Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4282 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4282 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27793/2020 proposto da:
NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOMEquali eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME rappres. e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrenti –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. NOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Bologna, n. 498/2020, pubblicata in data 4.02.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 16.12.2010 il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda dei coniugi COGNOME, dichiarava la nullità del contratto di gestione patrimoniale denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, da loro stipulato, in data 26.6.2000, con la Banca del Salento, per violazione dell’art. 30 TU B, osservando che: non era stata rispettata la prescrizione d ella suddetta norma, in ordine all’obbligo d’informazione preventiva tale da permettere l’acquisizione del consenso informato del cliente sull’esercizio del diritto di recesso, in quanto non era al riguardo efficace la dicitura contenuta a pag. 2 del regolamento contrattuale, in quanto scritta senza evidenza, e senza soluzione di continuità rispetto alle altre norme contrattuali, aventi identico carattere e formato, non distintamente approvata dall’investitore; parimenti, l’info rmativa sul diritto di recesso, contenuta nell’art. 3 del contratto, non era evidenziata in maniera distinta dalle altre disposizioni, e priva di chiarezza, suscettibile di confusione con la diversa prescrizione relativa al diritto di recesso spettante alle parti in conformità della disciplina del contratto; pertanto, era da escludere che l’investitore fosse stato raggiunto da un’informativa chiara e specifica in ordine all’efficacia del contratto e alla facoltà di recesso spettantegli; accertata la nullità, la banca convenuta era da condannare a restituire agli attori la somma di euro 36.803,01, rigettando la domanda risarcitoria.
Con sentenza del 4.2.2020 la Corte territoriale accoglieva l’appello della banca, e rigettava le domande degli attori, osservando che: il predetto art. 3 prevedeva solo l’indicazione dello jus poenitendi a favore del cliente, senza porre alcun obbligo d’evidenziazione grafica o di redazione; il contratto contemplava chiaramente dunque le informazioni relative all’efficacia del contratto stipulato al di fuori della sede bancaria e sul diritto di recesso esercitabile dopo la sottoscrizione
contrattuale; contrariamente a quanto rilevato dagli attori, il contratto non contempla va l’obbligo di rendimento positivo della gestione (o di protezione del capitale investito), e presentava un rischio estremamente elevato; con tale contratto la banca s’impegnava a gestire il portafoglio con l’utilizzo degli s trumenti indicati, tutti ad alto rischio, nella maniera più adeguata a soddisfare gli obiettivi d’investimento dei clienti i quali avevano dichiarato di avere un’alta propensione al rischio ed un’alt a esperienza finanziaria; né gli appellati potevano lamentare che la banca non avesse ridotto le perdite con l’impego di strumenti – specialmente quelli a copertura- atteso che il contratto non prevedeva che i derivati, se utilizzati, avessero tale finalità.
Inoltre, la Corte d’appello rilevava che il c.t.u. aveva accertato che: la banca aveva realizzato un’allocazione di portafoglio sostanzialmente bilanciata tra azioni ed obbligazioni, in conformità del contratto di gestione; dal terzo trimestre 2000 al secondo trimestre 2001 il portafoglio era investito in strumenti derivati per percentuali mai superiori all’1%; i rendimenti della gestione risultavano superiori alla variazione del parametro di riferimento; la gestione risultava uniformata alla diligenza qualificata, tenuto conto del patrimonio degli attori e del loro profilo d’investitori, con osservanza del mandato conferito; non era possibile stabilire se, con una quota maggiore di derivati, i rendimenti della gestione sarebbero stati migliori e, comunque, l’utilizzo dei derivati non avrebbe comunque reso il patrimonio immune da perdite; mancava la prova del nesso causale tra l’inadempimento e le perdite registrate, in quanto gli attori lamentavano il mancato utilizzo dei derivati che, invece, avrebbero messo a rischio la restituzione del capitale più di ogni altro strumento finanziario.
Infine, la Corte d’appello osservava che non era fondata la doglianza relativa alla mancata comunicazione ai clienti, nel terzo e quarto trimestre 2002, delle perdite superiori al 30%, in quanto nei trimestri successivi, come desumibile dalla c.t.u., le perdite si erano ridotte al di sotto del 30%.
NOME e NOME COGNOME quali eredi dei due attori nelle more deceduti, ricorrono in cassazione con otto motivi, illustrati da memoria. Banca MPS resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 30, c. 6 e 7, Tub, 21, c. 1, lett. a), b), d) e) , per aver la Corte d’appello ritenuto che il citato art. 30 richieda all’intermediario solo l’indicazione della clausola relativa allo jus poenitendi , senza un’esposizione letterale e grafica idonea ad evidenziare al cliente, con trasparenza ed immediatezza, la facoltà di recedere dal contratto.
Il secondo motivo denunzia violazione delle stesse norme di cui sopra, artt. 6 e 7, Tub, 21, c. 1, lett . a), b), d) e), per aver la Corte d’appello ritenuto che il citato art. 30 richieda all’intermediario solo l’indicazione della clausola relativa alla sospensione dell’efficacia del contratto, in quanto concluso fuori sede, senza un’esposizione letterale e grafica idonea ad evidenziare al cliente, con trasparenza ed immediatezza, la suddetta facoltà.
Il terzo motivo denunzia violazione delle medesime norme di cui ai precedenti motivi, per non aver la Corte d’appello affermato che l’avviso dello jus poenitendi debba essere personalmente sottoscritto dall’investitore o distintamente approvato nel caso in cui, come nella specie, esso sia riportato nel contratto di gestione individuale di portafogli, ed inserito in una sezione del testo insieme ad altre clausole.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’a rt. 115 c.p.c., per aver la Corte d’appello omesso di considerare un fatto pacifico tra le parti, ovvero che la banca abbia deciso successivamente alla stipula del contratto di gestire il portafoglio degli attori in difformità dai criteri dettati dal TUF e dal Reg. Consob 11522/1998.
Il quinto motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver la Corte territoriale vagliato la specifica contestazione inerente alla intervenuta modifica unilaterale della linea di gestione in questione, attuata dalla banca in violazione di varie norme del Tuf e Reg. Consob. Il sesto motivo denunzia violazione delle citate norme del Tuf e Reg. Consob, per aver la Corte d’appello ritenuto corretta la condotta della banca.
Il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 1711 c.c. e varie norme del Tuf e Reg. Consob, per aver la Corte territoriale affermato l’inapplicabilità del predetto art. 1711 c.c., non ricorrendone i presupposti, e per aver escluso i danni dall’accertato inadempimento della banca, per variazione non comunicata della linea di gestione, sebbene fosse da presumere il nesso di causalità, escluso invece dalla sentenza impugnata pur senza la prova contraria.
L’ottavo motivo denunzia violazione dell’art. 28 c.4, Reg. Co nsob 11522/1998, per aver la Corte d’appello ritenuto insussistente l’obbligo della banca di comunicare ai clienti le perdite eccedenti il 30%.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati.
La sentenza impugnata ha fatto ricorso a due distinti ordini di considerazioni, avendo rilevato per un verso che l’art. 30 del d.lgs. n. 58 del 1998 non impone alcun obbligo di evidenziazione grafica o una particolare forma redazionale della relativa clausola, e per altro verso che quest’ultima risultava formulata in modo chiaro e trasparente, in
quanto riportata, in caratteri uguali a quelli delle altre clausole, sia nel testo contrattuale che nelle premesse del contratto, dove era indicata distintamente. Tale ragionamento trova conferma, sotto il primo profilo, nella lettera dell’art. 30, comma sesto, del d.lgs. n. 58 del 1998, il quale, nel disciplinare l’offerta fuori sede di strumenti e prodotti finanziari e servizi d’investimento, prevede espressamente l’indicazione, nei moduli o formulari consegnati all’investitore, della facoltà, riconosciuta a quest’ultimo, di recedere dal contratto nel termine di sette giorni dalla data di sottoscrizione, durante il quale l’efficacia del contratto rimane sospesa, senza tuttavia imporre, ai fini della compilazione della relativa clausola, l’adozione di modalità redazionali idonee a conferire al testo una particolare evidenza grafica o comunque a distinguerlo da quello delle altre clausole, in modo tale da richiamare su di esso l’attenzione dell’investitore, al momento della sottoscrizione del contratto. La prescrizione di un siffatto onere formale non emerge neppure dall’art. 36 del regolamento Consob n. 11522 del 1° luglio 1998, recante la disciplina degli obblighi relativi all’attività di offerta fuori sede, il quale, al comma primo, lett. c), si limita ad imporre al promotore finanziario d’illustrare all’investitore la predetta facoltà, prima della sottoscrizione del documento di acquisto o sottoscrizione degli strumenti finanziari e degli altri prodotti finanziari ovvero dei documenti contrattuali per la fornitura dei servizi di investimento, in tal modo investendolo del compito di rendere il cliente pienamente consapevole della possibilità di recedere dal contratto e delle modalità e dei termini previsti per l’esercizio di tale diritto.
La Corte territoriale ha correttamente, in proposito, posto in rilevo la differente formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 50 del 1992, relativo ai contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali, il quale impone all’operatore commerciale d’informare per iscritto il consumatore del
diritto di recesso attribuitogli dall’art. 4 del medesimo decreto, nonché delle condizioni, delle modalità e dei termini previsti per il suo esercizio, individuando puntualmente la sede in cui dev’essere adempiuto l’obbligo informativo, e prescrivendo, a tal fine, un’indicazione separata dalle altre clausole contrattuali e l’utilizzazione di caratteri tipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento. Tali specifiche modalità redazionali non sono riferibili all’offerta fuori sede di strumenti e prodotti finanziari e servizi d’investimento, sia in virtù del carattere eccezionale delle norme che sottopongono determinati contratti o atti a particolari oneri formali, le quali, derogando al principio generale della libertà delle forme, devono considerarsi di stretta interpretazione, e quindi insuscettibili di applicazione analogica (cfr. Cass., Sez. Un., 22/03/ 1995, n. 3318; Cass., Sez. lav., 10/11/1997, n. 11111; 3/03/1994, n. 2088), sia per effetto dell’inapplicabilità del decreto ai contratti relativi ai valori mobiliari, espressamente prevista dall’art. 3, comma primo, lett. d). Tale inapplicabilità è stata ribadita dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante il c.d. codice del consumo, il quale ha per un verso introdotto modalità ancor più rigorose per la formulazione dell’informativa, predisponendo un apposito modello e dettando istruzioni tipo per la sua compilazione, e per altro verso confermato che i contratti relativi ai servizi finanziari restano sottratti all’operatività delle disposizioni contenute nelle Sezioni I-IV del Capo I, Titolo III, Parte III, ivi compresi, quindi, gli artt. 49 e ss., recanti la disciplina dei requisiti formali del contratto e del diritto di recesso.
Giova altresì rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il diritto di recesso accordato all’investitore dall’art. 30, comma 6, del T.U.F. e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo comma 7,
trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ivi compresa l’effettuazione di ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, ove ricorra la stessa esigenza di tutela (cfr. Cass. n. 25996 del 2018; Cass. n. 3644 del 2018; Cass. n. 9134 del 2016; Cass. n. 1368 del 2016; Cass. n. 7776 del 2014).
Orbene, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, nella sentenza n. 13905 del 2013, in risposta ad una obiezione di una parte secondo cui la previsione della facoltà di recesso dovrebbe essere inclusa nel contratto relativo al servizio generale di investimento e non nei singoli contratti o ordini di acquisto, ebbero a precisare, in senso contrario, che la disciplina del recesso di cui si sta parlando non può che riguardare i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l’investitore si trovi a sottoscrivere uno strumento offertogli dall’intermediario fuori sede, e non la stipulazione del cd. contratto quadro che, di per sé, non implica l’acquisto di strumenti finanziari ed è perciò sicuramente estranea alla nozione di “collocamento”, sia pur latamente intesa (Cass., n. 22221/23).
In definitiva, nella specie, la doglianza afferente alla mancata evidenza grafica e letterale della clausola relativa alla sospensione dell’efficacia dello strumento finanziario, in caso di stipula fuori sede, e al diritto di recesso, è infondata in quanto la legge non richiede nessuna forma particolare di tale clausola, né esigenze di sottoscrizione ‘rafforzata’, attraverso clausole distinte dalle altre.
Ciò che è necessario è la sola inclusione nel contratto di una clausola chiara e agevolmente comprensibile, che nella fattispecie sussiste (non avendo i ricorrenti neppure contestato tale profilo).
Il terzo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha richiamato il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’art. 1341, secondo comma, cod. civ., nell’includere tra le clausole contrattuali per la cui efficacia è richiesta la specifica approvazione scritta del contraente quelle che prevedono la facoltà di recedere dal contratto, si riferisce alle clausole che riconoscono tale facoltà esclusivamente a colui che le abbia predisposte, e non è pertanto applicabile al caso in cui la clausola abbia carattere bilaterale, accordando la medesima facoltà ad entrambi i contraenti, né al caso in cui il recesso sia consentito alla parte diversa da quella che ha unilateralmente predisposto il testo negoziale.
Al riguardo, nessun rilievo può assumere, in contrario, la mera posizione di debolezza contrattuale della parte cui è riconosciuto il diritto di recesso, dal momento che, affinché una clausola possa considerarsi vessatoria, è necessario che la stessa comporti un significativo squilibrio in favore dell’altra parte dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in tal modo determinando un’alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass., Sez. lav., 22/03/2006, n. 6314; 22/01/1991, n. 544; Cass., Sez. III, 14/07/1986, n. 4540).
Il quarto, quinto e sesto motivo, esaminabili congiuntamente in quanto aventi ad oggetto l’accertamento della responsabilità della Banca, sono inammissibili.
Invero, le doglianze non colgono la ratio decidendi, in quanto pur avendo escluso la configurabilità di una violazione dell’art. 1711 cod. civ., la sentenza impugnata ha richiamato la valutazione espressa dal c.t.u., secondo cui la banca non aveva rispettato pienamente il
mandato conferitole dai ricorrenti, avendo progressivamente adottato come riferimento un benchmark inadeguato al profilo di rischio/rendimento della linea di gestione concordata, ed ha pertanto concluso per la sussistenza di un inadempimento della mandataria, consistente nell’aver adottato scelte d’investimento non del tutto in linea con quelle previste dal contratto, senza informare i clienti, escludendone però la portata eziologica.
Il settimo motivo è parzialmente fondato. La Corte territoriale ha correttamente escluso che la mera modificazione della strategia d’investimento concordata con il contratto di gestione fosse riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 1711 cod. civ., per la cui configurabilità non è sufficiente che, nell’esecuzione dell’incarico ricevuto, il mandatario si sia discostato dalle istruzioni impartitegli dal mandante, ma è necessario che egli abbia perseguito uno scopo diverso da quello prefissosi dal mandante, e con esso incompatibile (cfr. Cass., Sez. I, 8/02/1968, n. 417). La discrezionalità di cui l’intermediario gode nel compimento delle singole scelte d’investimento esclude d’altronde la possibilità di ritenere il predetto comportamento contrario all’espressa volontà dello investitore, a meno che quest’ultimo non abbia impartito specifiche istruzioni in ordine all’impiego totale o parziale del capitale investito (cfr. Cass., Sez. III, 28/11/1981, n. 6353; 12/01/1978, n. 142).
La sentenza impugnata non è invece condivisibile nella parte in cui, pur avendo ritenuto sussistente un inadempimento della banca, per violazione dell’obbligo d’informazione su di essa gravante in ordine all’avvenuta modificazione della strategia d’investimento, ha escluso la configurabilità del nesso causale tra il predetto comportamento ed il pregiudizio riportato dai ricorrenti, in virtù della mera affermazione, ripresa dalla relazione del c.t.u., secondo cui, sulla base delle indagini
effettuate, non era possibile stabilire se le perdite fatte registrare dalla gestione patrimoniale fossero riconducibili alle scelte di investimento concretamente compiute dalla Banca.
Invero, l’art. 23, comma sesto, del d.lgs. n. 58 del 1998, disponendo che « nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta », ha infatti introdotto una presunzione legale di sussistenza del nesso causale, ricollegabile all’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, per effetto della quale l’intervenuto accertamento dell’inosservanza dei predetti obblighi dispensa l’investitore dalla prova della riconducibilità del danno subìto al comportamento dell’intermediario, ponendo a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare di non aver potuto evitare il danno, nonostante l’uso della specifica diligenza richiesta (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/2021, n. 33596; 28/07/2020, n. 16126; 17/04/2020, n. 7905).
Ciò che risulta violata è pertanto la regola di riparto dell’onere probatorio.
Infine, va accolto anche l’ottavo motivo che prospetta la violazione del l’art. 28, comma 4, reg. Consob a tenore del quale, nel caso di perdite superiori al 30% l’intermediario deve ‘prontamente’ informare l’investitore; la Corte d’appello ha ritenuto che l’andamento negativo si era poi ridotto, rigettando il motivo di appello; in realtà, l’andamento successivo dell’investimento non rileva ai fini dell’inadempimento dell’obbligo comunque consumato si, e le vicende successive possono rilevare solo al livello risarcitorio, ma non al livello del perfezionamento della fattispecie d’inadempimento ad un obbligo evidentemente previsto per consentire all’investitore di fare le sue valutazioni .
La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento parziale del settimo motivo, e dell’ottavo motivo, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q,M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, dichiara inammissibili il quarto, quinto e sesto, accoglie parzialmente il settimo motivo, e l’ottavo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte;
rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso nella camera di consiglio del 23 gennaio 2025.