Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2791 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2791 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 468/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘a vv. NOME COGNOME (EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’ avv. NOME (avvEMAIL;
– controricorrente –
nonché
CURATELA DEL FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1082/2022 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO, depositata il 27/6/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 27/6/2022, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento delle domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha pronunciato la risoluzione, per inadempimento della locatrice NOME COGNOME, del contratto di locazione stipulato, in data 28/12/2006, tra NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali locatori, e la società RAGIONE_SOCIALE, quale conduttrice;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva accertato l’inadempimento della COGNOME, nella specie consistito nell’impedire alle società ricorrenti l’uso del bene locato per l’attività commerciale cui era preordinato il contratto di locazione;
in particolare, secondo la corte territoriale, la COGNOME si sarebbe ingiustificatamente rifiutata (diversamente dagli altri comproprietari dell’immobile locato) di attivarsi al fine di ottenere la sanatoria dell’immobile indispensabile per il rilascio di una nuova certificazione di agibilità, a sua volta resasi necessaria a seguito delle modificazioni materiali apportate, all’immobile locato, dalla società (la RAGIONE_SOCIALE) che aveva condotto in locazione l’immobile prima della conclusione del contratto di locazione con la RAGIONE_SOCIALE e che aveva trasformato il locale magazzino (parte integrante del compendio concesso in locazione) in un laboratorio per la lavorazione delle carni;
l’esigenza delle nuove certificazioni amministrative era emersa, nel caso di specie, dopo che il Comune di Castelbuono aveva annullato in
autotutela (con determinazione n. 87 del 2013) il precedente provvedimento con il quale, in data 19/4/2013, era stata rilasciata una nuova autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività commerciale nell’immobile concesso in locazione;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d ‘ impugnazione;
la RAGIONE_SOCIALE affittuaria dell’attività aziendale gestita dalla RAGIONE_SOCIALE (a seguito della conclusione, in data 19/4/2013, di un corrispondente contratto di affitto di ramo d’azienda) resiste con controricorso;
nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede; la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 115 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.), per essersi la corte territoriale erroneamente rappresentata il contenuto del provvedimento n. 87 del 2013 con il quale il Comune di Castelbuono aveva annullato in autotutela il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale in favore della società conduttrice, non essendo emersa, in nessuna parte di tale provvedimento, la specifica indicazione dell’obbligo della parte locatrice di provvedere alla sanatoria dell’immobile locato al fine di regolarizzare il cambio di destinazione, da magazzino a laboratorio di carni ( illo tempore realizzato di fatto dalla RAGIONE_SOCIALE); e tanto, con particolare riguardo ai contenuti specifici del contratto di locazione, in forza del quale la società conduttrice aveva accettato di condurre in locazione un immobile catastalmente destinato, in parte, ad attività di supermercato e, per altra parte, a magazzino;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. e della legge Regione Sicilia n. 28/1999 (in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato l’atto amministrativo di annullamento in autotutela del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale in favore della società conduttrice avendo il giudice d’appello conferito a tale atto amministrativo un significato, non solo diverso da quello letterale, ma anche in violazione della legge regionale Sicilia n. 28/1999 che non richiede il rilascio di autorizzazioni amministrative al commercio per i locali censiti ad uso magazzino e destinati ad uso magazzino, conferendo altresì al ridetto provvedimento amministrativo un significato contrastante con quello dell’atto presupposto consistito nel parere del Segretario Comunale del Comune di Castelbuono;
con il terzo motivo, la ricorrente, censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1587 e 1362 e segg. c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale, nel sancire l’inadempimento contrattuale dell’istante , attribuito alle clausole del contratto di locazione concluso con la RAGIONE_SOCIALE un significato diverso da quello letterale, rinvenendo nel l’incontestato contenuto del contratto un inesistente obbligo di consentire alla regolarizzazione urbanistica dell’immobile concesso in locazione, con la conseguente violazione delle norme relative alla disciplina del contratto di locazione;
sotto altro profilo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente attribuito al contenuto della determinazione n. 87 del 2013 un significato diverso da quello letterale dell’atto;
con il quarto motivo, la ricorrente, censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere i giudici del merito erroneamente percepito il contenuto degli atti amministrativi dagli stessi richiamati, fondando illegittimamente sulla base di questi la prova dell’inadempimento della COGNOME;
con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte territoriale omesso di esaminare le numerose eccezioni di inadempimento analiticamente descritte in ricorso e puntualmente richiamate con l’atto d’appello;
il terzo motivo è fondato e suscettibile di assorbire la rilevanza delle restanti censure;
osserva il Collegio, come costituisca circostanza incontestata tra le parti l’avvenuta originaria concessione in godimento, da parte (anche) dell’odierna ricorrente, in favore della RAGIONE_SOCIALE, del compendio immobiliare catastalmente destinato, in parte, ad attività commerciale (supermercato), e in parte, a magazzino;
parimenti incontestata risulta la circostanza costituita dall’avvenuta materiale trasformazione del locale destinato a magazzino, da parte della RAGIONE_SOCIALE, in un laboratorio di carni; trasformazione (mai condotta a conoscenza dell’amministrazione pubblica) a seguito della quale gli originari certificati amministrativi di agibilità del locale magazzino divennero non più adeguati alla nuova situazione di fatto;
tale situazione, infatti, avrebbe imposto (al fine di proseguire nell’attività di lavorazione delle carni) l’adozione delle necessarie misure di adeguamento urbanistico del locale (ancora catastalmente destinato a magazzino) e, successivamente, la richiesta e il conseguimento di una nuova certificazione di agibilità (cfr. pagg. 7-8 della sentenza impugnata);
allorché, nel 2006, il compendio in esame venne concesso in locazione alla RAGIONE_SOCIALE, tale situazione di fatto – ossia la
difformità tra la formale destinazione catastale del locale a magazzino e la sua materiale (e irregolare) destinazione a lavorazione di carni continuò a perdurare senza che si provvedesse ad alcuna regolarizzazione della condizione urbanistica e catastale del locale; e ciò, pur a fronte dell’espressa e formale concessione in godimento (anche) di tale locale, in favore della RAGIONE_SOCIALE, come destinato a magazzino, senza alcuna menzione della sua destinazione alla lavorazione di carni;
in breve, la conduttrice RAGIONE_SOCIALE assunse in locazione e continuò ad utilizzare il locale magazzino come laboratorio di carni in contrasto con le espresse previsioni contrattuali, aventi ad oggetto la locazione di un locale destinato a magazzino (accanto al locale commerciale destinato a supermercato), e senza che neppure fosse stata conseguita alcuna regolarizzazione urbanistica e catastale (cfr. pagg. 7-8 della sentenza impugnata);
l’irregolarità amministrativa concernente la destinazione del locale (attuata in contrasto anche con le formali previsioni contrattuali) proseguì di fatto fino a quando l’autorità amministrativa, nel 2013, non ebbe occasione di rilevarlo, imponendo la sanatoria delle modificazioni di fatto originariamente apportate all’immobile dalla RAGIONE_SOCIALE e il successivo conseguimento di un nuovo certificato di agibilità a seguito della sanatoria;
tale agibilità, inizialmente concessa, fu di seguito annullata in autotutela dall’amministrazione competente, in ragione della mancata sanatoria delle modificazioni apportate per l’ adattamento del magazzino a laboratorio di carni;
in questo frangente, ebbe ad inserirsi l’atteggiamento contrattuale della COGNOME che, diversamente dagli altri comproprietari, si oppose alla richiesta di sanatoria, sostenendo di non aver mai autorizzato la
modificazione del locale destinato a magazzino in laboratorio di carni e pretendendo la prosecuzione del rapporto in conformità alle previsioni contrattuali, rimarcando l’obbligo di Superspesamia di utilizzare il compendio concesso in locazione, da un lato, come supermercato e, dall’altro, come magazzino;
la controversia in esame, pertanto, si riassume nel punto concernente l’esatta identificazione della parte che deve ritenersi inadempiente rispetto alle previsioni contrattuali: se la locatrice, per non aver consentito (attraverso la prestazione dell’assenso alla sanatoria delle modificazioni del magazzino) ad un uso della cosa locata conforme alle finalità contrattuali condivise dalle parti; o se, viceversa, la società conduttrice, per aver preteso di utilizzare di fatto l’immobile locato in difformità dalle pattuizioni contrattuali;
al fine di pervenire alla risoluzione di tale questione, varrà rimarcare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il mancato conseguimento, da parte del conduttore, dei titoli amministrativi abilitativi necessari allo svolgimento dell ‘ attività imprenditoriale può dar luogo alla responsabilità del locatore nel solo caso in cui lo stesso abbia formalmente assunto l’impegno volto al conseguimento di tali titoli amministrativi, ovvero se il loro ottenimento sia reso definitivamente impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 20796 del 20/08/2018, Rv. 650414 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014, Rv. 631823 – 01);
in breve – salvo il caso estremo (non ricorrente nel caso di specie), in cui il conseguimento dei necessari titoli amministrativi debba ritenersi oggettivamente non consentito, in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento – sarà il
conduttore (interessato all’effettiva idoneità del bene che intende assumere in locazione allo svolgimento della propria specifica attività imprenditoriale) a dover assumere ogni iniziativa conoscitiva e operativa ai fini dell’eventuale conseguimento dei titoli amministrativi conformi ai propri interessi, senza che, peraltro, a tale conseguimento il locatore possa ritenersi obbligato, là dove un simile obbligo non abbia formalmente assunto sul piano contrattuale;
è appena il caso di aggiungere come, in forza del principio della buona fede contrattuale – destinato a governare le relazioni tra le parti, a partire dall’instaurazione del rapporto precontrattuale (cfr. art. 1377 c.c.) fino alla successiva attività di interpretazione (cfr. art. 1366 c.c.) e di esecuzione del contratto (cfr. art. 1375 c.c.) – il locatore, pur quando non abbia formalmente assunto alcun impegno al conseguimento dei necessari titoli amministrativi, deve ritenersi comunque tenuto a collaborare con il conduttore al fine di ottenerli, là dove la sua fattiva partecipazione al corrispondente procedimento amministrativo sia indispensabile ai fini della realizzazione della causa contrattuale per come ricostruita attraverso l’interpretazione della volontà negoziale delle parti;
in tal caso, sarà tuttavia necessario, in sede interpretativa, dar conto in modo analitico degli specifici indici di fatto idonei a sostanziare e a giustificare l’effettiva imposizione, a carico del locatore, dell’obbligo di consentire al conseguimento dei titoli amministrativi indispensabili alla realizzazione della causa contrattuale, trattandosi comunque di una delicata operazione interpretativa volta in ogni caso a incidere (sia pure sul solo piano della qualificazione amministrativa) sulla sostanza economica e, dunque, sull ‘identità stessa di un bene alla cui trasformazione o modificazione il locatore comunque non intese assumere alcun formale o espresso impegno;
nel caso di specie, escluso che l’odierna parte locatrice avesse mai assunto alcun formale o espresso impegno volto al conseguimento dei titoli necessari allo svolgimento dell’attività imprenditoriale della società conduttrice, deve altresì escludersi che la stessa locatrice potesse ritenersi obbligata ex fide bona a collaborare al fine di ottenere quegli stessi titoli, non avendo la corte territoriale neppure univocamente evidenziato, in modo analitico, gli indici di fatto eventualmente idonei, sul piano interpretativo, a giustificare tale obbligo (volto a regolarizzare la trasformazione del magazzino in laboratorio di carni) in vista della realizzazione della causa contrattuale, tenuto conto in primo luogo della decisiva circostanza costituita dalle previsioni contrattuali aventi ad oggetto la locazione (non già di un laboratorio di carni, bensì) di un magazzino, in conformità alla relativa previsione catastale;
deve conseguentemente ritenersi che la decisione del giudice d’appello, nella misura in cui ha ritenuto sussistente un obbligo contrattuale della locatrice (odierna ricorrente) a consentire la trasformazione catastale del proprio bene (da magazzino a laboratorio di carni), al fine di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso pattuito ex art. 1575 n. 2 c.c. (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), si sia tradotta, in conformità alle censure articolate dalla ricorrente in corrispondenza del terzo motivo d’impugnazione , non già (o non tanto) in un’ erronea interpretazione del contratto concluso tra le parti dell’odierno giudizio, bensì nell ‘oggettiva falsa applicazione de ll’art. 1575, ossia delle norme destinate a individuare gli obblighi reciproci delle parti in conseguenza della stipulazione del contratto di locazione;
in breve, sussunti i fatti materiali del caso di specie (incontestati tra le parti) al contenuto di dette norme, all’atto della stipulazione del contratto di locazione del 2006, incombeva sulla società conduttrice,
interessata alla conduzione dell’immobile offerto dai locatori, l’onere di procedere all’esatta identificazione delle effettive potenzialità economiche dell’immobile rispetto alle proprie particolari esigenze imprenditoriali, eventualmente pretendendo l’assunzione, da parte dei locatori, dell’impegno volto a consentire il conseguimento dei titoli a tal fine necessari;
viceversa, l’aver assunto in locazione un locale-magazzino (contrattualmente definito come tale), trascurando di approfondire e di risolvere (nel proprio stesso interesse) la contraddizione costituita dall’evidente difformità della situazione catastale del bene rispetto alla sua effettiva condizione di fatto (di laboratorio di carni), senza neppure preoccuparsi di acquisire l’impegno dei locatore a consentire il conseguimento dei titoli necessari alle proprie specifiche esigenze imprenditoriali, non vale a tradursi, a distanza di tempo, nella pretesa di imputare alla locatrice la responsabilità contrattuale di non condividere quella volontà di trasformazione catastale, mai formalmente autorizzata;
sotto tale profilo, la motivazione, per come enunciata, commette il rilevato errore di sussunzione;
ne deriva, in accoglimento del terzo motivo di impugnazione, il riscontro dell’erroneità della sentenza impugnata, con la conseguente attribuzione al giudice del rinvio del compito di procedere a un’eventuale rilettura dei fatti di causa e degli elementi di prova già complessivamente acquisiti al giudizio, al fine di pervenire alla corretta distribuzione tra le parti degli obblighi contrattuali sulle stesse incombenti, in ipotesi anche attraverso la valorizzazione di quegli specifici indici di fatto (da precisare e indicare in termini analitici) eventualmente idonei a giustificare l’imposizione ex fide bona , a carico della parte locatrice, dell’obbligo di consentire al conseguimento dei
titoli amministrativi indispensabili alla realizzazione della causa contrattuale;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del terzo motivo (assorbiti tutti i restanti), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo; dichiara assorbiti tutti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione