Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5847 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5847 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
Oggetto: intermediazione finanziaria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9373/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Prato, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1875/2020, depositata il 5 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 5 ottobre 2020, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Prato che aveva respinto le sue domande per l’accertamento della nullità o per la risoluzione di tre operazioni di investimento in derivati;
-dall’esame della sentenza impugnata si evince che le domand e si fondavano sul fatto che tali operazioni era state eseguite senza che all’investitore fosse stato fornite informazioni sui rischi delle stesse e, inoltre, nonostante la contrarietà alle risultanze del profilo di rischio dichiarato;
la Corte di appello ha riferito che il Tribunale aveva disatteso tali domande atteso che: le dedotte violazione degli obblighi informativi non attenevano al momento genetico dei contratti, per cui non costituivano causa di nullità degli stessi; l’esaurimento dei rapporti ostava alla declaratoria di risoluzione dei contratti; relativamente alla domanda risarcitoria, non era provata la dedotta violazione degli obblighi informativi e, inoltre, l’investitrice aveva dimostrato dimestichezza nel trattare strumenti caratterizzati da rischi medioelevati;
ha, quindi, respinto il gravame ritenendo che la banca avesse assolto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti;
il ricorso è affidato a due motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE;
-quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. 2697 cod. civ., 23 t.u.f. e 29, Reg. Consob 1° luglio 1998, n. 11522, per aver la sentenza impugnato ritenuto dimostrati gli obblighi informativi previsti dalla disciplina di settore sulla base di testimonianze il cui contenuto era
stato travisato e senza fornire alcuna spiegazione in ordine alla mancata valorizzazione del documento di raccolta delle informazioni sottoscritto;
osserva, in proposito, che in tale documento aveva dichiarato di non aver mai posseduto derivati e warrants ed escludeva tali strumenti finanziari tra gli investimenti da effettuarsi, che le prove raccolte non erano concludenti, in quanto si riferivano ad altre operazioni, e che non era stato accertat o l’esatto assolvimento degli obblighi informativi in relazione alla inadeguatezza delle operazioni;
il motivo è inammissibile;
si rammenta che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. presuppone l’allegazione che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. richiede l’allegazione che il giudice, n el valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
nel caso in esame nessuna delle riferite allegazioni risulta essere stata formulate per cui l’evocazione degli invocati paradigmi normativi non risulta pertinente;
del pari, non pertinente è il richiamo al paradigma rappresentato dall’art. 2967 cod. civ., in quanto la ricorrente non si duole della non
corretta applicazione dei criteri che presiedono al riparto dell’onere della prova, fissati da tale disposizione normativa, ma della valutazione del giudice in ordine alla insufficienza delle risultanze probatorie a dimostrare le prospettate violazioni degli obblighi informativi;
non configurabile è il dedotto vizio di travisamento della prova, atteso che la doglianza della ricorrente cade sulla valutazione della prova, risolvendosi in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie, e non sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima;
in ordine, infine, alla contestata valutazione di adeguatezza delle operazioni effettuate -e, conseguentemente, di insussistenza dell’obbligo di astensione dell’intermediario la censura, nel richiamare le informazioni rese dall’investitore in sede di sua profilatura, non aggredisce puntualmente la sentenza impugnata, la quale ha dato atto che nel relativo documento l’investitore aveva descritto sé stesso quale soggetto con «alta propensione al rischio, massima remunerazione ed elevati livelli di volatilità» e ha fondato la sua decisione in ordine all’insu ssistenza di tale obbligo di astensione in ragione della coerenza delle contestate operazioni con il profilo di rischio dell’investit rice, così come desunto dalla informazioni da questi rese in sede di sua profilatura;
con il secondo motivo la ricorrente deduce la errata applicazione degli artt. 99, 329 e 346 cod. proc. civ., «in relazione alla ammissibilità della domanda di risarcimento proposta in quanto erroneamente valutata come subordinata alla domanda di risoluzione»;
il motivo è inammissibile in quanto, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, la sentenza impugnata non contiene una statuizione di inammissibilità della domanda risarcitoria;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 30 gennaio 2024.