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Obblighi informativi banca: Cassazione su profili

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un istituto di credito per la violazione degli obblighi informativi banca nei confronti di una cliente che aveva investito in titoli ad alto rischio. La decisione si fonda sulla presenza di due profili di rischio compilati a distanza di pochi mesi, risultati palesemente contraddittori. Tale circostanza, secondo la Corte, dimostra la negligenza della banca nel valutare l’adeguatezza dell’operazione, rendendo irrilevante la mera firma di moduli standard da parte della risparmiatrice. Il ricorso della banca è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obblighi informativi della banca: la Cassazione fa chiarezza sulla profilatura del cliente

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale a tutela dei risparmiatori, consolidando l’orientamento in materia di obblighi informativi della banca. La vicenda esaminata offre uno spaccato chiaro su come la superficialità nella raccolta delle informazioni sul cliente possa costare cara all’intermediario finanziario. La Suprema Corte ha infatti confermato la responsabilità di un istituto di credito per non aver adeguatamente valutato il profilo di rischio di una cliente, basando la propria decisione sulla palese contraddizione tra due questionari compilati a pochi mesi di distanza.

I Fatti di Causa

Una risparmiatrice aveva citato in giudizio un noto istituto bancario, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’acquisto di obbligazioni ad alto rischio. La cliente sosteneva di aver investito una somma considerevole dei propri risparmi senza aver ricevuto le adeguate e corrette informazioni sui pericoli connessi a tale operazione finanziaria. La sua domanda era volta ad accertare la responsabilità della banca per la violazione delle norme che regolano l’intermediazione finanziaria.

L’Analisi dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello avevano dato ragione alla risparmiatrice. Il fulcro delle decisioni di merito era un fatto documentale inequivocabile: la banca aveva fatto compilare alla cliente due diverse schede per la profilatura del rischio a soli tre mesi di distanza l’una dall’altra. La prima scheda descriveva una propensione al rischio minima e un’esperienza limitata ai soli titoli di Stato a breve termine. La seconda, invece, indicava una massima propensione al rischio, un’esperienza estesa a prodotti complessi come azioni e obbligazioni strutturate, e l’accettazione di poter perdere l’intero capitale investito. Questa radicale e ingiustificata differenza è stata interpretata dai giudici come prova di una gestione superficiale e negligente da parte della banca, che non aveva svolto un’attenta ricognizione del profilo reale dell’investitore.

La Decisione della Corte di Cassazione e gli obblighi informativi della banca

L’istituto bancario ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire alcuni capisaldi in materia di obblighi informativi della banca.

In primo luogo, è stato sottolineato che il “profondo contrasto” tra i due profili raccolti in un arco temporale così breve è un elemento che, da solo, “denota una superficialità del modus operandi” e si traduce in una violazione degli obblighi che gravano sull’intermediario. La banca non ha saputo spiegare come la cliente potesse essere passata, in soli tre mesi, da una conoscenza di base a una competenza avanzata e da una propensione al rischio minima a una massima.

In secondo luogo, la Corte ha smontato la difesa della banca basata sulla dichiarazione, contenuta nell’ordine di acquisto, con cui la cliente affermava di essere consapevole dei rischi. I giudici hanno chiarito che una simile dichiarazione standard, predisposta dalla banca stessa, non ha valore di confessione e non è sufficiente a dimostrare l’assolvimento degli obblighi informativi. Tale dichiarazione può, al massimo, comprovare l’adempimento della banca solo se corredata da un’indicazione specifica delle caratteristiche e dei rischi del titolo, tale da giustificare una scelta di investimento potenzialmente inadeguata.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati. Ha ribadito che, in base alla normativa di settore (Testo Unico della Finanza), l’onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta spetta all’intermediario. È la banca, quindi, a dover dimostrare di aver fornito al cliente un’informativa completa ed esaustiva, adeguata alla sua preparazione e al suo profilo.

La valutazione delle prove, inclusi i documenti di profilatura, è un’attività riservata al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici che in questo caso non sono stati riscontrati. Il ragionamento della Corte d’Appello è stato ritenuto coerente e privo di contraddizioni, avendo correttamente individuato nella discrasia documentale la prova dell’inadempimento della banca.

La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibile uno dei motivi di ricorso in virtù del principio della “doppia conforme”, secondo cui, se le decisioni di primo e secondo grado si basano sulla medesima ricostruzione dei fatti, è preclusa in Cassazione la censura relativa all’omesso esame di un fatto storico decisivo.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per gli intermediari finanziari. La profilatura del cliente non è un mero adempimento burocratico da sbrigare con la firma di un modulo, ma un’attività essenziale e sostanziale che richiede attenzione, coerenza e approfondimento. La presenza di informazioni contraddittorie o illogiche nei documenti del cliente può diventare un’arma a doppio taglio per la banca, trasformandosi da strumento di tutela a prova schiacciante della sua negligenza.

Per i risparmiatori, questa decisione rafforza la tutela, confermando che non basta una firma su un modulo prestampato per considerare un investimento consapevole e che il giudice può e deve guardare alla sostanza del comportamento dell’intermediario per valutarne la correttezza.

Una dichiarazione firmata dal cliente è sufficiente a dimostrare che la banca ha adempiuto ai suoi obblighi informativi?
No. Secondo la Corte, una dichiarazione standard firmata dal cliente su un modulo predisposto dalla banca non ha valore di confessione e, da sola, non basta a provare che l’intermediario abbia fornito informazioni adeguate e specifiche sui rischi dell’investimento.

Qual è la conseguenza legale se la banca compila due profili di rischio contraddittori per lo stesso cliente in breve tempo?
La Corte considera questa circostanza una prova evidente della negligenza e della superficialità della banca. Tale contraddizione dimostra che l’intermediario non ha svolto un’attenta e accurata ricognizione del profilo dell’investitore, violando così i propri obblighi legali.

In una causa per mancata informazione su un investimento, chi deve provare di aver agito correttamente?
L’onere della prova grava sulla banca. È l’intermediario finanziario che deve dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta dalla legge e, in particolare, di aver informato in modo corretto, completo e adeguato il cliente sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione finanziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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