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Obblighi informativi intermediario: nessuna nuova informativa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9069/2024, ha stabilito che gli obblighi informativi dell’intermediario finanziario si esauriscono con l’operazione di acquisto del prodotto. Di conseguenza, la banca non è tenuta a fornire nuove e ulteriori informazioni all’erede che subentra nella titolarità dei titoli per successione. Il ricorso dell’erede, che lamentava un danno per mancata informazione post-successione, è stato dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata per abuso del processo.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obblighi Informativi Intermediario: Nessuna Estensione all’Erede

L’ordinanza n. 9069/2024 della Corte di Cassazione affronta un’importante questione sugli obblighi informativi dell’intermediario finanziario. La Suprema Corte ha chiarito che il dovere della banca di fornire informazioni si esaurisce al momento della sottoscrizione del prodotto finanziario e non si estende, né si rinnova, nei confronti dell’erede che subentra nella titolarità del titolo per successione. Questa decisione consolida un principio fondamentale nel diritto bancario, delineando con precisione i confini temporali delle responsabilità degli intermediari.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dall’azione legale intentata da una signora nei confronti di un istituto di credito. La ricorrente era subentrata, per successione ereditaria, nella titolarità di un prodotto finanziario originariamente acquistato dal defunto marito. Anni dopo il decesso, l’erede decideva di vendere il titolo, realizzando un utile.

Ciononostante, conveniva in giudizio la banca sostenendo che il prodotto finanziario fosse inadeguato al profilo di rischio del marito e, soprattutto, che l’istituto di credito avesse violato i propri doveri non fornendo a lei, in qualità di erede, alcuna informazione successiva sulla natura e sui rischi dell’investimento. Sulla base di queste premesse, chiedeva un cospicuo risarcimento del danno.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano la domanda, affermando che la scelta di vendere anticipatamente il titolo, rinunciando a una cedola più vantaggiosa, era stata una decisione autonoma dell’attrice e non poteva essere imputata alla banca. I giudici di merito escludevano inoltre che l’intermediario avesse un obbligo informativo continuativo nei confronti dell’erede.

I Motivi del Ricorso e gli obblighi informativi dell’intermediario

L’erede proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali. Con il primo, denunciava la violazione delle norme sulla correttezza e buona fede (artt. 1175, 1176 c.c.) e della normativa di settore (art. 21 T.U.F.), sostenendo che la banca avrebbe dovuto informarla adeguatamente dopo il suo subentro nella titolarità del prodotto. A suo dire, questo dovere informativo nasceva ex novo con la successione.

Con il secondo motivo, lamentava un’errata valutazione in merito alla prova del danno, sostenendo che, se fosse stata correttamente informata, avrebbe liquidato l’investimento immediatamente dopo la successione, evitando un presunto pregiudizio economico.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando importanti principi di diritto.

Sull’esaurimento degli obblighi informativi dell’intermediario

La Corte ha ribadito con fermezza che gli obblighi informativi a carico dell’intermediario sono finalizzati a consentire all’investitore di operare scelte consapevoli al momento dell’investimento. Salvo i casi specifici dei contratti di gestione patrimoniale o di consulenza finanziaria, tali obblighi si esauriscono con l’esecuzione dell’ordine di acquisto.

Il principio, secondo i giudici, non cambia in caso di successione mortis causa. Il subentro dell’erede nella posizione contrattuale del defunto non fa sorgere un nuovo e autonomo obbligo informativo in capo alla banca. L’attività dell’intermediario si è già conclusa con l’erogazione del servizio originario e non può essere ravvivata dal mero trasferimento della titolarità del prodotto finanziario.

Sulla Prova del Danno e l’Abuso del Processo

Anche il secondo motivo è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha osservato che la ricorrente, sotto la veste di una violazione di legge, chiedeva in realtà un riesame del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità. Inoltre, essendo stata esclusa in radice qualsiasi condotta inadempiente da parte della banca, la questione relativa alla prova del danno diventava irrilevante.

Infine, la Corte ha condannato la ricorrente per abuso del processo ai sensi dell’art. 96 c.p.c. La proposizione di un ricorso manifestamente infondato, specialmente dopo aver ricevuto una proposta di definizione accelerata, è stata considerata un’ipotesi di abuso che presume una responsabilità aggravata, giustificando la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e della Cassa delle ammende.

Le motivazioni

La ratio decidendi della Suprema Corte si fonda su una chiara distinzione tra l’atto di investimento e la successiva detenzione del prodotto finanziario. Gli obblighi informativi previsti dal Testo Unico della Finanza (T.U.F.) sono strettamente funzionali alla fase genetica del rapporto, ovvero al momento in cui l’investitore prende la decisione di acquistare. Essi mirano a colmare l’asimmetria informativa tra l’intermediario professionale e il cliente, garantendo che quest’ultimo compia una scelta ponderata. Una volta che l’ordine è stato eseguito, l’obbligazione dell’intermediario, in un semplice contratto di acquisto titoli, si considera adempiuta. La Corte ha specificato che non esiste una norma che imponga un dovere di ‘monitoraggio’ o di informazione continua, né che tale dovere possa sorgere a seguito di un evento successivo come la successione ereditaria. Estendere tali obblighi significherebbe snaturare la causa del contratto e imporre all’intermediario un’attività di consulenza non richiesta né pattuita. La decisione sull’abuso del processo, inoltre, riflette un orientamento sempre più rigoroso della giurisprudenza volto a sanzionare l’uso distorto degli strumenti processuali che appesantisce il sistema giudiziario con liti palesemente pretestuose.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. Per gli investitori e i loro eredi, emerge chiaramente che non ci si può attendere un’assistenza proattiva e continuativa da parte della banca dopo l’acquisto di un prodotto finanziario, se non è stato stipulato un apposito contratto di consulenza o gestione. L’erede che subentra in un portafoglio titoli ha l’onere di informarsi autonomamente sulla natura e sui rischi degli investimenti ereditati. Per gli intermediari finanziari, la sentenza rappresenta una conferma dei limiti delle loro responsabilità, circoscrivendo gli obblighi informativi alla fase pre-negoziale e negoziale dell’investimento. Infine, la condanna per abuso del processo costituisce un severo monito contro le azioni legali temerarie, incentivando le parti a valutare con maggiore attenzione la fondatezza delle proprie pretese prima di adire la Suprema Corte.

La banca ha l’obbligo di fornire nuove informazioni all’erede che subentra in un prodotto finanziario acquistato dal defunto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, gli obblighi informativi della banca si esauriscono con l’esecuzione dell’operazione di acquisto originaria. Il subentro dell’erede non fa sorgere un nuovo obbligo di informazione, in quanto l’attività dell’intermediario si è già conclusa.

Quando si esauriscono gli obblighi informativi dell’intermediario finanziario?
Salvo i casi di contratti di gestione patrimoniale o di consulenza, gli obblighi informativi si esauriscono con l’esecuzione dell’ordine di acquisto. Sono finalizzati a garantire una scelta consapevole dell’investitore al momento dell’investimento e non si protraggono durante la successiva detenzione del titolo.

Cosa rischia chi propone un ricorso per cassazione manifestamente infondato?
Chi propone un ricorso palesemente infondato, specialmente dopo una proposta di definizione accelerata, rischia una condanna per abuso del processo ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Ciò comporta il pagamento delle spese legali, di una somma determinata dal giudice a titolo di risarcimento e di un’ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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