Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 7270 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 7270 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26466/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN PERSONA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN PERSONA DEL SINDACO P.T., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dall’avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del CONSIGLIO DI STATO n. 5864/2022 depositata il 12/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.-La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto un motivo di ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Pavia, per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 5864 del 2022, pubblicata il 12 luglio 2022 e non notificata.
Il Comune di Pavia, unico soggetto intimato, ha depositato controricorso.
La società ricorrente e il Comune di Pavia hanno depositato memoria.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-Questi i fatti a monte della determinazione dirigenziale impugnata dinanzi al TAR Lombardia che ha dato origine al presente ricorso, per quanto ancora di interesse:
-i proprietari dell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in Comune di Pavia, nella quale era stato attivo uno RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che aveva cessato la sua attività nel 1984, presentarono congiuntamente una proposta preliminare di piano integrato di intervento (PII) e poi, nel 2012, un progetto di messa in sicurezza d’emergenza della falda, bocciato dal Comune che ne richiedeva alcune integrazioni per realizzare pienamente la finalità di bonifica;
nel 2013, le tre società divenute principali proprietarie dell’area (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) ripresentavano un nuovo ‘ Progetto di messa in sicurezza d’emergenza (MISE) delle
acque di falda dell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in INDIRIZZO;
nel luglio 2013 la società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di oltre la metà dell’area sulla quale in precedenza sorgeva lo RAGIONE_SOCIALE, era messa in liquidazione, e il liquidatore ritirava la disponibilità della società a farsi carico degli oneri di bonifica. Le altre due società mantenevano l’impegno a sostenere economicamente la realizzazione del MISE, ma solo per la parte di relativa spettanza, chiedendo l’attivazione dei poteri sostitutivi comunali in relazione alle parti di area di proprietà dei soggetti inadempienti ai propri obblighi ambientali di bonifica;
il Comune di Pavia approvava, con determina prot.21960 del 30 aprile 2014, l’originario progetto di messa in sicurezza d’emergenza, con oneri a carico delle società richiedenti rimaste attive, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, senza accettare di sobbarcarsi l’onere della realizzazione del progetto per la parte eccedente rispetto alle quote di proprietà dei due soggetti ancora attivi imprenditorialmente;
-la Provincia di Pavia avviava il procedimento per individuare il responsabile dell’inquinamento, che veniva individuato nella RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria.
– La società RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) impugnava, dinanzi al T.A.R. Lombardia – Milano, la predetta determinazione dirigenziale del Comune di Pavia -prot. n. 21960 del 30 aprile 2014 -recante la ‘ approvazione del documento progetto di messa in sicurezza d’emergenza (MISE) delle acque di falda nell’area ex RAGIONE_SOCIALE Viscosa in INDIRIZZO e chiedeva l’accertamento del proprio diritto di non farsi carico degli oneri di bonifica estesi alla intera area . Il ricorso veniva rigettato.
– L’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE era respinto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5864 del 2022, qui impugnata, con una motivazione che corre parallela alla coeva sentenza n. 5863,
impugnata con il ricorso n. 26421, anch’esso oggetto di esame nel corso della udienza odierna, i cui punti salienti sono i seguenti:
-Preliminarmente, il Consiglio di Stato puntualizza, in conformità alla propria recente giurisprudenza (e richiama, tra le altre, Cons. Stato, IV, n. 4588 del 2022; Cons. Stato, n. 3426 del 2022) che nelle materie tecnico-scientifiche si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità solo in caso di risultati abnormi, o evidentemente illogici e contraddittori , non essendo consentito negli altri casi al giudice amministrativo sostituirsi alle valutazioni effettuate dalle amministrazioni (richiama, in materia di valutazioni ambientali, Cons. Stato II, n. 5379 del 2020);
-nei giudizi di impugnazione la legittimità dell’atto impugnato va valutata con riguardo esclusivo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui fu emanato;
-il fatto che l’inquinamento sia risalente nel tempo non fa venir meno gli obblighi di bonifica in capo all’autore dell’inquinamento, ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale (ex art. 242 comma 1 cod. ambiente);
-la responsabilità dell’impresa inquinante genera la responsabilità dell’impresa acquirente, avente causa dalla prima;
-le misure di prevenzione e quelle di messa in sicurezza di emergenza, quale quella oggetto di causa, sono conformi al principio di precauzione, non hanno natura sanzionatoria e non contrastano perciò con il principio, affermato dalla Corte di Giustizia con sentenza 4 marzo 2015, C 534-13, secondo il quale è impossibile imporre opere di bonifica al proprietario di
un terreno inquinato non responsabile (al contrario delle misure di messa in sicurezza definitive);
-esse gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possono scaturire danni all’ambiente solo perché è egli tale, e quindi a prescindere da qualsiasi suo dolo o colpa.
Tutto ciò premesso, il Consiglio di Stato qualificava l’intervento richiesto ai proprietari, oggetto dei provvedimenti impugnati, come intervento di messa in sicurezza d’emergenza (nella sua definizione ampia, nella quale rientra ogni intervento immediato atto a contenere la diffusione della contaminazione, elaborata già da Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121), aggiungendo che esso era stato attivato su iniziativa degli stessi proprietari dei terreni, che il relativo progetto era stato qualificato dai proponenti proprio in questo senso, e che lo stesso non poteva poi essere interrotto nella sua realizzazione, per non vanificarne lo scopo.
Aggiungeva che, alla data dell’adozione del provvedimento impugnato, non sussistevano i presupposti per un intervento d’ufficio, in quanto, stante l’avvenuta attivazione da parte dei proprietari delle aree interessate dall’inquinamento, non risultava necessario da parte degli enti competenti procedere all’individuazione del soggetto responsabile, e che a nulla rilevava la sopraggiunta individuazione, da parte della Provincia di Pavia con l’adozione dell’ordinanza n. 8 dell’8 novembre 2016, della società RAGIONE_SOCIALE (in amministrazione straordinaria) quale responsabile dell’inquinamento, dovendo sussistere i presupposti per l’intervento d’ufficio al momento dell’adozione del provvedimento impugnato.
Riteneva quindi legittimo il rifiuto opposto dal Comune nei confronti della proposta di frazionamento dell’opera da realizzare mediante suddivisione in lotti, volta a limitare gli obblighi di messa in sicurezza alla sola parte di proprietà esclusiva di ciascuno, e nel caso di specie della ricorrente. Invero, affermava
che risultasse non frazionabile l’operazione di messa in sicurezza delle acque di falda inquinate, trattandosi di un’obbligazione indivisibile, caratterizzata in particolare, dal criterio della ‘indivisibilità materiale’, atteso che, per rendere efficaci gli interventi, si riteneva necessario intervenire in modo unitario su tutta l’area.
Infine, osservava che solo nella memoria di replica del 25 maggio 2022 (alle pagine 2 e 3) la società RAGIONE_SOCIALE -già società RAGIONE_SOCIALE– aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale relativamente all’interpretazione secondo cui i proprietari di aree inquinate possono essere chiamati a sopportare oneri riferiti a terreni diversi ed ulteriori rispetto ai propri, in quanto contraria al principio secondo cui l’imposizione di obblighi e di oneri finanziari, con un provvedimento unilaterale e imperativo, può essere legittimo solo se adottato in base ad una norma di legge che stabilisca i relativi presupposti e limiti, nel rispetto del principio di legalità, che regola l’attività amministrativa (art. 97 Cost.), e delle riserve di legge che operano a tutela del diritto di proprietà e della libertà d’impresa (artt. 23, 41 e 42 Cost.). La descritta questione di legittimità costituzionale, nei sensi e nei termini in cui era esposta dall’attuale ricorrente, era respinta in quanto manifestamente infondata per essere stata solo genericamente formulata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La ricorrente RAGIONE_SOCIALE, con l’unico motivo di ricorso, denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, per invasione della sfera riservata al legislatore, con violazione degli artt. 103 e 111 Cost., 110 c.p.a., 362 c.p.c., avendo la sentenza impugnata imposto al proprietario incolpevole di una parte di un sito inquinato da una pregressa e cessata attività industriale, gli oneri relativi alla messa in sicurezza d’emergenza dell’intera area , esponendolo ad un esborso finanziario anche superiore al valore del terreno di sua
proprietà, in assenza di una norma di legge che preveda tale responsabilità solidale.
Rivolgendo l’impugnazione in particolare verso i capi 15 e 16 della sentenza impugnata, assume il verificarsi di uno straripamento, dalla giurisdizione amministrativa verso l’area riservata al legislatore , avendo il giudice amministrativo esercitato una vera e propria attività di produzione normativa, esulante dalla sua competenza. Critica la sentenza impugnata là dove ha ritenuto non frazionabile l’operazione di messa in sicurezza delle acque di falda inquinate in proporzione delle singole proprietà, trattandosi di obbligazione indivisibile secondo il criterio della indivisibilità materiale, perché l’intervento di messa in sicurezza per essere efficace necessita di essere realizzato unitariamente.
Segnala che la solidarietà tra proprietari incolpevoli di area inquinata non è prevista da alcuna norma del codice dell’ambiente e in particolare non da ll’art. 245 del d.lgs. n. 152 del 2006 , che prevede gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione.
Ripropone gli argomenti addotti in appello a fondamento della questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di legalità, delle riserve di legge in materia di proprietà e della libertà di impresa formulate in appello, secondo i quali si richiederebbe al proprietario incolpevole un sacrificio economico irragionevole e sproporzionato. Sostiene che, non esaminando neppure funditus la possibile rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, il Consiglio di Stato si sarebbe sottratto all’obbligo di individuare la fonte norm ativa dell’obbligo economico solidale imposto alla ricorrente, peraltro non coincidente con la necessità di eseguire un intervento tecnicamente unitario, che non osta alla imputazione pro quota dei relativi costi.
2.- Il Comune di Pavia, nel proprio controricorso, evidenzia che:
-la messa in sicurezza d’emergenza dell’area ex RAGIONE_SOCIALE fu avviata su iniziativa degli stessi proprietari, nell’ambito di realizzazione di un Piano integrato di intervento che avrebbe condotto ad una rilevante valorizzazione dell’area con nuovi insediamenti residenziali, commerciali e di servizi;
RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto l’erroneità della sentenza di merito in relazione alla ritenuta solidarietà degli obblighi di bonifica in capo ai proprietari incolpevoli e solo in memoria di replica aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale per mancanza di un provvedimento normativo che stabilisca i presupposti e i limiti del potere impositivo di obblighi e oneri finanziari.
Osserva che il motivo di ricorso per cassazione ripropone le argomentazioni contenute nella questione di legittimità costituzionale formulata in appello, senza peraltro riproporre la questione stessa in questa sede, perché la riproposizione di essa sarebbe contraddittoria con la deduzione di radicale inesistenza delle norme applicate posta alla base del motivo, e sostiene che, in effetti, sia stato dedotto un error in iudicando , ovvero una censura avverso l’attività interpretativa svolta dal Consiglio di Stato, in relazione al quale il ricorso per cassazione è inammissibile.
Segnala che sono stati impugnati solo i capi 15. e 16. della sentenza del Consiglio di Stato, relativi alla natura solidale dell’obbligazione a carico dei vari proprietari, e non anche l ‘affermazione di sussistenza di tali obblighi di realizzazione anche in capo ai proprietari incolpevoli, e pone in rilievo che si tratta comunque di una interpretazione sistematica, che si va consolidando nella giurisprudenza amministrativa, degli artt. 240, 242, 245, 250 e 253 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché dell’interpretazione dell’art. 1316 c.c. sulle obbligazioni indivisibili, cui si applicano le norme sulle obbligazioni solidali.
Sottolinea poi trattarsi non di bonifiche del suolo, ma delle acque di falda, con posa in opera di barriere idrauliche là dove convergono le acque che subiscono una contaminazione dai terreni inquinati, da cui l’indivisibilità materiale della obbligazione. Precisa che si tratta quindi di una obbligazione che ha ad oggetto un facere unitario, con conseguente possibilità per il Comune di chiedere l’adempimento per intero della prestazione di messa in sicurezza di emergenza ad uno dei proprietari, senza che ci ò comporti l’imputazione dell’intero onere economico in capo a ciascuno dei coobbligati.
3.- Il ricorso è inammissibile.
Non sussiste il lamentato sconfinamento nella sfera riservata al legislatore, perché il Consiglio di Stato, nel valutare l’obbligazione gravante sui proprietari non indicati come responsabili de ll’inquinamento dei fondi di provvedere alla loro messa in sicurezza di emergenza, e la sua indivisibilità, ha fatto applicazione, ponendole alla base della sua ricostruzione, delle norme del codice dell’ambiente, nella loro interpretazione già espressa da precedenti dell’org ano di vertice della giurisdizione amministrativa, oltre che della disciplina codicistica sulle obbligazioni indivisibili: in particolare, dell’art. 240 d.lgs. n. 152 del 2006, desumendone che anche il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto a provvedere non all’integrale bonifica dell’area ma alle misure di messa in sicurezza di emergenza, tanto più se vi ha dato avvio spontaneamente, e che le stesse non sono frazionabili tra più proprietari di una stessa area di terreno inquinata trattandosi di obbligazioni indivisibili, risultando altrimenti la realizzazione parziaria delle misure inidonea agli scopi di protezione e precauzione a cui sono finalizzate le stesse misure, e dell’art . 245, comma 2, del d.lgs. 152 del 2006, secondo il quale ‘la messa in sicurezza di un sito inquinato non
ha di per sé natura sanzionatoria, ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente, e, non avendo finalità ripristinatoria, non presu ppone l’accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario » (Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2020, n. 1759; negli stessi termini Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016 n. 1509; sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4119; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; sez. VI, 3 gennaio 2019 n. 81; Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426).
Le censure proposte vanno in effetti ad impingere sulla interpretazione di norme di legge, che, quand’anche fosse stata errata, porterebbe alla configurabilità di un error in iudicando , e quindi ad una violazione che esula dalla violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non sindacabile in questa sede.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 12