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Obblighi informativi banca: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso degli eredi di un’investitrice che avevano citato in giudizio una banca per le perdite subite su obbligazioni rischiose. L’investitrice si era rifiutata di fornire informazioni sulla propria situazione finanziaria. La Corte d’Appello aveva respinto la domanda, ritenendo che la propensione al rischio fosse desumibile da investimenti passati. La Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che gli obblighi informativi della banca non vengono meno e che una generica propensione al rischio non è sufficiente a provare che l’investitore avrebbe comunque compiuto l’operazione se fosse stato adeguatamente informato. Si presume quindi un nesso di causalità tra la carenza informativa e il danno, con onere della prova a carico della banca.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obblighi informativi della banca: la Cassazione fissa i paletti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con forza i principi che governano gli obblighi informativi della banca nei confronti degli investitori, anche in scenari complessi come il rifiuto del cliente di fornire informazioni sulla propria situazione finanziaria. La decisione analizza il delicato equilibrio tra l’autodeterminazione del risparmiatore e il dovere di protezione che la legge impone agli intermediari finanziari, offrendo chiarimenti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova in caso di contenzioso.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento avanzata dagli eredi di un’investitrice nei confronti di un istituto di credito. La loro dante causa aveva acquistato nel 2001 delle obbligazioni ad alto rischio che, successivamente, non erano state rimborsate, causando una perdita economica significativa. Inizialmente, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le pretese risarcitorie.

La difesa della banca si fondava su due argomenti principali. In primo luogo, l’investitrice, al momento della stipula del contratto quadro, aveva espressamente rifiutato di fornire le informazioni necessarie a delinearne il profilo di rischio. In secondo luogo, secondo la Corte d’Appello, la sua pregressa operatività finanziaria, che includeva l’acquisto di titoli azionari e obbligazioni a rendimento elevato, dimostrava una “maturata maggiore propensione verso titoli a reddito fisso” rischiosi. Di conseguenza, i giudici di merito avevano concluso che, anche se fosse stata informata in modo più dettagliato dei rischi specifici, l’investitrice avrebbe comunque proceduto all’acquisto.

La Decisione della Cassazione e gli Obblighi Informativi

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, accogliendo le doglianze dei ricorrenti e delineando un quadro giuridico molto chiaro. I giudici supremi hanno stabilito che il ragionamento della Corte territoriale era errato, in quanto basato su una scorretta applicazione delle norme che regolano la prestazione dei servizi di investimento.

Il rifiuto del cliente di fornire informazioni per la profilatura non esonera l’intermediario dai suoi doveri. Anzi, in una situazione del genere, la banca non può semplicemente desumere un profilo di rischio da operazioni passate. Al contrario, avrebbe dovuto “presumere una propensione al rischio minima o ridotta” e, in ogni caso, adempiere con ancora maggior scrupolo al suo dovere di informare attivamente il cliente sulla natura, le caratteristiche e la rischiosità specifica del prodotto finanziario proposto.

Il Nesso di Causalità e l’Onere della Prova

Il punto cruciale della decisione riguarda il nesso di causalità. La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte, stabilisce una presunzione legale: si presume che la violazione degli obblighi informativi della banca sia la causa del danno subito dall’investitore. In altre parole, si parte dal presupposto che un cliente correttamente informato non avrebbe corso quel rischio.

Spetta quindi all’intermediario fornire la prova contraria. Tuttavia, e questo è il passaggio fondamentale, tale prova non può consistere nella semplice dimostrazione di una “generica propensione al rischio” del cliente, desunta da scelte di investimento passate. Dimostrare che un investitore ha già acquistato prodotti rischiosi in passato non è sufficiente a provare che avrebbe accettato anche il rischio specifico dell’operazione contestata, se ne avesse compreso appieno le implicazioni.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano sul principio di riequilibrio dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto tra banca e cliente. L’obbligo di informazione non è un mero adempimento formale, ma uno strumento sostanziale per consentire al risparmiatore una scelta “realmente consapevole”.

La Corte ha criticato il “ragionamento probatorio controfattuale” della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva concluso che l’investitrice avrebbe agito allo stesso modo anche con informazioni complete, basandosi però su elementi – le scelte pregresse – considerati “neutri, o comunque insufficienti”. Un’operatività passata in strumenti rischiosi dimostra solo una generica disponibilità ad accollarsi margini di rischio, ma non dice nulla sulla volontà di accettare i rischi specifici di un nuovo e diverso prodotto finanziario. Per vincere la presunzione di causalità, la banca deve dimostrare, con fatti concreti e specifici, che il cliente avrebbe comunque effettuato quell’investimento, anche se pienamente consapevole dei pericoli.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza in modo significativo la tutela degli investitori. Le conclusioni pratiche sono importanti:

1. Il rifiuto di profilatura non è una liberatoria per la banca: L’intermediario non può usare il silenzio del cliente come scudo. Al contrario, deve agire con maggiore cautela, fornendo informazioni ancora più chiare e complete.
2. La storia degli investimenti non basta: Una pregressa operatività rischiosa non è sufficiente a sollevare la banca dalla responsabilità per carenza informativa. Ogni operazione è a sé stante e richiede un’informativa specifica.
3. Presunzione di causalità: In caso di violazione degli obblighi informativi, il danno si presume causato da tale inadempimento. È l’intermediario a dover provare, con elementi specifici e non generici, che la sua omissione non ha avuto alcun ruolo nella decisione del cliente.

Se un cliente si rifiuta di fornire informazioni sulla sua propensione al rischio, la banca è esonerata dai suoi obblighi informativi?
No. Secondo la sentenza, il rifiuto del cliente non esonera l’intermediario dall’obbligo di verificare l’adeguatezza dell’operazione e, soprattutto, di fornire una completa e adeguata informativa sui rischi specifici del prodotto finanziario.

La precedente esperienza di un investitore in operazioni rischiose è sufficiente a dimostrare che avrebbe comunque effettuato l’investimento anche se fosse stato adeguatamente informato dei rischi?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prova di una generica propensione al rischio, desunta da scelte di investimento passate, non è sufficiente a superare la presunzione che il danno sia stato causato dalla mancata informazione. La banca deve fornire una prova più specifica e concreta.

Su chi ricade l’onere di provare il nesso di causalità tra la mancata informazione da parte della banca e il danno subito dall’investitore?
La sentenza ribadisce che vige una presunzione legale di sussistenza del nesso causale. Di conseguenza, è l’intermediario finanziario (la banca) a dover provare che il danno non è stato causato dal suo inadempimento informativo, dimostrando che il cliente avrebbe compiuto la stessa scelta anche se fosse stato pienamente e correttamente informato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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