Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6666 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6666 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO -ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO -controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 3786/2020 depositata il 6.11.2020, notificata il 25.11.2020.
Oggetto: bancari informativi
Contratti obblighi
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-Con atto di citazione notificato il 23/4/2003, il sig. NOME COGNOME assumeva: l) di aver intrattenuto con la Credito Italiano S.p.A. (poi, UniCredit Banca S.p.A.), Agenzia di Avellino, due rapporti di conto corrente bancario rispettivamente n.NUMERO_DOCUMENTO e n.NUMERO_DOCUMENTO, nonché un rapporto di deposito a custodia di titoli, tutti finalizzati ad operazioni di investimento sul mercato mobiliare ed in particolare a quello di borsa; Il) che a garanzia della esposizione di € 80.050,82 (£.l55.000.000) emergente d al secondo c/c, in data 5/1/1999 aveva costituito in pegno a favore della Credito Italiano S.p.A. n. 55.275 azioni Finmeccanica e che, successivamente, la banca, a seguito di richiesta del correntista e sempre sul c/c n.136900, aveva ampliato l’affidamento bancario fino a € 309.874,14 (£ 660.000.000)garantito, nella percentuale del 65%, da n.13.600 azioni Sonera, n.1.560 azioni Tiscali, e n. 275 azioni Finmeccanica il cui controvalore era maggiore all’importo detto, tanto da raggiungere oltre € 619.748,28; 1/J} che a garanzia delle dette esposizioni, venivano costituite in pegno anche due polizze Unit linked del controvalore di euro 25.822,84 ciascuna (intestate a COGNOME NOME e NOME); IV) che l’andamento della borsa, a far data dal maggio 2000, aveva iniziato ad essere negativo, con una discesa dei titoli pressoché quotidiana che fece scendere il valore dei suddetti titoli, alla data del luglio 2001, ad € 206.582,76 (£400.000.000) circa; V) che la banca non aveva comunicato l’andamento della Borsa e dei titoli suindicati nemmeno quando il detto controvalore aveva raggiunto la soglia dello scoperto di € 309.874,14 (£ 660.000.000); ma solo nel luglio del 2001, il Credito Italiano s.p.a. aveva comunicato al cliente che il saldo debitore del c/ c n.13690/00 era di € 353.138,71 e che il pegno costituito a
garanzia dell’esposizione debitoria era inadeguato in considerazione della riduzione del valore di Borsa dei titoli, invitando esso Langastro “a reintegrare adeguatamente la garanzia o a costituirne altre” di gradimento della banca, diffidandolo dal “porre in essere atti pregiudizievoli ed in violazione di quanto sancito dall’art.2740 c.c.”. A detta dell’attore, In tal modo, la Credito Italiano S.p.A. aveva tenuto un comportamento illegittimo, in quanto non conforme agli obblighi normativamente imposti agli istituti di credito, e gravemente lesivo dei diritti di esso attore. In particolare, il Langastro assumeva che la banca aveva violato il T.U. bancario e le leggi successive che stabilivano che la banca doveva comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati, ponendo la normativa in materia, a carico delle aziende che esercitano il credito e gestiscono titoli in deposito, l’obbligo della trasparenza nello svolgimento dei servizi in tutte le fasi negoziali della promozione, della conclusione e dell’esecuzione del contratto.
2.─ Con sentenza n. 706/2015, il Tribunale di Avellino condannava l’attore NOME COGNOME a pagare alla convenuta Unicredit Banca s.p.a. la somma di € 67.411,07 oltre interessi al saggio del 13,25% da contenersi comunque nei limiti dei tassi soglia antiusura, dall’1.4.2003 al soddisfo; dichiarava sciolto per mutuo consenso il piano di rientro intervenuto tra le parti e rigettava ogni altra domanda di condanna proposta dalle parti.
3 .─ NOME COGNOME proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Napoli. La Corte adita con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello incidentale della Banca Unicredit e condannato l’appellante al pagamento alla Unicredit s.p.a. della somma di € 244.659,06 oltre interessi al tasso legale a far data dall’1.4.2003 e fino all’effettivo soddisfo, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
doveva essere esaminato per primo, ai sensi dell’art. 276, comma 2, c.p.c., il motivo di appello incidentale proposto da Unicredit anche perché potenzialmente idoneo a definire il giudizio in virtù del principio della ragione più liquida;
sottolineava che per consolidato principio giurisprudenziale della Suprema Corte, a cui questo Collegio intende uniformarsi, la locuzione “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata, come nel caso in esame, anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare il fatto, la norma applicabile e la sua corretta interpretazione;
l’appellante aveva agito in giudizio sull’unico presupposto che la banca, non avendo comunicato al cliente l’andamento negativo dei titoli costituiti in pegno a garanzia delle esposizioni di conto corrente, pur avendo la gestione dei titoli medesimi, si era resa colpevole di gravissime omissioni nei confronti del predetto e di altrettanto gravi violazioni della normativa vigente e che, di conseguenza, il danno a lui derivante consisteva nella lesione del suo patrimonio, ovvero nella differenza tra il valore che avevano le azioni prima della crisi della borsa e quello risultante al momento della comunicazione del 20 luglio 2001;
d) l’appellante mai neppure allegato la sussistenza di una “responsabilità” della banca -non per violazione dell’obbligo di informazione circa l’andamento dei titoli in custodia- ma per la diversa violazione degli obblighi di legge inerenti l’acquisto e la negozi azione dei titoli; negoziazione di cui l’attore, con la formulazione della propria domanda risarcitoria, sembra presupporre, invece, la corretta effettuazione;
il tribunale ha, invece, indagato e ritenuto sussistente una responsabilità della banca convenuta per fatti mai allegati, ma evidenziati esclusivamente nel corso dell’indagine peritale, seppur percipiente;
posta, quindi, la nullità delia CTU ed il conseguente vizio delia sentenza che ha deciso esclusivamente sulla scorta degli accertamenti della relazione peritale, spetta al Giudice del gravame indagare, nel merito, la fondatezza delle allegazioni dell’attore in prime cure con riguardo alia conseguente domanda risarcitoria;
premesso che agli atti risulta allegato soltanto un contratto di deposito titoli in custodia ed amministrazione, è evidente che l’informazione di cui l’attore lamenta l’omissione riguardava il notorio andamento sul mercato di titoli azionari e del mercato borsistico in genere. Sicché avrebbero presupposto l’esistenza di un obbligo di consulenza, non di mera informazione, che avrebbe vincolato la banca solo nel caso in cui fosse stato stipulato un relativo contratto che, però, non risulta allegato agli atti;
h) è pertanto da escludere che sia predicabile, in tesi generale, un obbligo di informazione, invocando il disposto di cui al D.lgs. n. 58 del1998, art. 21, comma 1, lett. b) (TUF), secondo cui l’intermediario deve operare in favore dei propri clienti “in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, sul presupposto che l’avverbio “sempre”, utilizzato dal legislatore, imponga all’intermediario un costante monitoraggio sulle fluttuazioni dei titoli acquistati suo tramite, al fine di suggerirne, con tempestività, l’eventuale disinvestimento. L’apparente latitudine della norma va, infatti, circoscritta all’ipotesi di un contratto di servizio di gestione del portafoglio o un servizio di consulenza che, nella vicenda in esame, non risultano sussistere;
dalla espletata CTU risulta un saldo a debito del correntista NOME COGNOME di complessivi € 244.659,06. Il contratto di apertura di credito non richiede la forma scritta imposta in generale
ai contratti bancari dall’art. 117 del Testo Unico Bancario nel caso in cui (come emerge chiaramente nella vicenda in esame) esso abbia una connessione funzionale ed operativa con un sottostante contratto di conto corrente concluso in forma scritta, nel quale l’affidamento bancario sia regolamentato in modo completo nei suoi elementi essenziali;
l) Unicredit ha, pertanto, il diritto di ritenere le polizze e gli effetti cambiari dati In garanzia fino a quando non verrà soddisfatta dall’attore per il residuo credito riconosciutole con la presente sentenza.
4. ─ NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi ed anche memoria.
Unicredit s.p.a. ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: Illegittimità costituzionale degli artt. da 62 a 72 l.n. 98/2013 di conversione con modifiche del d.l. n.69/2013 in relazione agli artt. 3, 25, 106, comma 2, e 111 Cost.; conseguente nullità della sentenza per vizio di costituzione del Giudice ex art. 158 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c.
5.1 ─ La censura è infondata. I censurati articoli da 62 a 72 del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che hanno introdotto nell’ambito della magistratura onoraria la figura dei giudici ausiliari d’appello per fronteggiare l’arretrato delle corti d’appello in materia civile .
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che hanno previsto, come magistrati onorari, i giudici ausiliari presso le Corti d’appello; tuttavia, per evitare il grave pregiudizio all’esercizio della funzione giurisdizionale che deriverebbe dall’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari, le corti d’appello potranno continuare ad avvalersene fino a quando il legislatore non avrà posto mano alla riforma organica della
magistratura onoraria, comunque entro e non oltre il termine del 31 ottobre 2025 (Corte Cost. n. 41/2021).
Alla luce di tali principi questa Corte ha ribadito che i giudici ausiliari possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, stante la piena assimilazione, ai sensi dell’art. 106 Cost., dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, sicché deve escludersi la nullità della sentenza per 158 c.p.c., ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, ossia non investita della funzione esercitata (ex multis cass., n. 32065/2021; Cass., n. 29237/2024).
vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 6. -Con il secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., 24 e 111 Cost., Regolamento Consob n. 11522/1998, artt. 17 d.lgs. n. 415/1996, 21 e 23 T.U. n. 58/1998 in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.
-Con il terzo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/1998, 17 d.lgs. n. 415/1996, 21 e 23 T.U. n. 58/1998 in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.
7.1 -Il secondo e il terzo motivo sono collegati e possono essere trattati unitariamente. Si contesta preliminarmente la valutazione della Corte della riconvenzionale formulata dalla Banca come «questione assorbente o preliminare la cui decisione rendeva vano esaminare le altre».
L ‘assorbimento dell’appello principale è stato correttamente limitato alla parte relativa all’istanza risarcitoria per violazione degli obblighi dell’intermediario finanziario, una volta esclusa la ricorrenza del relativo presupposto, mentre non vi è stato assorbimento in relazione alla valutazione del rapporto bancario. Quanto alla asserita illegittima riforma della sentenza in relazione a parti impugnate, in violazione dell’art. 366 , n. 6, c.p.c. non risulta indicato lo specifico contenuto dei motivi dell ‘atto di appello, per cui la censura non può
essere scrutinata, anche quanto al rilievo della nullità della CTU, rispetto alla quale, comunque, il rilievo di nullità non è determinante ai fini del riconoscimento come estranea alla causa petendi della allegazione di mancata informazione rispetto ad operazione non adeguata, potendo comunque il giudice, a prescindere dalla CTU, rilevare l’estraneità della detta allegazione ai fatti costitutivi della domanda.
Nella seconda parte della censura si formula nuovamente la doglianza sulla presenza di obblighi informativi anche durante l’esecuzione del contratto, ostinandosi a ribadire che la Banca avesse «la gestione, l’amministrazione e la custodia dei titoli azionari» e che tale rapporto concretizzasse un rapporto di vera e propria consulenza.
La Corte, invero ha valutato la documentazione allegata e ha ritenuto che il contratto concluso fosse soltanto un contratto di deposito titoli in custodia ed amministrazione che non impone all’intermediario un costante monitoraggio sulle fluttuazioni dei titoli acquistati suo tramite, al fine di suggerirne, con tempestività, l’eventuale disinvestimento. In tale contratto, è il caso di chiarire, la dizione amministrazione si riferisce alla gestione ordinaria del titolo (quale, ad esempio, la riscossione delle cedole e il loro accreditamento sul conto titoli). La differenza tra gli obblighi informativi previsti per il contratto di deposito, custodia ed amministrazione e quello di gestione del portafoglio è da tempo costantemente ribadita da questa Corte che ha più volte ribadito che n tema di contratti relativi a strumenti finanziari, deve escludersi che l’intermediario nella compravendita di valori mobiliari, quando abbia stipulato con il cliente solo un contratto di deposito titoli in custodia ed amministrazione, abbia un obbligo di informazione, proprio del contratto di gestione del portafoglio, relativo all’aggravamento del rischio dell’investimento già effettuato (Cass., n. 16318/2017;Cass., n. 14691/2018; Cass., n. 10112/2018; Cass., n. 17949/2020).
La censura si traduce in una doglianza sull’interpretazione del contratto che non è nemmeno esplicitata.
Quanto alla violazione dell’articolo 112 c.p.c. è agevole rammentare che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato comporta il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda di merito. In giurisprudenza è stato in tal senso più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum , rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo ( causa petendi ) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).
Nell’atto di citazione di primo grado, che è l’atto rilevante ai fini della determinazione della causa petendi , sulla base di quanto trascritto in ricorso l’allegazione è limitata alla mancata comunicazione circa l’andamento negativo dei titoli.
Infine, circa la violazione obbligo di informare il cliente nel caso di perdita oltre il 50% ai sensi dell’art. 28 reg. Consob 11522/98 , non vi è un accertamento di fatto relativo sia alla ricorrenza del presupposto di fatto di operazioni in strumenti derivati e in warrant disposte per finalità diverse da quelle di copertura, sia alla stessa percentuale pari o superiore al 50%.
Le censure sono infondate.
8. -Con il quarto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 132,156, 159 e 196 c.p.c., 1418,1284 e 1346 c.c., l. n. 154/1992, art. 117 d. lgs., n. 385/1993, 111 Cost. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. Non è stato valutato il motivo di appello principale relativo alla quantificazione del credito della banca; la nullità della CTU non poteva estendersi alla quantificazione del credito della banca, rispetto alla quale non risultano formulati specifici motivi di appello; non vi era un motivo per disporre la nuova CTU in appello.
8.1 -L a censura è inammissibile. L’esclusione della sussistenza della responsabilità della banca per l’adempimento agli obblighi informativi esclude la necessità di statuire sul quantum del risarcimento richiesto con la presunta compensabilità con il credito vantato dalla Banca. La riproposizione integrale dei motivi di appello formulati non tiene in alcun conto che il PQM della sentenza ha soltanto accolto l’appello incidentale determinando l’importo dovuto senza la compensazione con somme imputabili al risarcimento del danno per inadempimento agli obblighi informativi escluso dalla Corte, ma la Corte ha confermato per il resto la sentenza impugnata e gli accertamenti ivi espletati rispetto al contenuto dei rapporti di dare-avere relativi al conto corrente. La motivazione riguardante l’opportunità di disporre indagini suppletive o integrative è motivata dalla Corte ricordando che già in primo grado erano state svolte le indagini suppletive richieste dalle parti; che in ragione della nullità delle stesse era stata disposta una nuova CTU che risultava «esente dalle censure che l’appellante ha mosso alla quantificazione operata dal CTU in prime cure». Nel prosieguo della sentenza vengono esplicitamente valutati i profili di censura dell’appellante «relativi alla quantificazione del dare-avere risultante dai conti correnti oggetto di causa. Infatti, a seguito di tale decisione, risulta necessario procedere ad una nuova quantificazione del suddetto dare-avere e,
quindi, delle somme effettivamente dovute dal COGNOME all’Unicredit ed oggetto della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta in prime cure. Sul punto soccorre la CTU espletata nel corso del presente giudizio di gravame – che il Collegio intende recepire- la quale è immune da profili di censurabilità e, per altro, non risulta essere stata contestata dalle parti in maniera idonea allo scopo»; e la Corte, nel prosieguo, valuta specificamente le doglianze (p.21-24).
La censura è, così, estranea alla ratio decidendi , essendo stato considerato l’appello principale in relazione alla quantificazione del credito della banca. Né vi è un giudizio di nullità della CTU: quanto a quest’ultimo profilo, vi è solo che la decisione è stata fondata sulla seconda CTU, come legittimamente poteva fare la corte, dopo averla disposta in appello sulla base di una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità.
La doglianza si rileva complessivamente come una domanda di rivalutazione delle allegazioni di merito estranea al giudizio di legittimità.
-Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000,00 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione