LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Obblighi informativi banca: la firma non basta

Una coppia di risparmiatori ha acquistato dei titoli finanziari rischiosi. Pur essendo stati avvertiti dalla banca dell’inadeguatezza dell’operazione, hanno deciso di procedere firmando un ordine scritto. A seguito della perdita dell’investimento, hanno citato in giudizio l’istituto di credito. La Corte di Cassazione ha rigettato il loro ricorso, chiarendo che la firma del cliente, dopo aver ricevuto un’avvertenza, crea una forte presunzione che gli obblighi informativi della banca siano stati adempiuti. Il ricorso è stato giudicato inammissibile in quanto mirava a una nuova valutazione dei fatti, già accertati dalla Corte d’Appello.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obblighi informativi della banca: cosa succede se il cliente firma lo stesso?

Quando un cliente decide di procedere con un investimento finanziario nonostante l’esplicito parere contrario della banca, di chi è la responsabilità in caso di perdite? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta questo tema cruciale, delineando il delicato equilibrio tra gli obblighi informativi dell’intermediario e la volontà dell’investitore. Il caso in esame riguarda l’acquisto di noti titoli obbligazionari, poi risultati in un fallimento, e chiarisce il valore probatorio della firma del cliente su un ordine di acquisto per un’operazione giudicata ‘inadeguata’.

I Fatti: L’Acquisto dei Titoli e la Causa contro la Banca

Due coniugi acquistavano, nel giugno 2003, titoli obbligazionari di una grande società agroalimentare per un importo considerevole. L’ordine di acquisto, eseguito in contropartita diretta e fuori dai mercati regolamentati, conteneva una clausola con cui i clienti dichiaravano di essere stati informati sulla non adeguatezza dell’operazione per i loro obiettivi, esperienza e propensione al rischio, e di voler comunque procedere.

A seguito del noto crack finanziario della società emittente, i risparmiatori perdevano l’intero capitale e citavano in giudizio la banca, lamentando la violazione di numerosi obblighi informativi. Sostenevano di non aver ricevuto adeguate informazioni sulla rischiosità e la natura dei titoli, che erano privi di rating e non quotati, e che l’istituto non aveva adempiuto ai suoi doveri di diligenza e correttezza.

La Decisione della Corte d’Appello a Favore dell’Istituto di Credito

Mentre il Tribunale di primo grado aveva dato ragione ai clienti, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, accogliendo il ricorso della banca. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’istituto di credito avesse fornito le informazioni necessarie. In particolare, la Corte ha valorizzato la missiva firmata da uno dei coniugi (e mai disconosciuta dall’altro), la quale attestava la ricezione della nota informativa e la consapevolezza della natura rischiosa e inadeguata dell’operazione. Inoltre, la Corte ha tenuto conto della testimonianza del direttore della filiale, il quale aveva confermato di aver illustrato i rischi, tentato di scoraggiare l’acquisto e di aver ottenuto l’insistenza del cliente, attratto dall’alto rendimento.

Gli obblighi informativi e l’onere della prova: la decisione della Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha dichiarato i motivi di ricorso dei risparmiatori inammissibili. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi fondamentali che regolano gli obblighi informativi e la ripartizione dell’onere della prova nelle controversie in materia di intermediazione finanziaria.

La legge impone alla banca un dovere di diligenza qualificata, che si traduce nell’obbligo di fornire al cliente informazioni specifiche, chiare e complete sulla natura, i rischi e le implicazioni di ogni operazione. Parallelamente, la banca deve acquisire informazioni dal cliente per valutarne il profilo di rischio e l’adeguatezza delle operazioni proposte.

Il punto cruciale della decisione riguarda l’articolo 29 del Regolamento Consob. Questa norma prevede che, se un cliente intende procedere con un’operazione che l’intermediario ha segnalato come inadeguata, deve impartire un ordine scritto. Secondo la Cassazione, la sottoscrizione di tale ordine da parte del cliente crea una presunzione che l’intermediario abbia assolto ai suoi doveri informativi.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che questa presunzione non è assoluta, ma ‘iuris tantum’ (ovvero, ammette prova contraria). L’investitore può ancora vincere la causa, ma non può più limitarsi a lamentare una generica carenza informativa. Egli ha l’onere di allegare e dimostrare quali specifiche e rilevanti informazioni siano state omesse dalla banca; informazioni che, se conosciute, lo avrebbero indotto a non compiere l’operazione.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che i ricorrenti non avessero superato questa soglia. Le loro censure si traducevano, in realtà, in una richiesta di riesaminare i fatti e le prove, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte d’Appello, con un giudizio di merito basato sull’analisi dei documenti (l’ordine firmato) e delle testimonianze, aveva concluso, con una motivazione ritenuta adeguata, che la banca aveva avvertito i clienti del rischio e che questi ultimi avevano consapevolmente insistito per l’acquisto. Questa ricostruzione fattuale non poteva essere messa in discussione davanti alla Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione per gli investitori. Firmare una dichiarazione in cui si attesta di essere stati informati dell’inadeguatezza di un’operazione e di voler procedere comunque ha un peso legale determinante. Tale firma non costituisce una ‘liberatoria’ totale per la banca, ma inverte sostanzialmente l’onere della prova. L’investitore che si pente della sua scelta si troverà di fronte a un percorso giudiziario in salita: dovrà provare in modo puntuale quali informazioni essenziali e decisive gli sono state nascoste. Non sarà più sufficiente affermare di non aver capito o di non essere stato informato a sufficienza. La consapevole assunzione di un rischio, formalizzata per iscritto, viene tutelata dall’ordinamento, responsabilizzando l’investitore sulle proprie scelte.

La firma del cliente su un ordine di investimento, nonostante la banca lo abbia sconsigliato, esonera completamente la banca dai suoi obblighi informativi?
No, non la esonera completamente. Tuttavia, la sottoscrizione da parte del cliente di una clausola che segnala l’inadeguatezza dell’operazione crea una presunzione legale che l’obbligo informativo sia stato assolto. Questa presunzione può essere superata, ma l’onere di provare il contrario grava sul cliente.

Cosa deve dimostrare un investitore per vincere una causa contro la banca, anche se ha firmato un ordine per un’operazione inadeguata?
L’investitore non può più limitarsi a contestare genericamente la violazione degli obblighi informativi. Deve allegare in modo specifico quali informazioni cruciali e rilevanti gli sono state omesse. Deve dimostrare che, se avesse ricevuto quelle specifiche informazioni, avrebbe cambiato la sua decisione di investire.

Può la moglie essere vincolata da un ordine di investimento firmato solo dal marito?
Sì, secondo la valutazione della Corte d’appello nel caso specifico. La Corte ha ritenuto che il marito agisse ‘anche per conto’ della moglie, e che l’operato del primo non era ‘mai stato disconosciuto dalla seconda’. Questa valutazione fattuale, basata sull’esame delle prove, non è stata ritenuta sindacabile in sede di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati