SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 802 2025 – N. R.G. 00000567 2024 DEL 30 04 2025 PUBBLICATA IL 30 04 2025
R.G. 567/2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE
seconda sezione civile
in persona dei magistrati:
– NOME
Presidente
– NOME COGNOME
Consigliere
– NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II grado tra
A
TABLE
appellanti
e
TABLE
appellata
Conclusioni
per e « Voglia  l’On.le  Corte  di  Appello adita, anche  in  ossequio  al  dictum  della  ordinanza  della  Cassazione  n. 35753/2023 del 21 dicembre 2023 ed in riforma della sentenza n. 2345 del Tribunale  di  Firenze,  nel  giudizio  R.G.  3861/2011  resa  pubblica  in  data 15/07/2014 così statuire: Parte_1 Parte_2
-accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale e delle regole imposte a tutela del risparmio da parte della Convenuta non di lieve entità per le motivazioni richiamate da ultimo in atto di riassunzione e per l’effetto condannare la medesima al risarcimento del danno cagionato di €. 24.957,49 oltre al risarcimento del danno da svalutazione monetaria in quanto risparmio investito ed interessi legali dalla data dell’investimento al dì del soddisfo come per legge al netto delle utilità accertate;
-con  vittoria  di  spese  competenze  di  causa  in  favore  degli  scriventi difensori  antistatari  per  tutti  i  gradi  del  giudizio  come  da  tariffa  vigente  e relative notule »;
per « precisa le conclusioni richiamando  le eccezioni e domande rassegnate in comparsa di appello ». Controparte_1
Rilevato
e hanno riassunto il giudizio a seguito dell’ordinanza  n.  35753  del  2023  della  Suprema  Corte,  che  ha  cassato  con rinvio la sentenza n. 1602 del 2019 di questa Corte. Parte_1 Parte_2
Come si ricava dalla ricostruzione della vicenda processuale operata dal giudice  di  legittimità,  gli  odierni  attori  in  riassunzione  citarono (ora in  prosieguo )  innanzi  al Tribunale di Firenze, esponendo di essere stati sollecitati da quest’ultima ad acquistare  titoli in  assenza  di  un’adeguata  informativa  sui  rischi  e  in contrasto  con  il  loro  profilo  orientato  alla  mera  conservazione  dei  propri […] CP_2 Controparte_1 CP_1 Pt_3
risparmi. Chiesero, pertanto, di accertarsi e dichiararsi l ‘invalidità del contratto di negoziazione e del contratto di vendita dei titoli suddetti, per euro 26.383,25, e, per l’effetto, condannarsi la convenuta alla ripetizione della somma investita, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria. In via subor dinata, chiesero accertarsi e dichiararsi l’inadempimento contrattuale della convenuta per aver violato le regole imposte a tutela dei risparmiatori e, conseguentemente, condannarsi la al risarcimento del danno, quantificato nella somma addebitatagli di euro 26.383,25, oltre interessi e rivalutazione. CP_2
Costituitosi in giudizio, l’istituto di credito contestò le avverse pretese e formulò domanda riconvenzionale subordinata.
L’adito  Tribunale,  con  la  sentenza  n.  2345  del  2014  respinse  tutte  le domande proposte dagli attori, compensando le spese di lite.
Questa Corte d’appello respinse il gravame con la sentenza n. 1602 del 2019.
Il  ricorso  per  cassazione  avverso  tale  pronuncia,  affidato  a  tre  mezzi d’impugnazione, è stato accolto limitatamente al terzo, c on il quale gli odierni attori in  riassunzione  lamentavano  che  fossero  stati  disattesi  i  principi giurisprudenziali  di  legittimità  in  tema  di  obblighi  d’informazione  attiva  con riguardo all’investimento in considerazione.
A seguito della cassazione con rinvio, il giudizio è stato riassunto dagli attori/appellanti.
Si è costituita in giudizio , protestando l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle domande spiegate con la citazione in riassunzione. CP_1
All’esito  dell’udienza  del  17  gennaio  2025  sostituita  ai  sensi  dell’art. 127ter c.p.c. -la causa, sulle conclusioni di cui in esergo, è stata trattenuta in decisione con ordinanza del successivo 22 gennaio, con la quale sono stati
assegnati alle parti i termini massimi di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Considerato
1.  Ai  fini  dell’odierno  decidere  giova  premettere  quanto  affermato  dalla Corte regolatrice con l’ordinanza che ha cassato la sentenza d’appello.
Al riguardo, è utile prendere le mosse dalle contestazioni dei ricorrenti raffrontate a quanto statuito dalla sentenza impugnata: « Il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in ordine all’interpretazione ed applicazione dell’art. 23, comma 6, del TUF, dell’art. 21 del TUF, degli artt. 26 e 28 del Regolamento Consob n. 11522/98 in tema di informazione attiva e passiva. Inadempimento degli obblighi di diligenza, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge’, ascrive alla corte territoriale di avere apertamente disatteso i princìpi sanciti dalla Suprema Corte in tema di interpretazione ed applicazione della normativa di settore. In particolare, si assumono violati: i) ‘l’art. 21 del TUF, e gli artt. 26 e 28 del Regolamento 11522/1998 (in tema di adeguata informativa sull’operazione), non risultando provato che la abbia fornito informazioni in ordine alla natura del titolo, al mercato di negoziazione, solidità dell’emittente, rischi conseguenti (nonostante la fo sse a conoscenza della esistenza dell’offering circular del collocatore del titolo) fatto riconosciuto dalla stessa corte fiorentina laddove riferendosi alla sentenza di primo grado, afferma che ‘La generica informazione fornita all’atto dell’ordine di acq uisto e sottoscritta è stata ritenuta sufficiente in relazione al profilo dei clienti. Ciò appare altresì corretto’. Invero, il Tribunale prima e la Corte poi, per assolvere la dall’obbligo di fornire una corretta e adeguata informativa , hanno dato r ilievo ad elementi (titoli preesistenti, l’impiego del decimo del patrimonio, l’acquisto coevo di titoli ‘Turkey’, di pari valore ed a rischio), senza neppure verificare se per tali titoli fosse stata data adeguata informativa. Detti elementi sono inidonei ad esonerare la dai suoi obblighi informativi. Anche il fatto CP_3 CP_2 CP_2 CP_2 CP_2
che, secondo la Procura, la Banca non avesse conoscenza dell’imminente default dell’emittente, non rileva come esimente dall’obbligo di informazione in capo alla Banca atteso che esso non si limita alla sola segnalazione del prossimo default dell’emittente’; ii) ‘ai sensi dell’art. 21 del TUF, e gli artt. 26, 28 e 29 del Regolamento Consob 11522/1998 (in tema di valutazione della adeguatezza dell’operazione), la Banca doveva valutare l’ade guatezza dell’operazione , il profilo di rischio degli investitori. Qui ancora una volta la Corte di Appello di Firenze si discosta dai princìpi sanciti dalla Suprema Corte adita soffermandosi su elementi inconferenti come il patrimonio dei ricorrenti e l’acquisto di titoli Turchia’. Si afferma, infine, che ‘Il parametro normativo, dunque, è stato violato con riferimento alle presunte generiche (ancorché non specificate) informazioni date in quanto: l’obbligo informativo in capo alla banca non è limitato a generiche informazioni che, in quanto tali, sono inidonee a porre i clienti, in fase precontrattuale, a conoscenza delle reali caratteristiche degli investimenti; il profilo soggettivo degli investitori non legittima la eliminazione dell’obbligo informativo’. […] Questa doglianza si rivela fondata alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso . […] Invero […] la corte distrettuale, nel disattendere il quarto ed il quinto motivo di gravame concernenti, rispettivamente, la pretesa omessa pronuncia in ordine alla mancata informativa sui rischi, essendosi il tribunale incentrato sulla presunta adeguatezza dell’operazione, e la ritenuta adeguatezza della operazione rispetto al profilo degli investitori, opinò che ‘Il Tribunale non ha dimenticato di pronun ciare sulla censura relativa alla omessa informazione, ma l’ha tuttavia ritenuta eccezione non dirimente alla luce del livello di conoscenza degli investitori, ciò desumendo dalla tipologia delle operazioni fino ad allora effettuate. Il passaggio argomentativo è del tutto lecito, sostanziandosi nel grado di tutela necessario, ovviamente minore laddove la conoscenza tecnica dell’investitore è più elevata. La generica informazione fornita all’atto dell’ordine di acquisto e sottoscritta è stata ritenuta suffic iente in relazione al profilo dei clienti. Ciò appare altresì corretto. Il paniere dei clienti era un paniere
preesistente e di cui l’operazione impugnata rappresentava un decimo del patrimonio. Esso era assolutamente diversificato e, come si evince dal documento sulla consistenza di esso, la diversificazione era preesistente. L’acquisto di ‘ è stato contestuale all’acquisto di ‘Turkey’, per pari valore e anch’esse titolo a rischio. Tutto quanto sopra esposto dimostra che i clienti erano investitori non occasionali adusi a scegliere con oculatezza i propri investimenti anche a fini di profitto correlato a rischio. Né è impugnata la ratio sulla non conoscibilità della rischiosità del titolo, emergente dagli atti della indagine penale». […] Appare eviden te, dunque, che, così argomentando, la corte territoriale ha inteso avallare l’impostazione del tribunale secondo cui l’operazione di acquisto dei titoli di cui oggi si discute doveva considerarsi adeguata alla natura di investitori non occasionali attribuita agli odierni ricorrenti in ragione delle loro conoscenze desunte tipologia di operazioni fino ad allora effettuate, oltre che dal contestuale acquisto di titoli (‘Turkey’) considerati comunque ‘a rischio’ ». Pt_3
Dopo aver indicato le censure mosse e le statuizioni da esse attinte, la Corte è passata a richiamare i principi giurisprudenziali che esse hanno violato: « Questi assunti, tuttavia, si rivelano in contrasto con i princìpi già ripetutamente sanciti da questa Corte -e che il Collegio, condividendoli, intende riaffermare -secondo cui, in materia di contratti di intermediazione finanziaria: i) ‘[…] l’onere probatorio a carico dell’intermediario di aver adempiuto agli obblighi informativi nei confronti del cliente sussiste indipendentemente dalla valutaz ione di adeguatezza dell’operazione; la carenza di prova di avere dato adeguate informazioni, peraltro, determina una presunzione in ordine alla esistenza di un danno risarcibile a carico del cliente, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da part e dell’intermediario è, in ogni caso, fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento’ (cfr. Cass. n. 7288 del 2023); ii) ‘[…] l’inottemperanza dell’intermediario agli obblighi informativi cui è tenuto fa insorgere la presunzione di sussistenza del nesso di causalità tra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato
dall’investitore, la cui prova contraria, a carico del primo, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio da parte de ll’investitore, desunta anche da scelte rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli siano stati segnalati’ (cfr. Cass. n. 12990 del 2023; Cass. n. 7932 del 2023; Cass. n. 17340 del 2008). […] In questa sede, pertanto, è possibile rinviare al contenuto delle motivazioni delle pronunce appena citate, giusta l’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., rimarcandosi, in sintesi, che, come pure ribadito anche da Cass. n. 35789 del 2022 e Cass. n. 19891 del 2022 (cfr. le rispettive motivazioni): i) gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propen sione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); ii) con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, l’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all’investitore ‘informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento’; iii) giusta l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, pertanto, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio; iv) l’intermediario convenuto in un giudizio di
responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento; v) l’assolvimento dell’obbligo di i nformazione specifica impone, quindi, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente; vi) con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’art. 28, primo comma, lett. a), consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura) -esso è funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un’operazione da parte dell’intermediario -come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall’intermediario; vii) l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie
a rischio elevato ch e risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo. […] A tanto deve aggiungersi che le già menzionate pronunce rese da Cass. n. 7932 del 2023 e da Cass. n. 12990 del 2023 hanno chiarito pure c he, ‘in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e prima ancora dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così d isciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito ‘con la specifica diligenza richiesta’ (Cass. n. 3773/2009)’ ». CP_3
Dopo aver affermato i principi giurisprudenziali in rilievo, la Corte di cassazione è passata a esaminare il contrasto della sentenza impugnata con gli stessi: « Alla stregua dei riportati, e qui condivisi, princìpi, quindi, la decisione della corte fiorentina oggi impugnata, rivelandosi non coerente con gli stessi, risulta inficiata dai vizi ad essa ascritti dalla censura in esame . […] La stessa, invero, ha ritenuto che l’operazione di acquisto dei titoli di cui oggi si discute dovesse considerarsi adeguata alla natura di investitori non occasionali attribuita dalla banca agli odierni ricorrenti esclusivamente in ragione delle loro conoscenze desunte tipologia di operazioni fino ad allora effettuate, oltre che
dal contestuale acqu isto di titoli (‘Turkey’) considerati comunque ‘a rischio’. Per questa ragione, quindi, ha confermato l’assunto del giudice di prime cure che non aveva attribuito valore dirimente alla pur denunciata omessa informazione da parte dell’intermediario. […] Cos ì procedendo, tuttavia, quella corte (come già il tribunale) ha sostanzialmente omesso di procedere all’accertamento, in concreto, dell’adempimento del descritto onere probatorio gravante sull’intermediario, altresì valorizzando una circostanza (‘Né è impugnata la ratio sulla non conoscibilità della rischiosità del titolo, emergente dagli atti della indagine penale’. Cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), assolutamente inidonea ad escludere l’inadempimento di cui si discute. Invero, a fronte dell’inadempime nto degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario come allegato dagli appellanti, anche quanto all’adeguatezza dell’operazione de qua , sarebbe stato preciso onere dell’intermediario medesimo provare, innanzitutto, di avergli fornito puntuali indicazioni con riferimento alla inadeguatezza dell’operazione da essi lamentata in relazione al loro profilo, al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole (cfr., in motivazione, Cass. n. 7932 del 2023), ricordandosi, peraltro, che, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie circa il prodotto offerto e/o acquistato dall’investitore, l’intermediario deve rendere edotto l’investitore, ad esempio, del rating, della eventuale offering circular e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), di eventuali situazioni di grey market (cfr. Cass. n. 8314 del 2017), e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzab ile da esso intermediario (cfr. Cass. n. 12544 del 2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376 del 2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (cfr. Cass. n. 8619/2017). Nulla di tutto questo, invece, è stato concretamente verificato dalla corte distrettuale, non potendosi certamente ritenere esaustiva, a tal fine, la mera circostanza, dalla stessa valorizzata, che il e la ‘erano investitori non occasionali adusi Pt_1 Pt_2
a scegliere con oculatezza i propri investimenti anche a fini di profitto correlato a rischio’ (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). In definitiva, tanto poteva valere a fornire alla banca intermediaria uno degli elementi di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione a compiersi, non già ad escluderne, sostanzialmente, tout court l’obbligo corrispondente, del quale doveva comunque dimostrare positivamente il concreto e puntuale adempimento (cfr., ex multis, Cass. n. 18702 del 2016; Cass. n. 18039 del 2012) alla stregua di tutti gli elementi a sua conoscenza ».
2. Tanto doverosamente evidenziato, non può trovare accoglimento l’eccezione d’inammissibilità delle domande in ragione del fatto che gli o dierni attori, nel giudizio di primo grado, si sarebbero limitati a lamentare una generica omissione informativa, in mancanza di specificazione delle indicazioni non fornite, e dunque non sufficientemente delineata e circostanziata, senza che l’allegazione ex novo di obblighi d’informazione in merito a natura e rischi del prodotto finanziario derivanti da rendimento dei titoli, mercato di negoziazione, esistenza di offering circular e situazione di grey market potesse ovviare all’originario difetto di speci ficità.
Come poc’anzi evidenziato, l’ordinanza che ha cassato la precedente sentenza di questa Corte, dopo aver passato in rassegna i principi giurisprudenziali disattesi, ha affermato che « a fronte dell’inadempimento degli obblighi informativi gravanti su ll’intermediario come allegato dagli appellanti, anche quanto all’adeguatezza dell’operazione de qua , sarebbe stato preciso onere dell’intermediario medesimo provare, innanzitutto, di avergli fornito puntuali indicazioni con riferimento alla inadeguatezza dell’operazione da essi lamentata in relazione al loro profilo, al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole (cfr., in motivazione, Cass. n. 7932 del 2023), ricordandosi, peraltro, che, una volta doverosamente acquisite le informazioni neces sarie circa il prodotto offerto e/o acquistato dall’investitore, l’intermediario deve rendere edotto l’investitore, ad esempio, del rating, della eventuale offering circular e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è
collocato (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), di eventuali situazioni di grey market (cfr. Cass. n. 8314 del 2017), e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (cfr. Cass. n. 12544 del 2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376 del 2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (cfr. Cass. n. 8619/2017). Nulla di tutto questo, invece, è stato concretamente verificato dalla corte distrettuale ».
Ritenere che la domanda risarcitoria avanzata dagli attori in riassunzione sia inammissibile per generica indicazione degli obblighi rimasti inossequiati significherebbe porre nel nulla i principi di diritto ritraibili dalla pronuncia della Suprema Corte e tenere in non cale gli accertamenti che ne sarebbero  dovuti  derivare;  essi,  viceversa,  evidentemente,  postulano  che l’allegazione dell’inadempimento ai doveri informativi sia sufficiente.
Si rammenta che «il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla ‘regola’ giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico -giuridiche della decisione, e attenersi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se in ipotesi non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità della stessa» (Cass. n. 7091 del 2022, in massima; analogamente, in precedenza, Cass. n. 20887 del 2018, Cass. n. 20981 del 2015 e Cass. n. 17353 del 2010, tutte in massima).
Ciò che dunque deve verificarsi è se e in ch e misura l’intermediaria abbia assolto agli obblighi informativi di cui era gravata.
Ritiene il Collegio che, nella fattispecie, la prova di tale adempimento sia mancata.
L’appellata assume di avervi provveduto, richiamando i documenti da cui tanto si evincerebbe.
Tuttavia, anche ad ammettere che il «Documento sui rischi generali degli investimenti  in  strumenti  finanziari»  (doc.  1  fasc. ), sottoscritto  da entrambi gli attori in riassunzione, sia stato consegnato prima dell’acquisto dei titoli , esso si riferisce ai rischi correlati agli investimenti finanziari in generale -peraltro,  senza  avere  pretesa  esaustiva  ma  solo  basica -come emerge dalla stessa epigrafe: CPNUMERO_DOCUMENTO1 PtNUMERO_DOCUMENTO3
QUESTO DOCUMENTO NON DESCRIVE TUTTI RISCHI ED ALTRI ASPETTI SIGNIFICATIVI RIGUARDANTI GLI INVESTIMENTI IN STRUMENTI FINANZIARI ED SERVIZI DI GESTIONE PATRIMONIALE PERSONALIZZATA, MA HA LA FINALITÀ DI FORNIRE ALCUNE INFORMAZIONI D’ BASE SUI RISCHI CONNESSI A TALI INVESTIMENTI E SERVIZI.
Inoltre, esso non si riferisce affatto a natura, rischi e implicazioni proprie della singola e specifica operazione in considerazione -così come necessario alla  stregua  di  quanto  evidenziato  dall’ordinanza  di  rinvio,  alla  luce  della normativa  passata  in  rassegna -al  di  là  del  fatto  che  alcuni  dei  rischi  ivi genericamente menzionati si attagliassero e si siano poi concretizzati proprio con riferimento ai bond e all’acquisto che li ha riguardati. Pt_3
Tantomeno possono valere a esimere l’intermediaria dalla responsabilità ascrittale  le  dichiarazioni  presenti  sul  modulo  relativo  all’ordine  d’acquisto (doc.  3  fasc. ),  ove -in  disparte  l’indicazione  del  titolo ,  del  suo rendimento  e  dell’importo  investito,  che  descrivono  solamente  i  termini dell’operazione quanto alle informazioni in ordine ai rischi, si legge: CPNUMERO_DOCUMENTO1 Pt_3
Tale dichiara zione è insufficiente a ritenere assolto l’obbligo informativo specifico, rammentandosi  al  riguardo  le  parole  pronunciate  dalla  Corte regolatrice  proprio  a  proposito  dei bond ,  secondo  cui  «la  dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquis to di un prodotto finanziario, con la quale egli dia atto di aver ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini Pt_3
della completa valutazione del grado di rischio , non può essere qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole per l’altra parte (…) tale dichiarazione è altresì inidonea ad assolvere agli obblighi informativi prescritti dagli artt. 21 TUF e 28 Reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. 11412 del 6.7.2012)» (Cass. n. 28175 del 2019, in motivazione), il cui concreto contenuto, nella fattispecie, non è dato conoscere.
Né può utilmente evocarsi nel caso in esame la sentenza n. 318 del 2023 di questa Corte, la quale ha ritenuto assolti gli obblighi informativi gravanti sulla  medesima  intermediaria  in  ragione  di  un  ben  più  ampio  panorama probatorio -documentale,  testimoniale  (ritenuto  essenziale  e  dirimente)  e presuntivo   allora disponibile, che nella specie difetta. –
Non può nemmeno ritenersi assolto l’onere di valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione.
Giova rammentare che, secondo la Corte regolatrice, «in tema di intermediazione mobiliare, l’intermediario finanziario , convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui l’investitore nel contratto -quadro si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione , in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la si tuazione di mercato […] (Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039)» (Cass. n. 5250 del 2016, in motivazione; analogamente, Cass. n. 18702 del 2016, in motivazione, citata dall’ordinanza di rinvio).
In virtù di tali principi, a fronte del rifiuto degli attori in riassunzione di rendere le informazioni sui propri obiettivi di investimento e situazione finanziaria (docc. 5 e 6 fasc. e 9 fasc. ), l’intermediaria avrebbe comunque dovuto effettuare una compiuta valutazione di adeguatezza, senza limitarsi alla sola considerazione delle operazioni pregresse, aspetto che l’ordinanza di rinvio ha ritenuto insufficiente («In definitiva, tanto poteva valere a fornire alla banca intermediaria uno degli elementi di valutazione dell’adeguatezza dell’operazion e a compiersi, non già ad escluderne, sostanzialmente, tout court l’obbligo corrispondente, del quale doveva comunque dimostrare positivamente il concreto e puntuale adempimento (cfr., ex multis, Cass. n. 18702 del 2016; Cass. n. 18039 del 2012) alla stregua di tutti gli elementi a sua conoscenza»). Controparte_4 CP_1
Che  l’obbligo  di  valutazione  dell’adeguatezza  sia  stato  correttamente adempiuto  non  risulta  comprovato,  né  tanto  può  desumersi  dal  contenuto dell’ordine  d’acquisto  (doc.  3  fasc.  Intesa,  cit.),  nel  quale  le  dichi arazioni  al riguardo -così  come  le  altre  prestampate  sul  modulo  nella  medesima porzione che le contiene -non risultano barrate e tantomeno sottoscritte:
Deve dunque concludersi che l’intermediaria non abbia assolto ai doveri d’informazione su di essa g ravanti.
3. Passando all’esame della domanda risarcitoria avanzata dagli attori in riassunzione, non può condividersi l’assunto di , secondo cui essi non CP_1
avrebbero dimostrato il nesso eziologico tra inadempimento e danno, collegamento  la  cui  insussistenza  si  dovrebbe  «desumere  dalle  pregresse  e concomitanti scelte di investimento».
Al riguardo può agevolmente richiamarsi la copiosa e recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, «[i]n tema di intermediazione finanziaria, il riscontrato inadempimento della banca agli obblighi di adeguata informazione ingenera una presunzione legale di sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento e il danno patito dall’investitore suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; quest’ultima, tutta via, non può risolversi nella dimostrazione della generica propensione al rischio del cliente, desunta da scelte pregresse intrinsecamente rischiose , dovendo avere ad oggetto la sopravvenienza di fatti idonei a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria fra le parti» (Cass. n. 19322 del 2023, in massima; nello stesso senso, Cass. n. 12990 del 2023, n. 7288 del 2023 e n. 16126 del 2020, tutte in massima, quest’ultima relativa proprio ai bond ). Pt_3
L’inadempimento  agli  obblighi  informat ivi di  cui  si  è  in  precedenza discorso  giustifica,  alla  luce  del  citato  orientamento  giurisprudenziale,  la presunzione  di  sussistenza  del  nesso  causale,  non  vinta  dal  richiamo  alle pregresse o coeve operazioni d’investimento.
4. In ordine alla quantificazione del danno da risarcire, occorre muovere dalla somma -ammontante a euro 26.383,25 (doc. 1 fasc. -che  gli  odierni  attori  in  riassunzione  hanno  speso  per  l’investimento  in considerazione, rischio a cui presumibilmente, alla luce di quanto illustrato, non si sarebbero esposti ove debitamente informati. Controparte_4
Occorre  tuttavia  rammentare  come,  secondo  la  Corte  regolatrice,  «[l]a corretta  applicazione  del  criterio  generale  della  ‘compensatio  lucri  cum damno’ postula che, quando unico è il fatto i llecito generatore del lucro e del danno, nella  quantificazione  del  risarcimento  si  tenga  conto  anche  di  tutti  i vantaggi  nel  contempo  derivati  al  danneggiato , perché  il  risarcimento  è
finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui c ondotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva correttamente quantificato il danno, conseguente all’acquisto di obbligazioni argentine, in misura pari al capitale investito, sottraendo da tale importo il valore delle cedole riscosse ed il controvalore dei titoli concambiati, considerati un arricchimento derivante dal medesimo fatto illecito)» (Cass. n. 16088 del 2018, in massima ). Più in particolare, «ove l’intermediario sia condannato a risarcire il danno cagionato al cliente per avere dato corso a un ordine di acquisto di titoli ad alto rischio in violazione degli obblighi informativi su di lui gravanti, senza che sia pronunciata anche la risoluzione del contratto di negoziazione, si deve tenere conto che l’investitore resta in possesso dei titoli, sicché, in applicazione del criterio generale della ‘compensatio lucri cum damno’, dalla liquidazione va decurtato il valore residuo dei titoli acquistati -così come risultante dalle quotazioni ufficiali al momento della decisione -nonché l’ammontare delle cedole nel frattempo riscosse » (Cass. n. 17948 del 2020, in massima).
Nella fattispecie, in applicazione del citato criterio gene rale, dall’importo speso va senz’altro decurtato l’ammontare di euro 1.425,76, pari alla cedola riscossa il 20 febbraio 2002 (doc. 4 fasc. ). CP_1
Viceversa, non v’è prova che gli attori in riassunzione abbiano beneficiato o  anche  solo  potuto  beneficiare degli  indennizzi  pervisti  dall’art.  1,  comma 343,  della  legge  n.  266  del  2005  o  ai  sensi  dell’art.  8  del  d.lgs.  n.  179  del 2007.
Né risulta  se  i bond acquistati,  dopo  il default ,  abbiano  conservato  un residuo valore e a quanto esso ammonti.
Si  rammenta  che,  come  dalla  Suprema  Corte  evidenziato  fin  da  epoca risalente, «[i]l principio secondo il quale il risarcimento, mirando a ristabilire il patrimonio  del  danneggiato  nello  stato  in  cui  si  sarebbe  trovato  se  il  fatto
dannoso non fosse avvenuto, non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato stesso, onde se dal fatto dannoso sia derivato anche qualche vantaggio, questo deve essere valutato e sottratto all’ammontare della perdita, presuppone per la sua applicazione che il debitore abbia fornito la prova dell’assunto arricchimento dell’altra parte, e non si sia limitato ad indicare un possibile o anche probabile vantaggio » (Cass. n. 58 del 1962, in massima; principio coerentemente declinato nella successiva giurisprudenza di legittimità: a t itolo d’esempio, Cass. n. 77 del 2003 e Cass. n. 8853 del 2017, entrambe in massima).
Alla  stregua  delle  considerazioni  che  precedono,  il  danno  patito  dagli odierni attori in riassunzione va quantificato in euro 24.957,49 (26.383,25 1.425,76).
assume un concorso di colpa degli investitori nella causazione o nell’aggravamento  del  pregiudizio,  ma  non  indica  a  quale  condotta  intenda riferirsi, impedendo così di prenderla in considerazione onde valutarla sotto il profilo dedotto. CP_1
Quanto agli interessi  compensativi, ne  nega  la  spettanza,  sia  in quanto  non  domandati  sia  perché  non  cumulabili  con  la  rivalutazione monetaria. CP_1
La tesi non può essere accolta.
Premesso che nella giurisprudenza di legittimità non v’è unanimità di vedute in ordine alla necessità che gli interessi compensativi siano oggetto di domanda ( pro , Cass. n. 4938 del 2023, in massima; contra , Cass. n. 39376 del 2021, in massima), può agevolmente rilevarsi come gli attori ne avessero chiesto il riconoscimento fin dalla citazione introduttiva del giudizio di primo grado; il fatto che allora non ne avessero esplicitato la natura compensativa è irrilevante, considerato che la relativa richiesta è stata correlata alla domanda
risarcitoria ed essi sono, appunto, volti a compensare il debitore dalla perdita del lucro cessante.
Proprio in tema di investimenti finanziari, infatti, la Corte regolatrice ha affermato che, «[i]n tema di risarcimento del danno cagionato dall’intermediario per violazione dei doveri informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998, spettano al cliente danneggiato la rivalutazione monetaria del credito da danno emergente e gli interessi compensativi del lucro cessante, a decorrere dal giorno della sottoscrizione delle obbligazioni (giorno di verificazione dell’evento dann oso), poiché, in assenza di risoluzione del contratto, l’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito di valore, e non di valuta, tenendo luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli » (Cass. n. 26202 del 2022, in massima).
Più in particolare, nell’occasione la Suprema Corte ha evidenziato nella parte motivazionale della pronuncia che, «[i]n tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimità è […] costante nell’affermare che: a) l’obbligazione di risarcimento del danno per tale tipo di inadempimento costituisce, al pari dell’obbligazione ri sarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta nel periodo intercorso fra evento dannoso e liquidazione giudiziale del danno, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., detta norma attenendo alle conse guenze dannose dell’inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili
con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie (in questo senso, cfr.: Cass. n. 1627 del 2022; Cass. n. 7948 del 2020; Cass. n. 9517 del 2002; Cass. n. 11937 del 1997); b) al creditore in discorso spettano di diritto gli interessi aventi natura compensativa (cfr. Cass. n. 5584 del 1987; Cass. n. 2240 del 1985), secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa (cfr. Cass. 25817 del 2017), che si cumulano con la rivalutazione monetaria, assolvendo funzioni diverse la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata (Cass. n. 9517 del 2002), in quanto la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno e a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento (cfr. Cass. n. 11937 del 2002)».
Tali  affermazioni  hanno  poi  trovato  conferma  anche  nella  successiva giurisprudenza  di  legittimità  (Cass.  n.  35789  del  2022  e  n.  309  del  2024, entrambe in motivazione).
Dunque,  nessun  dubbio  sul  fatto  che  gli  interessi  compensativi  siano stati  tempestivamente  richiesti  e  che  siano  cumulabili  con  la  rivalutazione monetaria (a condizione che questa venga calcolata progressivamente, come di seguito precisato).
D’altra  parte,  considerata  la  propensione  all’investimento  finanziario manifestata  dagli  attori  quale  emerge  dalla  documentazione  in  atti  (doc.  2 fasc.  Intesa),  è  presumibile  che  essi  avrebbero  impiegato  analogamente  la somma  oggetto  di  risarcimento,  per  renderla  fruttifera,  onde  il  mancato guadagno derivato loro dal ritardato pagamento; ciò che giustifica il
riconoscimento  degli  interessi  compensativi  anche  a  prescindere  da  ogni automatismo.
Ne consegue che deve essere condannata a risarcire agli attori in riassunzione, in solido tra loro, la somma di euro 24.957,49, oltre rivalutazione e interessi compensativi in misura legale, da applicare sulla somma rivalutata anno per anno, con decorrenza dal 13 febbraio 2001 (data dell’investimento) al dì della presente sentenza ( ex aliis , Cass. n. 1627 del 2022, in massima); sull’importo così determinato spettano gli interessi legali dalla data della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo. NUMERO_DOCUMENTO1
5. Atteso che, «in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione -e, tuttavia, complessivamente soccombente -al rimborso delle stesse in favore della controparte» (Cass., sez. un., n. 32906 del 2022, in massima), nella fattispecie le spese di lite relative alla controversia complessivamente considerata vanno compensate in ragione della metà e poste a carico di in ragione del residuo ½, atteso che, all’esito complessivo del giudizio, le domande d’invalidità sono state rigettate, mentre è stata accolta quella subordinata di risarcimento del danno per inadempimento. CP_1
Alla  relativa  liquidazione  si  procede  in  dispositivo,  in  applicazione  dei parametri medi afferenti allo scaglione di riferimento (euro 26.001,00 -euro 52.000,00) -identificato  alla  stregua  della  somma  riconosciuta  a  titolo risarcitorio  (come  maggiorata  di  rivalutazione  e  interessi),  esclusa  la  fase
istruttoria/trattazione di fronte alla Corte d’appello, non  effettivamente tenutasi – secondo le tariffe  vigenti  all’epoca  della  presente  sentenza  (in  tal senso Cass. n. 19989 del 2021, in motivazione).
P.Q.M.
L’intestata Corte d’ appello, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa,  definitivamente  pronunciando  nel  giudizio  di  rinvio  a  seguito dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 35753 del 2023, così provvede:
1. condanna a pagare a e in solido tra loro, la somma  di  euro  24.957,49,  oltre rivalutazione e interessi, come in motivazione; Controparte_1 Parte_1 […] Pt_2
2. condanna a rifondere a e in solido tra loro, ½ delle spese processuali, compensata la residua metà, liquidate nel loro importo complessivo (ossia, ante compensazione) in euro 7.616,00 per il giudizio di primo grado, in euro 6.946,00 per quello d’appello, in euro 5.513,00 per quello di cassazione e in euro 6.946,00, oltre euro 264,00 per spese documentate, per quello di rinvio, oltre, per tutti i gradi e fasi di giudizio, rimborso forfettario e trattamento tributario e previdenziale di spettanza; spese da distrarsi a favore degli AVV_NOTAIO NOME e NOME COGNOME, dichiaratisi antistatari. Controparte_1 Parte_1 Parte_2
Così  deciso  nella  camera  di  consiglio  della  seconda  sezione  civile,  in  data 28 aprile 2025.
Il Consigliere relatore/estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME