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Obblighi informativi banca: la prova è a suo carico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4282/2025, ha stabilito principi cruciali sugli obblighi informativi degli intermediari finanziari. Se la banca non comunica al cliente un cambio di strategia di investimento o perdite superiori al 30%, si presume un nesso causale con il danno subito. Spetta quindi alla banca, e non al cliente, provare di aver agito con la massima diligenza per evitare il pregiudizio. La Corte ha cassato la precedente sentenza d’appello, che aveva erroneamente addossato l’onere della prova ai risparmiatori.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Obblighi Informativi della Banca: la Cassazione Inverte l’Onere della Prova

Negli investimenti finanziari, la trasparenza è tutto. Un’informazione mancata o tardiva può costare cara ai risparmiatori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha rafforzato la tutela degli investitori, chiarendo che in caso di violazione degli obblighi informativi, spetta alla banca dimostrare che il danno non è colpa sua. Analizziamo questa importante decisione che sposta l’equilibrio a favore del cliente.

I Fatti di Causa

La vicenda nasce da un contratto di gestione patrimoniale ad alto rischio stipulato nel 2000 da una coppia di coniugi con un istituto di credito. Anni dopo, gli eredi dei risparmiatori agivano in giudizio, lamentando la nullità del contratto per la violazione delle norme sulla trasparenza, in particolare riguardo al diritto di recesso per i contratti conclusi fuori sede.

Il Tribunale, in primo grado, dava ragione agli eredi, dichiarando nullo il contratto. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, accogliendo il ricorso della banca e rigettando le domande dei risparmiatori. Secondo i giudici di secondo grado, la legge non imponeva formalità grafiche particolari per la clausola sul diritto di recesso e la condotta della banca nella gestione del portafoglio era stata corretta. Gli eredi, non soddisfatti, proponevano ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e gli Obblighi Informativi

La Suprema Corte ha esaminato i vari motivi di ricorso, arrivando a una decisione che distingue nettamente tra formalità del contratto e doveri sostanziali di informazione durante il rapporto. Se da un lato ha confermato la validità formale del contratto, dall’altro ha pesantemente censurato la condotta della banca nella gestione successiva, accogliendo due motivi di ricorso cruciali.

Diritto di Recesso: Chiarezza Batte Evidenza Grafica

La Corte ha respinto i motivi relativi alla presunta nullità del contratto per come era stata inserita la clausola sul diritto di recesso (jus poenitendi). I giudici hanno chiarito che la normativa dell’epoca (il Testo Unico della Finanza, D.Lgs. 58/1998) richiedeva solo che la facoltà di recesso fosse indicata nel contratto in modo chiaro e comprensibile, senza imporre specifiche evidenziazioni grafiche o firme separate, a differenza di altre normative a tutela del consumatore non applicabili al caso specifico.

L’Inversione dell’Onere della Prova per Violazione degli Obblighi Informativi

Il punto cardine della sentenza riguarda la violazione degli obblighi informativi durante l’esecuzione del contratto. I ricorrenti lamentavano che la banca avesse modificato la strategia di investimento senza informarli. La Corte d’Appello aveva ritenuto che, pur essendoci stata una violazione, i clienti non avessero provato il nesso causale tra questa mancanza e le perdite subite.

La Cassazione ha smontato questa tesi, richiamando l’art. 23 del Testo Unico della Finanza. Questa norma introduce una presunzione legale: una volta accertata la violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, si presume che questa violazione abbia causato il danno. Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: non è più il cliente a dover dimostrare il nesso di causalità, ma è la banca a dover provare di aver agito con la massima diligenza e che il danno si sarebbe verificato comunque.

L’Obbligo di Comunicare le Perdite Rilevanti

Infine, la Corte ha accolto il motivo relativo alla mancata comunicazione di perdite superiori al 30%, come previsto dal regolamento Consob. La Corte d’Appello aveva rigettato la doglianza sostenendo che le perdite si erano successivamente ridotte. La Cassazione ha stabilito un principio netto: l’obbligo di informazione scatta nel momento in cui la perdita supera la soglia, e la violazione si consuma se la comunicazione non avviene ‘prontamente’. Il fatto che l’investimento possa poi recuperare è irrilevante ai fini dell’inadempimento, poiché l’informazione tempestiva è essenziale per permettere all’investitore di prendere decisioni consapevoli.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base della speciale protezione che l’ordinamento accorda all’investitore. Il legislatore, consapevole dell’asimmetria informativa tra banca e cliente, ha introdotto con l’art. 23 del TUF un regime probatorio di favore per il risparmiatore. Ritenere che il cliente debba provare il nesso causale tra la mancata informazione e il danno svuoterebbe di significato la norma. La presunzione legale serve proprio a riequilibrare le posizioni, costringendo l’intermediario, che è il professionista del settore, a una condotta improntata alla massima trasparenza e diligenza. Per quanto riguarda l’obbligo di reportistica sulle perdite, la Corte ha sottolineato la sua finalità protettiva: l’investitore deve essere messo in condizione di valutare se disinvestire, modificare la strategia o attendere, e può farlo solo se riceve le informazioni cruciali in tempo reale.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un’importante vittoria per i diritti dei risparmiatori. Stabilisce chiaramente che gli obblighi informativi non sono mere formalità, ma doveri sostanziali la cui violazione ha conseguenze processuali molto gravi per l’intermediario. La banca non può nascondersi dietro la difficoltà per il cliente di provare il nesso di causalità. Se viene meno al suo dovere di trasparenza, si presume la sua responsabilità, e dovrà essere lei a fornire la prova contraria, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Una lezione di chiarezza che rafforza la fiducia nel mercato finanziario.

La clausola sul diritto di recesso in un contratto di investimento deve avere una forma grafica particolare o una firma separata per essere valida?
No. Secondo la Corte, basandosi sulla normativa applicabile al momento dei fatti (D.Lgs. 58/1998), non è richiesta una specifica evidenziazione grafica o una sottoscrizione separata. È sufficiente che la clausola sia formulata in modo chiaro e comprensibile per l’investitore.

Se la banca viola i suoi obblighi informativi, chi deve provare il collegamento tra questa violazione e il danno economico subito dal cliente?
È la banca a doverlo provare. La legge (art. 23, comma 6, D.Lgs. 58/1998) stabilisce una presunzione legale secondo cui il danno è conseguenza della violazione. Spetta quindi all’intermediario finanziario dimostrare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e di non aver potuto evitare il danno, invertendo così il tradizionale onere della prova.

Se un investimento subisce una perdita superiore al 30% e poi recupera, la banca è comunque responsabile se non ha comunicato la perdita iniziale?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di informare prontamente il cliente scatta nel momento in cui la perdita supera la soglia stabilita. L’inadempimento si perfeziona con la mancata comunicazione. L’eventuale andamento successivo dell’investimento è irrilevante ai fini della violazione dell’obbligo, poiché priva l’investitore della possibilità di effettuare le proprie valutazioni al momento opportuno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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