza’ e non un atto negoziale. Il suo valore probatorio può essere superato da prove contrarie, come testimonianze e documenti, che dimostrino la reale natura non commerciale dell’attività svolta dal liquidatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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