Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5751 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 5751 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9173/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, quale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO di COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, (ora RAGIONE_SOCIALE) in persona dell’Amministratore pro tempore , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1250/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 23/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2023 dalla consigliera NOME COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO;
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso in via principale per la rimessione della causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle S.U.; in subordine per l’accoglimento del quarto motivo del ricorso ed il rigetto dei rimanenti;
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine da un ricorso per denuncia di danno temuto, ex artt. 1172 c.c. e 688 c.p.c., con cui il RAGIONE_SOCIALE chiedeva di ordinarsi a NOME COGNOME di provvedere alle opere necessarie per la messa in sicurezza di scarpate e manufatti, di sua proprietà, dai quali derivavano pericolo di frana e crollo di materiali con pregiudizio alla strada sottostante gravata da servitù condominiale.
Il Tribunale di Acqui Terme, con ordinanza del 19 febbraio 2013, accoglieva il ricorso del condominio e condannava la COGNOME all’esecuzione dei lavori. L’ordinanza veniva confermata anche in sede di reclamo.
La COGNOME, quindi, conveniva in giudizio il Condominio al fine di sentire accertare l’inesistenza del diritto del Condominio all’esecuzione degli interventi indicati nella CTU a sue spese.
Il Tribunale di Alessandria, cui nel frattempo era stato accorpato quello di Acqui Terme, con la sentenza n. 1071/2017, rigettava le domande della COGNOME.
La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 1250/2019, depositata il 23 luglio 2019. Ha
ritenuto sulla base dell’atto di acquisto l’esistenza di una servitù di passaggio e, sulla base della espletata CTU, che la profilatura della scarpata era riconducibile agli interventi di sbancamento della COGNOME. Il giudice dell’appello ha, anche, ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 2051 c.c. e conseguentemente ha statuito che la COGNOME, quale proprietaria del fondo, avesse l’obbligo di provvedere ad eliminare la situazione di pericolo predisponendo i rimedi indicati dalla c.t.u., salvo azione di rivalsa nei confronti di chi abbia materialmente causato il danno. Ha ritenuto anche che l’appellante non avesse fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..
Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione, sulla base di sei motivi, NOME COGNOME.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il AVV_NOTAIO generale ha concluso per la rimessione della causa alla Prima Presidente per l’assegnazione alle sezioni unite, o, in subordine, per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso ed il rigetto dei rimanenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Denuncia la nullità della sentenza per essersi la Corte territoriale, come già il Tribunale, pronunciata su una causa petendi diversa da quella della domanda di danno temuto, avendo il Condominio agito a cautela del diritto di proprietà sulla strada e solo nel corso del giudizio cautelare, invece, dichiarato di essere titolare di una servitù di passaggio, con conseguente inammissibile mutatio libelli . Inoltre, il deposito dell’atto di acquisto della COGNOME, avvenuto da parte del Condominio nel giudizio merito, sarebbe inammissibile per tardività.
4.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 840, 1069, 1172, 2043 e 2051 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta che la Corte d’appello avrebbe ritenuto la COGNOME responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c., condannandola all’esecuzione delle opere necessarie ad evitare il pericolo di frana sulla strada, quando, invece, ne sarebbe responsabile il Condominio ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo sbancato la collina per realizzare l’insediamento, a nulla rilevando che materialmente lo sbancamento sia stato eseguito dal costruttore-venditore. Parimenti inappropriato sarebbe il riferimento della Corte territoriale all’art. 1069 c.c., atteso che, proprio in base a detta norma, i condomini sarebbero tenuti a compiere le opere necessarie alla conservazione della servitù.
4.3 . Con il terzo motivo, parte ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
La sentenza sarebbe nulla per difetto ed illogicità di motivazione, avendo la Corte posto a carico della ricorrente le opere di contenimento della collina, malgrado avesse accertato che il pericolo di crollo era stato causato ‘dagli sbancamenti eseguiti durante la fase di urbanizzazione del Condominio’. Così come contraddittorio sarebbe aver affermato che il manufatto di massi realizzato dalla ricorrente abbia concorso a determinare l’eccessiva pendenza della scarpata, prospiciente la strada de qua.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 614bis e 669duodecies c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Sostiene l’erronea applicazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 614 bis c.p.c., non ricorrendo, nel caso, un obbligo di fare infungibile, perché per realizzare le opere di contenimento l’obbligata deve rivolgersi a terzi. Mentre dette opere avrebbero
potuto essere attuate forzosamente dal Condominio, ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c.
4.5. Con il quinto motivo, parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), denunciando un vizio di omessa pronuncia sulla domanda di condanna del Condominio all’esecuzione, a sua cura e spese, delle opere occorrenti per la regimentazione delle acque meteoriche provenienti dal fondo della stessa COGNOME, trattandosi di problematica segnalata dallo stesso CTU.
4.6. Con il sesto motivo, parte ricorrente denuncia un’ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), per omesso esame della ulteriore domanda di condanna del Condominio alla realizzazione, a sua cura e spese, degli interventi di consolidamento, ancora di regimentazione delle acque ed altri interventi volti ad eliminare il pericolo di frana nel fondo della signora COGNOME.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che, come precisato da questa Corte, si ha mutatio libelli solo quando la domanda sia obiettivamente diversa da quella originaria, perché senza alcun collegamento con la stessa, introducendo una causa petendi fondata su situazioni giuridiche distinte, non prospettate prima (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 20/07/2023, n. 21627; Cass. civ., Sez. V, 26/06/2023, n. 18190; Cass. civ., Sez. VI-5, 1/03/2023, n. 6103; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 3/01/2023, n. 91; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 18/11/2022, n. 34045; Cass. civ., Sez. V, Ord., 1/09/2022, n. 25689).
Tale principio va coordinato con il potere del giudice del merito di interpretare e qualificare la domanda: poiché quegli è ‘libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate’, non è quindi condizionato dalle espressioni letterali utilizzate delle parti, dovendo piuttosto indagare e considerare il
contenuto sostanziale della pretesa azionata. Ne consegue che non v’è vizio di ultrapetizione quando, come nel caso di specie, ‘la domanda su cui il giudice ha pronunciato è sempre quella avanzata dalla parte e sia solo diverso il percorso argomentativo, non essendovi stata alcuna alterazione degli elementi di fatto controversi in causa ma solo un diverso inquadramento giuridico degli stessi’ (v. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 31/10/2023, n. 30176; Cass. civ., Sez. I, Ord., 9/08/2023, n. 24236; Cass. civ., Sez. I, 24/07/2023, n. 22154; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 2/08/2022, n. 23996; Cass. civ. Sez. III, Ord., 21/05/2019, n. 13602).
Questa Corte ritiene che la sentenza impugnata non sia affetta dai dedotti vizi procedurali, avendo i Giudici di appello fatto esatta applicazione dei principi processuali sopra enunciati nel momento in cui hanno ritenuto insussistente una mutatio libelli della domanda del Condominio. Nel farlo, infatti, non si sono arrestati alle espressioni letterali utilizzate da quest’ultimo, ma, in ossequio al precipuo obbligo di esatta applicazione della legge, hanno avuto riguardo al contenuto sostanziale della pretesa azionata e a tutti gli elementi probatori ritualmente acquisiti nella fase di merito (tra cui l’atto di acquisito della signora COGNOME, attestante in modo inequivoco la sussistenza di una tale servitù).
In tale quadro, non può trascurarsi che, in base al principio di autonomia funzionale dei procedimenti cautelari ante causam , il giudizio di merito è autonomo da quello cautelare, tanto che ‘nel primo possono essere formulate domande nuove rispetto a quanto dedotto nella fase cautelare’, con conseguente obbligo delle parti di una nuova costituzione in giudizio e onere di formulare domande ed eccezioni e produrre documenti a supporto (v. Cass. civ., Sez. II, Ord., 1/12/2022, n. 35394; Cass. civ., Sez. I, Ord., 8/11/2022, n. 32774; Cass. civ., Sez. lav., 17/02/2022, n. 5242; Cass. civ., Sez. VI-1, Ord., 5/08/2021, n. 22380; Cass. civ., Sez. II,
4/02/2021, n. 2623; principio affermato da Cass. civ. Sez. III, 10/11/2010, n. 22830).
Pure sotto tale profilo, quindi, le censure sollevate dalla ricorrente sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. per la pretesa diversità di causa petendi tra fase cautelare e merito, si appalesano infondate, perché le richieste del Condominio hanno avuto riguardo sempre al medesimo rapporto giuridico, la situazione di pericolo sulla strada utilizzata dai comunisti.
In ogni caso e sotto diverso profilo, la sussistenza di tale violazione non può apprezzarsi perché, per costante insegnamento di questa Corte, l’interpretazione della domanda è attività riservata al giudice di merito, a cui è sottoposta la controversia, la cui decisione non è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando costui ‘ha svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere’. In tal caso, infatti, ‘il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo , ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte’ (v. Cass. civ., Sez. II, 4/10/2023, n. 28003; Cass. civ., Sez. III, Ord., 22/09/2023, n. 27181; Cass. civ., Sez. II, Ord., 13/08/2018, n. 20718; Cass. civ., Sez. II, 27/01/2016, n. 1545; Cass. civ., Sez. lavoro, 29/09/2021, n. 26454; Cass. civ., Sez. III, 18/04/2006, n. 8953; Cass. civ., Sez. lavoro, 21/02/2006, n. 3702).
5.1. Neppure il secondo motivo di ricorso può essere accolto.
Le censure di parte ricorrente non hanno il tono proprio di un vizio in iure, perché pongono a loro presupposto la valutazione di una serie di risultanze fattuali e si risolvono in una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti. Di tal che, sotto l’apparente deduzione della violazione e falsa applicazione di legge, le sue doglianze in realtà celano una inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti storici e degli elementi probatori (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 13/11/2023, n. 31509; Cass. civ., Sez. II,
15/05/2023, n. 13169; Cass. civ., Sez. lav. 8/03/2023, n. 6906Cass., SS. UU., 17/12/2019, n. 33373).
D’altronde, l’eccepito vizio di violazione o falsa applicazione di norme sussiste soltanto quando vi sia stato un errore nel giudizio di diritto, e cioè negazione o fraintendimento di una norma astratta di legge esistente, o affermazione di una norma astratta inesistente, oppure intesa rettamente la norma in se stessa, se ne sia fatta applicazione ad un fatto, che da essa non è regolato, in modo da giungere a conseguenze giuridiche contrarie a quelle volute dalla legge (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 22/02/2023, n. 5490; Cass. civ., Sez. I, Ord., 2/02/2022, n. 3246; Cass. N. 596/2022).
Tali situazioni non ricorrono però nel caso di specie, nel quale: la Corte territoriale, dopo aver confermato il giudizio formulato dal giudice di primo grado (in punto di insussistenza di una mutatio libelli da parte del Condominio e di ritualità della produzione dell’atto di compravendita della COGNOME), ha ritenuto sussistere (ad esito di un articolato percorso motivazionale) i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. (nei confronti della stessa COGNOME, quale indiscussa proprietaria della strada, non avendo offerto prova liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, non potendo di certo assurgere a tale valore, nell’ambito del percorso argomentativo della sentenza, i ridetti interventi di urbanizzazione); parte ricorrente si lamenta dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, sostanziandosi così le sue doglianze in un’inammissibile contestazione dell’impianto motivazionale e della valutazione delle prove compiuta dal giudice di secondo grado, il quale, sulla base del quadro probatorio complessivo, ha valutato che il pericolo sulla strada è derivato dalle opere compiute, negli anni, dalla COGNOME (v. pp. 9-10 sentenza impugnata).
A giudizio di questa Corte, la sentenza impugnata è quindi conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ‘l’art. 2051
c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima’ (v., tra le ultime: Cass. civ., Sez. III, Ord., 20/07/2023, n. 21675; Cass. civ., SS. UU., Ord., 30/06/2022, n. 20943; poi richiamato da Cass. civ., Sez. III, Ord., 10/11/2023, n. 31312).
Il confronto, operato dalla ricorrente, con la ratio decidendi della sentenza, anche con riferimento alle previsioni di cui agli artt. 840, 1069, 1172 e 2043 c.c. si risolve quindi in una diversa e più favorevole lettura delle risultanze probatorie in ordine alle concause all’origine del pericolo di frana sulla strada, escluse dai giudici di merito come fattore determinante, e quindi inammissibile in questa sede.
5.2. Il terzo motivo di ricorso è assorbito dalle deduzioni svolte nel secondo motivo.
5.3. Il quarto motivo di ricorso è fondato.
L’art. 614 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, consentiva al giudice del merito di fissare, con il provvedimento di condanna, una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nella esecuzione del provvedimento medesimo, che avesse ad oggetto obbligazioni di fare infungibile o di non fare; mentre non si applicava invece né alle obbligazioni di fare fungibile, né a quelle di consegna o rilascio, né tanto meno a quelle pecuniarie.
La ratio dell’intervento del legislatore deve essere ricondotta ad un’esigenza di rafforzamento della tutela esecutiva. Ciò avviene mediante la previsione di misure coercitive volte ad assicurare l’adempimento degli obblighi di fare infungibili e, perciò,
insuscettibili di esecuzione forzata in forma specifica, attesa la necessità che la prestazione sia eseguita dall’obbligato.
Nella versione applicabile ratione temporis non si prevedeva nella rubrica l’applicabilità della norma in caso di obbligazioni di facere fungibile. Né, tantomeno, il titolo dell’art. 614 bis c.p.c. precisa la tipologia di obbligazioni cui fare riferimento: tale norma ha, quindi, un limite naturale nell’infungibilità della prestazione positiva dovuta.
Se l’interesse sotteso al diritto è realizzabile anche attraverso l’opera di un terzo, allora l’obbligazione è fungibile ed attuabile in via esecutiva, altrimenti, se esso è realizzabile solo per mezzo dell’attività dell’obbligato, allora l’obbligazione è infungibile e non è attuabile in via esecutiva. In quest’ultimo caso, restando pur sempre ammissibile la richiesta di un provvedimento di condanna al giudice della cognizione ove l’interessato non voglia trasformare la pretesa sostanziale nel suo equivalente economico, a seguito di una vittoria nell’ambito del processo dichiarativo non può seguire l’esecuzione forzata, nell’eventualità che il soccombente condannato non si adegui all’ordine di prestazione impartitogli. L’unico spazio per l’attuazione del diritto riconosciuto è dato dalla c.d. esecuzione indiretta ossia dalla previsione di una misura coercitiva.
È indubbio che, alla luce dell’art. 614 -bis, la misura coercitiva va a rafforzare un provvedimento di condanna, quindi è irrogata in funzione della realizzazione di un rapporto obbligatorio.
Il limite naturale della norma è determinato dall’impossibilità materiale da parte di un terzo di surrogare l’attività dovuta dal debitore e soddisfare il creditore in via immediata e diretta.
Al riguardo, questa Corte ha affermato che, ‘nell’ambito dei rapporti obbligatori, il carattere infungibile dell’obbligazione di cui si è accertato l’inadempimento non impedisce la pronuncia di una sentenza di condanna, in quanto la relativa decisione non solo è
potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì produttiva di ulteriori conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di persistente inadempimento del debitore (Cass. civ., Sez. 1, 23/9/2011 n. 19454; Cass. civ., Sez. lav., 5/9/2014, n. 18779).
In tale contesto, erroneamente la Corte d’appello, e prima il Tribunale, hanno ritenuto fuori quadro le censure della ricorrente, anche in relazione all’art. 669 duodecies c.p.c., atteso che, nel caso di specie, non ricorrono i presupposti per l’applicazione di tale misura coercitiva indiretta, laddove la signora COGNOME non provvedesse a realizzare le opere di consolidamento della collina, certamente integranti un fare fungibile.
Infatti, nel caso di specie, l’obbligo di fare non era affatto infungibile e, quindi, era attuabile avvalendosi di soggetti terzi. Si tratta di una prestazione che, astrattamente, poteva essere attuata indifferentemente sia dall’obbligato originario, sia per mezzo dell’attività sostitutiva di un qualunque altro soggetto, con identico effetto satisfattivo per il creditore, quando non sia indispensabile alcuna attività materiale personale di cooperazione specifica del condannato, circostanza quest’ultima né provata, né dedotta in giudizio.
Infine, per la natura stessa del provvedimento irrogativo della misura di coercizione indiretta, è indubbio che esso sia regolato dalla disciplina processuale in vigore al momento in cui esso è emesso, non rilevandone i mutamenti successivi in base al noto principio generale tempus regit actum (e salva una eventuale diversa disciplina transitoria, che, sul punto, non può rinvenirsi).
5.4. Il quinto e sesto motivo di ricorso, che possono esaminarsi assieme attenendo a profili di nullità della sentenza, sono fondati. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il vizio di omessa pronuncia ricorre quando ‘vi sia omissione di qualsiasi decisione su
un capo della domanda’ (v. da ultimo Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 14/11/2023, n. 31630; Cass. civ., Sez. III, Ord., 8/11/2023, n. 31058 Cass. civ., Sez. V, 26/04/2022, n. 13002).
Vizio che non può configurarsi nel caso di c.d. assorbimento improprio, ossia quando ‘la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, con la conseguenza che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronunzia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento’ (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 27/09/2023, n. 27436; Cass. civ., Sez. III, Ord., 12/02/2019; n. 3964; Cass. civ., Sez. I, Ord. 12/11/2018, n. 28995).
Nel caso di specie, invece, è configurabile il prospettato error in procedendo , in quanto la Corte d’appello, nel respingere la richiesta di integrazione di CTU avanzata dall’appellante, non ha esaminato il relativo motivo di appello della ricorrente. La Corte territoriale ha dichiarato infondata la domanda di condanna del Condominio all’esecuzione delle opere di regimentazione delle acque, ma, nonostante la segnalazione del consulente della sussistenza di problemi di regimentazione del corso delle acque non li ha considerati come incidenti casualmente sul pericolo di frana della collina e, per tale ragione, non li ha indicati tra le opere necessarie per la messa in sicurezza dello stato dei luoghi (v. p. 11 sentenza impugnata).
Inoltre, a fronte di tale motivazione ha ulteriormente errato la Corte d’Appello in quanto ha dichiarato assorbita l’ulteriore domanda di condanna del Condominio, riguardante opere di ‘sostegno, consolidamento, di regimentazione delle acque ed altre’ senza esaminarla non ravvisandosi, nel caso di specie, una decisione implicita ed essendo evidente l’impossibilità, per
l’ontologica e strutturale diversità tra le questioni, di un assorbimento dell’una da parte dell’altra. Il giudice dell’appello è quindi incorso nel vizio denunciato di omesso esame.
Pertanto, vanno accolti il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nonché rigettati gli altri; ne consegue la cassazione della sentenza gravata in relazione alle censure accolte e secondo quanto appena indicato, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione personale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza