Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23727 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23727 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13195-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 831/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/11/2023 R.G.N. 94/2023;
Oggetto
Obbligo contributivo datoriale PDA
R.G.N.13195/2024
COGNOME
Rep.
Ud.10/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’a ppello di Milano ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto l’obbligo contributivo della società RAGIONE_SOCIALE, accertato con verbale ispettivo del 9/12/2019 inerente ad omissioni contributive relative ad emolumenti corrisposti a titolo di trasferta, diaria, premio aggiuntivo, rimborso spese, indennità varie, per i lavoratori della appaltatrice società RAGIONE_SOCIALE impiegati presso l’appaltante in servizi di facchinaggio, movimentazione merci e pulizia locali, per il periodo da ottobre 2017 ad aprile 2019, per un importo di € 868.616,05 a titolo di contributi previdenziali di cui la ricorrente era solidalmente responsabile ex art. 29 Legge n. 276/2003.
In primo grado erano stati accolti i rilievi della società RAGIONE_SOCIALE sull’effettivo o non esclusivo impiego di molti lavoratori a fronte di un mero richiamo dell’Istituto previdenziale alle risultanze del verbale ispettivo, tenuto conto della dubitabile continuità della loro utilizzazione nell’ambito di diversi appalti susseguitisi nel tempo, e della dubitabile corrispondenza dei dati raccolti su un supporto informativo depositato dall’INPS in cui erano stati riversati i dati di cui CD rom formato dalla Guardia di Finanza acquisito presso la sede della società relativo alle timbrature dei lavoratori interessati dall’accertamento, donde le incongruenze per alcuni lavoratori che svolgevano attività anche presso altri committenti e la possibilità di ridurre i tempi computabili per l’effettivo lavoro svolto nei periodi accertati.
La Corte territoriale ha invece valorizzato il verbale di accertamento contenente indicazioni chiare e dettagliate degli accertamenti eseguiti, e le fonti ricostruttive dell’omessa contribuzione provenienti dal LUL, dalle dichiarazioni del legale rappresentante della ditta appaltatrice, dalle dichiarazioni dei dipendenti, dalle banche dati e materiale informatico acquisito e dai pagamenti effettuati; per contro si tratterebbe di voci imponibili ai fini contributivi, imputabili a lavoro straordinario, con on ere a carico del datore di dimostrare l’esenzione da contribuzione dei contestati emolumenti erogati.
La società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della sentenza affidandosi a quattro motivi, a cui INPS resiste con controricorso. La società ricorrente deposita memorie in prossimità dell’udienza.
A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio, la ricorrente presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. riportandosi a quanto eccepito in sede di ricorso per cassazione.
All’udienza camerale del 10 aprile 2025 la Corte si è riservata di decidere.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente ex artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. La Corte territoriale avrebbe omesso di illustrare l’iter logico seguito per venire alla decisione assunta di ritenere attribuibile alla società l’obbligo co ntributivo senza che sia stato
dimostrato da INPS che tutti i contributi rivendicati fossero relativi alle retribuzioni maturate dai dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, quale corrispettivo per l’attività lavorativa svolta nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto commissionato dalla RAGIONE_SOCIALE; presupposto essenziale ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’art. 29 comma 2 D.lgs. 276/2003 è quello della inerenza dei rapporti lavorativi oggetto di riqualificazione all’appalto. La società aveva anche contestato la riferibilità all’appalto dei rapporti con taluni lavoratori, in ragione della produzione a cura di INPS di un documento informatico che non riproduceva un CD rom acquisito in sede ispettiva bensì ne costituiva una rielaborazione non originale su diverso supporto, circostanza che i nduceva l’ispettore dell’INPS assunto in prova testimoniale a non poter affermare con certezza se fossero confluiti in quell’archivio dati anche le attività lavorative svolte presso altro stabilimento orientando, quindi, verso l’incertezza ed inattendibilità delle risultanze acquisite, meramente presunte.
Con il secondo motivo la società deduce, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per omessa motivazione su un punto dirimente per l’esito del giudizio, relativo agli stessi rilievi di cui al precedente motivo di ricorso.
Con il terzo motivo di ricorso la società deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2712 c.c., dovendo gravare sull’Istituto previdenziale, ancorc hé sia convenuto in un giudizio di accertamento negativo, la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale ispettivo non riveste efficacia probatoria. La Corte di merito avrebbe disatteso tale principio esentando l’INPS dal predetto
onere probatorio e valorizzando la riproduzione di un supporto informatico in presenza di un disconoscimento più volte operato dalla società RAGIONE_SOCIALE che ne aveva censurato l’attendibilità, il tutto in violazione dell’art. 2712 c.c.
Con il quarto motivo di ricorso la società deduce, ai sensi dell’art. 360 co.1. n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., essendo stato già eccepita in secondo grado l’inammissibilità dell’avverso motivo di appello che non aveva confutato in modo specifico le argomentazioni in fatto e in diritto della sentenza di primo grado.
Nel controricorso l’INPS eccepisce l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso avendo la Corte d’appello spiegato le ragioni per le quali ricorresse l’obbligo di contribuzione nei riguardi di alcuni lavoratori oggetto di appalto, avendo individuato i giudici di merito le fonti di prova nel verbale ispettivo, nelle dichiarazioni testimoniali e nei dati estratti dal supporto informatico; invoca, quindi, il rispetto del prudente apprezzamento della prova da parte del giudice di merito e, sul quarto mo tivo, eccepisce egualmente l’inammissibilità perché in appello era stato precisato che il gravame era circoscritto a specifici capi della sentenza di primo grado con richiamo puntuale alle ragioni del dissenso.
Nelle memorie illustrative, depositate in prossimità di udienza, la ricorrente ribadisce le argomentazioni esposte nei motivi di ricorso e solleva, in caso di definizione del giudizio in conformità alla proposta di definizione accelerata, la questione d i legittimità costituzionale dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. e art. 6 Cedu.
Il ricorso è inammissibile. Le censure, nel loro complesso, tendono ad una rivalutazione del materiale probatorio raccolto nelle fasi di merito, né si ravvisa, nella ricostruzione operata nella impugnata sentenza, alcuna violazione delle norme di legge citate.
I primi due motivi possono essere congiuntamente trattati, essendo stata prospettata una duplice censura, come error in procedendo e come error in judicando , di violazione del medesimo sostrato normativo.
5.1 – Sotto il primo profilo, questa Corte di legittimità ha precisato che ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. S.U. n.22232/16, ed a seguire, Cass. n. 13977/2019; Cass. n. 6758/2022, n.1986/2025), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuare il ragionamento e di riconoscerlo come giustificazione del decisum (Cass. n.20112/2009).
5.2 – Tali caratteri non sono certo presenti nella sentenza impugnata che, al contrario, di quanto sostiene la ricorrente, dopo aver ricostruito i fatti essenziali della questione, ha individuato il quadro normativo in cui si inscrive la vicenda, ha delineato l’oggetto dell’attività ispettiva svolta, ed ha riassunto le risultanze istruttorie raccolte nei due verbali di accertamento esaminati, l’uno a carico della RAGIONE_SOCIALE e l’altro a carico della RAGIONE_SOCIALE con specifica illustrazione delle fonti documentali e dichiarative in essi confluite; la Corte territoriale ha anche precisato il valore probatorio del verbale ispettivo e le risultanze della attività operativa compiuta dai verbalizzanti della GdF unitamente al personale dell’Ispettorato del Lavoro e della Direzione Provinciale dell’INPS, nonché in dettaglio le modalità di estrazione dei dati informatici dal pc in uso ad una dipendente della RAGIONE_SOCIALE ed il contenuto della deposizione testimoniale del militare verbalizzante che aveva proceduto alle formalità di estrazione dati contenenti le timbrature del personale presente al lavoro presso la sede della RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente, da canto suo, non illustra le eventuali divergenze dei dati riprodotti, non specifica le ragioni per le quali non sarebbero corretti i dati estrapolati con un supporto diverso dal CD-rom originale e, soprattutto, per come articolata la censura, non indica quali sarebbero state le omissioni motivazionali in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel ritenere che non abbia rilievo la riproduzione dei dati sull’uno anziché sull’altro su pporto informatico; né la ricorrente scalfisce l’ulteriore argomen tazione riportata in sentenza, rimasta inalterata, secondo la quale, per quanto si evincerebbe dal verbale di constatazione della Guardia di Finanza, ‘ una copia di garanzia dei files acquisiti è rimasta custodita agli atti del Reparto ed a disposizione del contribuente in caso di contestazioni, ed una ‘copia parte’ dei files acquisiti è
stata lasciata sul pc ispezionato ‘. L’argomento svolto dalla ricorrente sembra, quindi, voler introdurre una rivalutazione delle prove raccolte attraverso la censura di motivazione apparente della sentenza, che invero si risolverebbe in un dissenso alla loro utilizzabilità e rilevanza.
5.3 -Sotto il secondo profilo di illegittimità denunciato, si aggiunga che neppure sussiste il vizio di assenza di motivazione, come sinteticamente riportato al secondo motivo di ricorso, relativamente alla circostanza che la Corte d’appello non avrebbe spiegato in alcun modo per quale ragione sarebbe irrilevante l’avvenuto deposito di una chiavetta USB in luogo del CDrom in originale da parte dell’Inps. Questa Corte ha affermato in varie occasioni che il vizio censurato cagiona nullità della sentenza in caso di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione (Cass. n. 16611/2018), e che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, co.1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, co.6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, co.2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso
esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017).
Le censure mosse dal ricorrente su entrambi gli aspetti motivazionali sono palesemente infondate perché non riscontrabili nella impugnata pronuncia, in cui è stata puntualmente fornita una risposta soddisfacente a tutti i motivi di appello, non palesandosi, né risulta specificamente rappresentato dal ricorrente, alcun contrasto irriducibile di affermazioni rese all’interno della pronuncia, e neppure è descritta la carenza del minimo costituzionale che si richiede nei provvedimenti decisori.
Avuto riguardo al terzo motivo di ricorso, non si ravvisa alcuna violazione della disposizione dell’art. 2697 c.c. inerente alla regolamentazione del riparto dell’onere probatorio; questa Corte ha precisato che ‘In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.’ ( Cass. n.26739/2024, e Cass. n.26769/2018). Nel
caso in esame, la sentenza di appello ha ritenuto provati da INPS i fatti costitutivi della pretesa e su di essi è stato dato positivo riscontro, per concordanza dei dati di fatto esaminati e ricorrenza delle ragioni di diritto.
7.1 Si rammenta poi, che, ai sensi dell’art. 2700 c.c., il verbale di accertamento INPS fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale che lo ha formato come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. 23800/2014); e d’altronde, come è stato di recente precisato, nel giudizio sul rapporto previdenziale, il verbale ispettivo viene in rilievo non nella sua natura di atto amministrativo, di cui si possa sindacare la legittimità, bensì come fonte di prova liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (Cass. n.5851/2024).
7.2 Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha esaminato e singolarmente valutato gli elementi probatori raccolti nel verbale ispettivo, nel rispetto del dato normativo, procedendo alla corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta. Trattandosi di domanda di accertamento negativo del credito contributivo nei confronti della ricorrente, a fronte degli elementi documentali e dichiarativi riportati nel verbale ispettivo e puntualmente esaminati dal giudice di merito, volti a completare un accertamento in fatto sulla fondatezza della
pretesa dell’INPS, la parte privata non ha segnalato elementi concreti di contrario avviso, non ha argomentato sulla non precisione o non concordanza degli elementi presuntivi valorizzati dall’INPS, non ha segnalato elementi di inattendibilità delle dichiarazioni rese agli ispettori o di inveridicità del contenuto dei dati documentali; ha invece sviluppato mere argomentazioni rivalutative delle prove acquisite.
7.3 – Sul punto specifico della utilizzabilità probatoria della riproduzione informatica ex art. 2712 c.c. di fatti e documenti acquisiti in corso di indagini della GdF, si osserva che da un lato manca il riferimento al dato temporale in cui il primo disconoscimento sarebbe stato compiuto in giudizio (e d’altronde non è censurata la violazione della norma nell’ambito del paradigma dell’art. 360 co.1 n.4 c.p.c.), dall’altro manca la puntuale indicazione della ipotizzata divergenza della copia dall’originale. Si rammenti, all’uopo, quanto osservato da questa Corte con ord. n. 12794/ 2021: ‘In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realt à riprodotta’ (sul punto della tempestività del disconoscimento, si veda pure Cass. n.5755/2023).
Il quarto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile: non sono riprodotti gli atti processuali rilevanti che possano suffragare, con la necessaria specificità, l’error denunciato; peraltro, nel corpo della impugnata sentenza l’eccezione di
genericità dell’appello è stata espressamente confutata avendo la Corte di merito dato conto di tutte le puntuali argomentazioni dell’INPS in ordine ai profili controversi, riportando anche i risultati del dibattito processuale svolto ed affermando, conclu sivamente, che ‘sussiste un’esposizione chiara ed univoca sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza rispetto alla ricostruzione della vicenda operata dal primo giudice’; tutto ciò, a riprova della specificità delle censure e della loro idoneità ad essere discusse in contraddittorio fra le parti, senza alcun pregiudizio difensivo.
9. Le conclusioni a cui si perviene in questa sede sono del tutto conformi alla proposta di definizione accelerata comunicata alle parti e non condivisa dalla ricorrente. Ne discende l’ulteriore considerazione sulla infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata nella memoria illustrativa della ricorrente. Questa Corte si è già espressa con ordinanza delle Sezioni Unite n. 9293/2024, nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale -in relazione agli artt. 24, 103, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 47 della Carta dei diritti dell’UE e degli artt. 6 e 13 CEDU- dell’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. ‘ nella parte in cui stabilisce che, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, in conseguenza dell’istanza di decisione avanzata dal ricorrente, la Corte procede in camera di consiglio, anziché in pubblica udienza, perché la trattazione camerale soddisfa esigenze di celerità e di economia processuale, costituisce un modello processuale capace di assicurare un confronto effettivo e paritario tra le parti (ed è espressione non irragionevole della discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli
istituti processuali), garantisce la partecipazione del Procuratore generale (con la prevista facoltà di rassegnare conclusioni scritte) e non vulnera l’essenza collegiale della giurisdizione di legittimità (non avendo la proposta carattere decisorio, né di anticipazione di giudizio da parte del relatore). Tale argomento era stato, peraltro, già affrontato e negativamente risolto con ord. n. 34409/2023.
In definitiva, il ricorso è complessivamente inammissibile, in linea con la proposta di definizione accelerata. Segue per soccombenza la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo in ragione del valore determinato della lite.
10.1 – La definizione del giudizio in conformità alla proposta non accettata, determina l’applicazione degli ultimi due commi del l’art.96 c.p.c. , contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un ‘ ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 2794 7/23), l’una come ulteriore aggravamento della condanna alle spese, l’altra con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività, entrambe espressive di maggior rilievo dato dalla novella codicistica alla finalità deterrente rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, valorizzando la funzione deflattiva della proposta definitoria per disincentivare, in presenza di orientamenti consolidati ed in mancanza di innovative argomentazioni, inutili lungaggini processuali. La ricorrente va dunque condannata a pagare , ai sensi dell’art. 96, terzo e
quarto comma c.p.c., una somma equitativamente determinata in € 5.000,00 in favore della resistente (pari alla metà della principale condanna alle spese), ed un’eguale somma in favore della Cassa delle Ammende.
10.2 Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 10.000,00 oltre accessori di rito.
Condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 5.000,00 in favore della controparte, ed al pagamento della ulteriore somma di Euro 5.000,00, in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 10 aprile