Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2711 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma , INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME del foro di Milano e Avv. Prof. NOME COGNOME del foro di Roma
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 638/2020, pubblicata il 25.2.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Oggetto:
Intermediazione
finanziaria
obblighi
informativi
FATTI DI CAUSA
1 .-COGNOME NOME conveniva, dinanzi al tribunale di Milano, Banco BPM al fine di ottenere una pronuncia di invalidità o di risoluzione contrattuale nonché la condanna di parte convenuta al risarcimento dei danni.
L’attore deduceva quanto segue: aveva stipulato con la filiale di Parma della parte convenuta un contratto generale d’investimento per effettuare, per il tramite dello stesso, operazioni di Put/Call (acquisto/vendita di opzioni su titoli azionari), e dunque in derivati; aveva subito una p erdita complessiva di € 103.000 su un capitale versato al 30.6. 2008 di € 155.346; tali operazioni dovevano ritenersi nulle sia perché non precedute dalla stipula per iscritto di un contratto generale d’investimento, come richiesto dall’art. 23 Tuf, sia perché essendo state effettuate telefonicamente le operazioni di investimento (non essendo l’attore residen te a Parma ove si trovava la filiale della banca convenuta ed ove era intrattenuto il rapporto), non era stata specificata la facoltà di recesso entro 7 giorni in violazione dell’art. 30 Tuf; inoltre, doveva essere ravvisato l’inadempimento della banca con conseguente risoluzione dei contratti di acquisto o comunque diritto dell’attore al risarcimento del danno (determinabile nella minusvalenza di € 103.000) sia perché la banca non aveva consegnato il Documento sui rischi generali e, all’entrata in vigore del MIFID, aveva omesso di profilare il cliente, sia perché la banca non aveva avvisato il cliente dell’inappropriatezza per dimensioni degli investimenti.
─ Il Tribunale adito rigettava la domanda.
─ COGNOME NOME proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Milano che, con la sentenza qui impugnata, veniva rigettato.
─ Per quanto qui di interesse la Corte di merito precisava quanto segue:
a) a fronte della tassatività dei casi di rimessione al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., l’eventuale nullità della citazione ai sensi dell ‘ art. 164, comma 4, c.p.c., non implicherebbe, comunque, la rimessione della causa avanti al Tribunale; che, in ogni modo, nel caso, come riportato nella sentenza impugnata, l’appellante risulta aver sufficientemente indicato l’oggetto e l’ambito della propria pretesa risarcitoria, avendo chiesto la condanna della banca convenuta al risarcimento del danno ed avendo dedotto, al riguardo, la responsabilità, sotto diversi profili, della parte convenuta in relazione ad « operazioni di put/call, ossia in derivati »; che, peraltro, detta domanda è rimasta completamente indimostrata non avendo in alcun modo provato la parte appellante né di aver concluso operazioni in derivati, né di aver subito un qualche danno;
b) dai documenti esibiti da parte attrice non è dato evincere quali operazioni in derivati avrebbe posto in essere l’investitore, sì che l’assunto di una responsabilità della banca è rimasto sfornito di prova;
la banca ha prodotto il contratto di negoziazione di strumenti finanziari, il Documento rischi generali, la pattuizione sui contratti a termine futures e options , nonché il foglio sulle informazioni acquisite dall’investitori sugli obiettivi e la propensione al rischio, ed infine il modulo relativo alla dichiarazione di avvenuta consegna degli stessi;
la documentazione è valida ed efficace anche se sottoscritta dal solo investitore;
la censura sulla valutazione dell’appropriatezza dell’investimento in presenza della allegazione del documento di profilatura del cliente è carente di specificità.
─ COGNOME Daniele ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi ed anche memoria.
Banco BPM s.p.a. ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). La Corte avrebbe valutato inadeguati i documenti esibiti in relazione all’acquisizione della prova sulle operazioni in derivati poste in essere dal ricorrente.
5.1 -La censura è inammissibile.
È cosa nota che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass., n. 15107/2013; Cass., n. 19064/2006; Cass., n. 2155/2000; Cass., n. 11949/1993).
È indubitabile, viceversa, che oggi si pretenda in sede di legittimità una diversa valutazione degli esiti istruttori e non il mero controllo della veridicità e della coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata. La denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche Cass., n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/2022; Cass., n. 25915/2021), « non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative » (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., n. 8758/
2017; Cass., n. 32026/2021; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 9021/2023; Cass., n. 6073/2023; Cass., n. 2415/ 2023; ancora recentemente cfr., pure nelle rispettive motivazioni, Cass., n. 9014/2023; Cass., n. 7993/2023; Cass., n. 4784/2023; Cass., n. 1015/2023).
6. – Con il secondo motivo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 TUF. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
6.1 ─ La censura, ha recepito l’ormai consolidato orientamento di questa Corte che in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass., Sez. U., n. 898/2016 e successive conformi).
Trascura, però, il ricorrente di considerare che questa Corte ha anche statuito che il requisito della forma scritta ad substantiam , previsto dall’art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1983 e dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, attiene alla veste esteriore del contratto e alla modalità espressiva dell’accordo, non estendendosi alla consegna del documento contrattuale concluso in tale forma, che ove omessa non produce alcuna nullità negoziale (Cass., n. 18230/2024). La mancata consegna del contratto non pone un problema di validità dello stesso (Cass., n. 3534/2021; Cass., n. 21600/2013, in motivazione). La censura è dunque inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , numero 1, c.p.c.
7. ─ Con il terzo motivo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 TUF. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) La corte non ha ammesso i capitoli di prova sulla conclusione dei vari ordini telefonicamente al fine di rilevare la mancata informazione sul diritto di recesso che rende la contrattazione nulla.
7.1 -La censura è inammissibile.
Essa neppure sfiora la ratio decidendi che sostiene la decisione impugnata. Difatti, il giudice di appello ha integralmente confermato la valutazione compiuta dal Tribunale in ordine alla « assoluta mancanza di allegazione, prima ancora che di prova degli ordini di investimento e delle operazioni contestate svuota, infine, di contenuto le ulteriori doglianze, quali la violazione del dettato dell’art. 30 TUF »: e non occorre dilungarsi ad evidenziare che certo il giudice di merito non poteva ammettere una prova testimoniale sulla mancata informativa sul diritto di recesso riferita ad ordini di investimento neppure identificati, dopo di che resta soltanto da ribadire che la « assoluta mancanza di allegazione, prima ancora che di prova degli ordini di investimento e delle operazioni contestate » non è punto lambita dal ricorso.
8. -Con il quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Reg. Consob n. 16190/2007.
8.1 ─ La censura è inammissibile. La Corte ha valutato in sede di appello la doglianza e ha ritenuto che l’appellante « non ha specificamente allegato sotto quale profilo sarebbe stato carente la valutazione di adeguatezza o di appropriatezza effettuata dalla banca né, come già detto, è stato in alcun modo prospettato un qualche danno risarcibile da parte dell’odierna appellante ». L’attuale censura non contesta le affermazioni del giudicante , rispetto alla valutazione compiuta dalla banca, dopo aver effettuato la profilatura del cliente, con incontestabile esperienza di
investimenti ed obiettivi di investimenti aggressivi, ma si limita ad evidenziare quali possano essere gli indici di inappropriatezza applicabili senza indicare tra l’altro, quando e come abbia sviluppato dette considerazioni nel giudizio di merito. In particolare, il ricorrente fonda la sua censura su una generica affermazione che il capitale investito corrispondesse al 100% del suo patrimonio con una affermazione assolutamente insufficiente rispetto al mero ed unico richiamo alla « produzione in atti ».
9. ─ Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 7.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima