Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3229 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3229 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 17074/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Reggio Emilia, alla INDIRIZZO in persona del procuratore speciale dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza, n. cron. 2076/2019, della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO, pubblicata in data 29/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 07/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 21 dicembre 2011, NOME COGNOME citò il Credito Emiliano s.p.a. (d’ora in avanti, breviter , Credem) innanzi al Tribunale di Cosenza, chiedendo accertarsene la responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 58/98 e degli articoli da 26 a 30 del regolamento Consob n. 11522/98, nella stipulazione dei contratti di acquisto Cirio (deposito n. 505/00008601719/00000 ) e del rapporto di regolamento n. 505/010/0003065 accesi presso la filiale di Rende del menzi onato istituto di credito, per un controvale di € 50.000,00. Domandò, per l’effetto, la condanna di quest’ultimo al pagamento di tale somma a titolo risarcitorio, con rivalutazione ed interessi. In via gradata, chiese, tra l’altro, riconoscersi la responsa bilità contrattuale della convenuta, con pronuncia di risoluzione del contratto di acquisto titoli e condanna della stessa alla restituzione della somma impiegata. A sostegno di tali istanze, dedusse di aver aperto presso la banca predetta un conto corrente e di aver effettuato un investimento dei propri risparmi senza aver ricevuto le corrette informazioni da parte dell’istituto.
1.1. Costituitasi RAGIONE_SOCIALE che contestò le avverse pretese concludendo per il relativo rigetto, l’adito tribunale, con sentenza del 7 aprile 2016, n. 715, preliminarmente, qualificò la domanda, ritenendo che fosse da escludersi una responsabilità precontrattuale, che si ricadesse nella ipotesi della responsabilità contrattuale e che la Bianco avesse allegato la violazione degli obblighi di informazione con riferimento al contratto di intermediazione finanziaria. Ritenne, poi, che l’onere di aver diligentemen te assolto la prestazione dedotta cadesse a carico della banca, ma, nella specie, la prova di aver fornito un’adeguata informazione al cliente circa l’adeguatezza dell’investimento prescelto era risultata del tutto carente, soprattutto alla luce delle schede informative sulla propensione al rischio, effettuate a distanza di
soli tre mesi e che davano indicazioni tra loro opposte. Pertanto, la convenuta non restava sollevata da responsabilità in forza della produzione dell’ordine di acquisto nel quale risultava riportata la previa dicitura di stile sulla ricezione delle inform azioni, poiché tanto non bastava a dare conto dell’esatto adempimento dell’obbligo de quo . In ragione di tali argomenti, quindi, dichiarò la risoluzione per inadempimento del contratto e dell’ordine di acquisto e condannò RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favor e dell’istante, di € 46.316,70 (corrispondente alla somma investita detratte le cedole già riscosse), oltre interessi.
Il gravame promosso dal menzionato istituto di credito avverso tale decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Catanzaro con sentenza dell’8/29 ottobre 2019, n. 2076, pronunciata nel contraddittorio con la Bianco.
2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, disattese le eccezioni di inammissibilità del gravame e di giudicato formulate dall’appellata, svolse alcune considerazioni generali sugli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari ed all’esito ritenne che, nella specie, l’appellante, gravata del relativo onere, non avesse fornito la prova dell’avvenuto assolvimento di tali obblighi. Osservò, in particolare, che « Si tratta, dunque, nella specie, di un investimento deciso dal cliente, per il tramite della banca, la quale ha ricevuto l’ordine (‘vincolante’) di acquisto di quei titoli, rientranti tra quelli consigliati dallo stesso istituto; al momento dell’apertura del contratto di deposito, il 16 ottobre 2000, la Bianco fornisce un primo profilo personale relativo (anche) alla propensione al rischio ed agli obiettivi di investimento; analoga scheda presenta al momento dell’acquisto e del deposito dei titoli, il 24 gennaio 2001. Per come segnalato dal giudice di primo grado, tali documenti appaiono in profondo contrasto tra loro; il contenuto di tali schede denota una superficialità del modus operandi, o, se si preferisce, non dimostra una attenta ricognizione del profilo dell’investitore, fatto che si traduce in una violazione dei relativi obblighi incombenti sulla banca. Sia detto qui per inciso, è evidente che la contraddizione documentale rinvenuta
dal giudice non comporta alcuna lesione dell’art. 101, comma 2, c.p.c., posto che le questioni d’ufficio cui tale norma fa riferimento non sono certo quelle che riguardano la valutazione della prova; . Le due schede informative contengono, come detto, riscontri differenti intanto quanto alle pregresse esperienze in tema di investimenti. Nella prima compaiono, in proposito, solo i titoli di Stato a breve termine (fatto del resto ben a conoscenza della banca, di cui risulta che la Bianco fosse cliente da tempo), mentre la propensione al rischio è quella più bassa accordata all’investimento finanziario; nella seconda, di appena tre mesi successiva, tra le esperienze pregresse compaiono, oltre ai titoli di Stato a breve termine, anche i titoli di Stato/obblig azioni a medio e lungo termine, le ‘obbligazioni strutturate/obbligazioni di emittenti a basso e/o senza rating’, e le ‘azioni’, e la propensione al rischio salta al grado più alto, con la previsione di ‘investimenti che presentano anche la massima rischio sità in funzione della ricerca della massima redditività’. Ad essa si abbina ‘l’accettazione di rischi particolarmente elevati che possono comportare perdite in conto capitale fino all’intero ammontare del capitale investito …’. Sebbene si dia atto, nel co rpo dello stesso atto, della consegna del documento sui rischi, per un verso tale dichiarazione non rappresenta la prova su quella informazione adeguata che la banca è tenuta a fornire, e, per altro verso, atteso il tenore delle precedenti dichiarazioni, non spiega come la cliente sia passata, in così breve tempo, da una minima a una massima propensione al rischio, dichiarando adeguata la sua conoscenza in materia di investimenti finanziari, che, nello stesso brevissimo arco, sono passati da quella ‘di base’ ad un ventaglio multiplo di titoli. La adeguatezza dell’informazione data dalla banca e della corretta indagine sul profilo dell’investitore non deriva nemmeno dalla dichiarazione resa nell’ordine di acquisto; come affermato da Cassazione civile sez. I -09/02/2016, n. 2535, ‘a tal fine, si è – tuttavia – osservato che la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento suggerito e
sollecitato dalla banca (nella specie in obbligazioni Cirio ) e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può – di certo -costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, al più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015)’ ».
Per la cassazione di questa sentenza, ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE prospettando quattro motivi, illustrati anche da memoria. Ha resistito, con controricorso, NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del menzionato ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, degli artt. 21 e 23 del d.lgs. n. 58/1998, in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 Regolamento Consob 11522 del 1998, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si contesta alla corte distrettuale di non avere ricondotto l’operato della banca all’interno della normativa di riferimento ed avere affermato, quindi, erroneamente, che l’istituto di credito non aveva correttamente adempiuto ai propri obblighi informativi nei confronti della cliente;
II) « Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione »;
III) « Omessa valutazione di un fatto storico decisivo, risultante dagli atti di causa, ex art. 360 , comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ». Si ascrive alla corte territoriale di non avere considerato il fatto, asseritamente decisivo, che l’istituto di credito aveva informato la Bianco circa l’inadeguatezza dell’operazione, cui quest’ultima aveva ugualmente voluto dare corso, in particolare inviando alla banca una comunicazione con cui confermava di avere ricevuto tutte le informazioni prescritte in maniera adeguata e manifestava la volontà di non intendere dismettere l’investimento;
IV) « Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 91 c.p.c., in combinato disposto con il d.m. n. 55/2014, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », per avere la corte d’appello pronunciato una condanna alle spese non in linea con la normativa di riferimento.
Premettendosi che il rapporto dedotto in causa è sorto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid ), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006, sicché si farà riferimento alla disciplina dettata dal T.U.F. del 1998 (d.lgs. n. 58 del 1998) e dal Regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportategli per adattarli alle suddette nuove direttive, i primi due di tali descritti motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili.
2.1. Giova ricordare che questa Corte si è soffermata, in molteplici occasioni ( cfr . tra le più recenti ed esaustive, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 10111 e 33353 del 2018; Cass. n. 16127 del 2020; Cass. nn. 19891 e 35789 del 2022; Cass. nn. 7288, 7932 e 12990 del 2023), sul tema degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario in applicazione dell’art. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, esaminando l’argomento e pervenendo ad esiti interpretativi univoci e consolidati, sotto due distinti aspetti che sono stati tenuti e che occorre mantenere attentamente separati: i ) quello dell’identificazione della latitudine degli obblighi informativi medesimi; ii ) quello dell’atteggiarsi del riparto degli
oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale ove l’investitore lamenti l’inadempimento di detti obblighi.
2.1.1. In relazione ad essi, dunque, può farsi rinvio, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., a quanto ampiamente esposto in quelle pronunce, così sintetizzabile: i ) gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998 sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è i l caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); ii ) con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, l’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all’investitore ‘ informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento ‘; iii ) giusta l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, pertanto, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio; iv ) l’intermediario convenuto in un giudizio di responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento; v )
l’assolvimento dell’obbligo di informazione specifica impone, quindi, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente; vi ) con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’art. 28, primo comma, lett. a) , -consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura) -esso è funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la relativa valutazione di adeguatezza da parte dell’intermediario -come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione suddetta; vii ) l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo.
2.1.2. Va data continuità, poi, al principio di diritto, ripetutamente enunciato da questa Corte, secondo cui, « In materia di investimenti
finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi dell’art. 21, 1° comma, lett. b), d.lgs. n. 58 del 1998, sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicché tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso » ( cfr . Cass. n. 17949 del 2020; Cass. n. 10112 del 2018; Cass. n. 4602 del 2017). Dunque, salvo che operi in forza di contratto di gestione patrimoniale o di consulenza (nella specie, peraltro, pacificamente insussistente), l’intermediario non è tenuto anche ad informare, tempo per tempo, l’investitore circa l’andamento dei titoli acquistati, in ipotesi di abbassamento del loro rating o rischio di default dell’emittente.
2.1.3. Quanto, infine, all’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova, in sede giudiziale, nelle azioni come quella intrapresa dall’attrice/appellata, occorre anzitutto richiamare la regola secondo cui, nei giudizi di risoluzione contrattuale e/o di risarcimento danno, è onere dell’intermediario provare di avere agito con la diligenza richiestagli, ai sensi dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998: norma che, lungi dal comportare un’inversione dell’onere probatorio altrimenti discendente dall’art. 2697 cod. civ., si pone in perfetta armonia e continuità con la regola generale stabilita dall’art. 1218 cod. civ., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilità ( cfr . Cass. n. 17138 del 2016; Cass. n. 12990 del 2023), non trovando applicazione tale norma solo al di fuori del campo della responsabilità contrattuale, ove il danneggiato intenda far valere la responsabilità extracontrattuale dell’intermediario per fatto altrui ( cfr . Cass. n. 16616 del 2016).
2.1.4. Spetta, dunque, in primo luogo, all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere
esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto.
2.2. Alla stregua di tutti i riportati, e qui condivisi, principi, quindi, la decisione della Corte di appello di Catanzaro, oggi impugnata, rivelandosi coerente con gli stessi, non risulta inficiata dai vizi ad essa ascritti dalla censura in esame.
2.2.1. In particolare, come si è ampiamente esposto nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, il cui contenuto deve intendersi qui riprodotto per intuibili ragioni di sintesi, detta corte: i ) ha rimarcato il « profondo contrasto » esistente tra le due profilature, effettuate in un intervallo temporale di soli tre mesi, riguardanti l’investitrice (la quale, peraltro, come si legge nella sentenza impugnata, aveva impartito alla banca un ordine di acquisto di titoli « rientranti tra quelli consigliati dallo stesso istituto »); ii ) ha osservato che il contenuto di quelle profilature « denota una superficialità del modus operandi , o, se si preferisce, non dimostra una attenta ricognizione del profilo dell’investitore, fatto che si traduce in una violazione dei relativi obblighi incombenti sulla banca »; iii ) ha evidenziato come le stesse riportassero riscontri assolutamente differenti quanto alle pregresse esperienze della Bianco in tema di investimenti, senza un’effettiva spiegazione circa il « come la cliente sia passata, in così breve tempo, da una minima a una massima propensione al rischio, dichiarando adeguata la sua conoscenza in materia di investimenti finanziari, che, nello stesso brevissimo arco, sono passati da quella ‘di base’ ad un ventaglio multiplo di titoli »; iv ) ha richiamato, infine, il principio di Cass. n. 2535 del 2016, al fine di negare che l’adeguatezza dell’informazione data dalla banca e la corretta indagine sul profilo dell’investitore potessero derivare dalla dichiarazione resa nell’ordine di acquisto.
2.3. Appare evidente, dunque, che, così argomentando, la corte territoriale, prendendo in esame i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento proposta dall’attrice/appellata ed indicando le ragioni de l convincimento espresso in
ordine agli stessi in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, ha inteso opinare, sostanzialmente, che Credem non aveva adempiuto gli obblighi informativi su di essa gravanti, quanto meno sotto il profilo dell’adeguatezza, o non, dell’inv estimento richiesto dalla Bianco. Si è al cospetto, dunque, di accertamenti chiaramente di natura fattuale, non ulteriormente sindacabili, in questa sede, se non per vizio motivazionale, ove concretamente utilizzabile e, comunque, nei ristretti limiti in c ui l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., -nel testo modificato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 29 ottobre 2019), -tuttora lo consente.
2.4. La ricorrente insiste oggi nel sostenere l’adeguatezza dell’operazione richiestale dalla controricorrente in relazione al suo profilo di rischio e di aver adempiuto pure allo specifico obbligo informativo a suo carico, ritenuto, invece, non osservato dalla sentenza impugnata, mostrando, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 27522, 16541, 13408, 11299, 10033 e 9014 del
2023; Cass. nn. 35041 e 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) il compito di questa Corte non è quello di condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito ( cfr . Cass. n. 3267 del 2008), anche se la parte ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio ( cfr . Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, come reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 11176 del 2017).
2.5. In altri termini, l’odierna ricorrente come chiaramente dimostra la censura contenuta nel secondo motivo -incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, anche processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come ripetutamente chiarito da questa Corte, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, « ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. 24434 del 2016).
2.6. In definitiva, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020): il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017). Né potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024).
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. È doveroso ricordare, invero, che, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dall’odierna ricorrente con citazione notificata il 5 luglio 2016, come emerge dalla pagina 6 del controricorso della Banco. Cfr . Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di
applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. nn. 27328, 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere, invece, qui rimasto inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua .
Il quarto motivo di ricorso, infine, è infondato.
4.1. Invero, assumendo come valore della causa proprio quello ‘ indeterminabile ‘, come prospettato da Credem ( cfr . pag. 2), e facendo applicazione dei valori tendenzialmente medi di cui al d.m. n. 55 del 2014 (invocato dalla ricorrente ed applicabile ratione temporis) per i corrispondenti giudizi presso le corti di appello, il compenso complessivamente liquidabile, n ell’ipotesi di controversia di complessità bassa, ed in relazione alle voci Studio della controversia, Fase introduttiva del giudizio, Fase istruttoria e/o di trattazione e Fase decisionale, risulta pari ad € 9.515,00. Ne consegue, dunque, la piena correttezza di quanto liquidato, per compensi (€ 9.000,00), dalla corte distrettuale nella sentenza oggi impugnata, dovendosi solo ricordare che, come già sancito dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità: i ) « In materia di spese processuali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, il d.m. n. 55 del 2014 non prevede alcun
compenso specifico per la fase istruttoria, ma prevede un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento » ( cfr . Cass. n. 8561 del 2023); ii ) « In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso » ( cfr . Cass. n. 14198 del 2022. In senso conforme, si veda, in motivazione, anche la più recente Cass. n. 8561 del 2023).
5. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di Credito Emiliano s.p.a. deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di Credito Emiliano s.p.a. e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, che si liquidano in € 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge, con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avv. all’Avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore impo rto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile