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Obblighi informativi banca: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una risparmiatrice contro un istituto bancario. La cliente contestava la violazione degli obblighi informativi in relazione a investimenti in derivati. La Corte ha stabilito che le censure della ricorrente non riguardavano violazioni di legge, ma tentativi di ottenere un riesame nel merito della valutazione delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità. La decisione si fonda sulla coerenza tra le operazioni e l’elevato profilo di rischio autodichiarato dalla cliente.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obblighi Informativi dell’Intermediario: i Limiti del Giudizio in Cassazione

La corretta informazione è il pilastro su cui si fonda ogni rapporto tra banca e cliente, specialmente in materia di investimenti finanziari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire la portata degli obblighi informativi a carico degli intermediari e, soprattutto, i confini del sindacato che la Suprema Corte può esercitare sulla valutazione delle prove effettuata nei gradi di merito. Il caso in esame riguarda un’investitrice che lamentava la violazione di tali doveri in relazione a operazioni in derivati, ritenute inadeguate al suo profilo.

I Fatti del Caso: Investimenti in Derivati e Contestazioni

Una risparmiatrice conveniva in giudizio un noto istituto bancario, chiedendo l’accertamento della nullità o la risoluzione di tre operazioni di investimento in strumenti derivati. A fondamento delle sue pretese, deduceva che la banca avesse violato i propri obblighi informativi, non fornendole adeguate delucidazioni sui rischi connessi e procedendo con gli investimenti nonostante questi fossero contrari al suo profilo di rischio dichiarato.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello rigettavano le domande dell’investitrice. I giudici di merito ritenevano che le presunte violazioni informative non fossero causa di nullità del contratto e che la banca avesse, di fatto, assolto ai suoi doveri. Inoltre, sottolineavano come la cliente avesse dimostrato una certa dimestichezza con strumenti finanziari a rischio medio-alto.

La Decisione della Corte di Cassazione e gli obblighi informativi

L’investitrice proponeva quindi ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi principali. Con questa ordinanza, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito.

Il Primo Motivo di Ricorso: La Valutazione delle Prove

La ricorrente denunciava la violazione di norme processuali (artt. 115 e 116 c.p.c.) e sostanziali (art. 2697 c.c.) relative all’acquisizione e valutazione delle prove. Sosteneva che i giudici avessero erroneamente interpretato le testimonianze e non avessero dato il giusto peso a un documento da lei sottoscritto in cui dichiarava di non aver mai posseduto derivati.

La Cassazione ha respinto questa censura, qualificandola come un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte ha chiarito che la violazione dell’art. 116 c.p.c. si configura solo quando il giudice valuta una prova in modo palesemente irrazionale o attribuisce a un elemento un valore che la legge non gli riconosce, non quando si limita a scegliere, tra le diverse risultanze, quelle che ritiene più attendibili. La doglianza della ricorrente, quindi, si risolveva in una critica all’apprezzamento delle prove, non in un errore di diritto.

Il Secondo Motivo: La Domanda Risarcitoria

Con il secondo motivo, la risparmiatrice lamentava un’errata applicazione di norme processuali in relazione alla sua domanda di risarcimento danni, che a suo dire era stata erroneamente considerata subordinata a quella di risoluzione. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile, in quanto la stessa ricorrente ammetteva che la sentenza d’appello non conteneva alcuna statuizione di inammissibilità su tale domanda, rendendo la censura priva di oggetto.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il suo compito non è rivalutare i fatti o l’attendibilità delle prove, ma verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse motivato in modo logico e coerente la propria decisione. In particolare, è stato dato rilievo al fatto che, nel documento di profilatura, l’investitrice si era descritta come un soggetto con “alta propensione al rischio, massima remunerazione ed elevati livelli di volatilità”. La Corte ha quindi concluso che le operazioni contestate erano coerenti con il profilo di rischio desunto dalle stesse dichiarazioni della cliente, e ciò bastava a ritenere infondata la censura relativa alla violazione degli obblighi informativi di adeguatezza.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un concetto fondamentale: la contestazione della valutazione delle prove da parte del giudice di merito è possibile in Cassazione solo entro limiti molto stretti, che non sono stati ravvisati nel caso di specie. Per gli investitori, emerge l’importanza cruciale della fase di profilatura del rischio: le dichiarazioni rese in quella sede costituiscono un elemento probatorio fondamentale per valutare la coerenza delle operazioni successive e l’adempimento degli obblighi informativi da parte dell’intermediario. Una volta definito un profilo ad alta propensione al rischio, diventa più complesso contestare l’adeguatezza di investimenti speculativi.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, di regola la Corte di Cassazione non può riesaminare la valutazione delle prove. Il suo ruolo è verificare la corretta applicazione della legge. Può intervenire solo se il giudice ha commesso un errore di diritto nella valutazione (ad es. attribuendo a una prova un valore diverso da quello legale) o se la motivazione è palesemente illogica, ma non può sostituire il proprio apprezzamento dei fatti a quello del giudice che ha esaminato direttamente le prove.

Cosa significa che un motivo di ricorso è “inammissibile”?
Significa che il motivo non può essere esaminato nel merito perché non rispetta i requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, i motivi sono stati giudicati inammissibili perché, invece di denunciare un errore di diritto, miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

Il profilo di rischio dell’investitore è determinante per valutare l’adeguatezza di un’operazione?
Sì, è un elemento centrale. La Corte ha fondato la sua decisione sulla coerenza tra le operazioni contestate e il profilo di rischio dichiarato dall’investitrice stessa (“alta propensione al rischio, massima remunerazione ed elevati livelli di volatilità”), ritenendo quindi che la banca avesse agito correttamente in base alle informazioni ricevute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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