Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12380 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12380 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
Oggetto: enti locali consorzi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15987/2019 R.G. proposto da Comune di Morcone, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1418/2019, depositata il 13 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
il Comune di Morcone propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata il 13 marzo 2019,
di reiezione del suo appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Benevento che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo con cui gli era stato intimato di pagare in favore del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione la somma di euro 63.986,56, a titolo di quota di contributi dovuti per il ripianamento dei disavanzi emersi negli anni 2007 e 2009;
la Corte di appello, confermando sostanzialmente la valutazione espressa dal giudice di prime cure, ha osservato che il credito in contestazione trovava fondamento nelle delibere del Consorzio, non impugnate, di approvazione dei rispetti bilanci e di riparto dei relativi disavanzi e , in generale, nell’esistenza di un rapporto associativo e non di scambio tra i consorziati tale da imporre sui singoli associati il peso degli sbilanci di esercizio, indipendentemente dalla prestazione del servizio reso in favore di ciascuno di essi;
-ha, inoltre, aggiunto che l’ente appellante non aveva illustrato le ragioni per cui il credito non poteva essere fatto valere nei suoi confronti pur in presenza della pacifica approvazione dei bilanci e della loro mancata impugnazione;
infine, ha osservato che non trovava applicazione ratione temporis il richiamato divieto del cd. salvataggio a tutti i costi introdotto dall’art. 6, comma 19, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, e che tardivo e, comunque, privo di pregio era il riferimento all’art. 194 t.u. enti loc. e ai suoi limiti;
il ricorso è affidato a sei motivi;
resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione;
il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione alla mancata spiegazione delle ragioni per le quali il disavanzo di esercizio debba essere considerato
quale debito derivante dalla mera partecipazione del Comune al Consorzio e non già un debito derivante dallo svolgimento dell’attività consortile da ripartire tra i comuni beneficiari del servizio;
con il secondo motivo deduce formula analoga censura sotto il diverso paradigma della motivazione apparente;
con il terzo motivo si duole del l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione al mancato esame del contenuto dei bilanci, in cui si darebbe evidenzia dell’ammontare delle somme dovute per quote associative e del distinto ammontare del disavanzo derivante dai costi sostenuti per lo svolgimento dei servizi, e alla circostanza che tali costi sono stati addebitati a tutti i Comuni consorziati e non solo a quelli che avevano usufruito del servizio;
con il quarto motivo critica la sentenza impugnata per «Violazione dell’obbligo del Giudice di verificare la fondatezza della domanda . Violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. -Violazione del principio jura novit curia -art. 113 c.p.c.»;
lamenta, in particolare, che il giudice di appello non ha verificato se il credito vantato dal Consorzio si riferiva a quote consortili ovvero a spese sostenute per la prestazione dei servizi;
con il quinto motivo lamenta la « Violazione dell’effetto devolutivo dell’appello e del principio jura novit curia. Violazione degli artt. 112, 113, 345 e 346 c.p.c.», per aver la Corte territoriale erroneamente affermato che il Comune non aveva contestato di essere tenuto al pagamento delle somme pretese dal Consorzio, il carattere vincolante delle delibere e la sua obbligazione al ripianamento delle perdite;
-con l’ultimo motivo censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 114 e 194 t.u. enti loc. e 2615 cod. civ., nella parte in cui ha omesso di considerare che i comuni consorziati non sono tenuti all’obbligo di ripianamento delle perdite del consorzio e di verificare la sussistenza delle condizioni cui il predetto art. 194 subordina il riconoscimento dei debiti fuori bilancio;
il primo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
si rileva che nella specie ricorre una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., per cui è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
parte ricorrente non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame dell e censure prospettate derivante dalla richiamata disposizione normativa;
-in ogni caso, si evidenzia che l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio deve intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, investendo, come nel caso in esame, l’omessa considerazione di un’argomentazione difensiva, irritualmente, estendono il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268; Cass. 6 settembre 2019, n. 22397);
il secondo motivo è infondato;
la Corte di appello ha ritenuto che nelle delibere consortili di approvazione dei bilanci e di riparto dei relativi disavanzi il debito del Comune è stato considerato quale risultante del rapporto associativo e che tali delibere non sono state impugnate, formando il titolo della pretesa del Consorzio;
per tale ragione, ha osservato, non assumeva rilevanza la questione sollevata dal Comune in ordine alla mancata inesistenza o mancata fruizione del servizio reso dal Consorzio medesimo, «gravitando, invece, la controversia circa l’effettiva debenza delle somme pretese
dall’attuale appellato sul tema della vincolatività o meno dei menzionati deliberati adottati dal Consorzio»;
-una siffatta motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo seguito dal giudice, per cui si sottrae alla censura articolata, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere presente (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127);
il quarto motivo è inammissibile;
-la doglianza, nel denunciare la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la mancata osservanza da parte sia delle norme di diritto, si risolve in una generica critica alla valutazione degli elementi probatori operata dal giudice, investendo, dunque, un accertamento a questo riservato (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
il quinto motivo è, del pari, inammissibile;
la doglianza non si confronta con la ratio decidendi che, come evidenziato in precedenza, consiste nella vincolatività delle delibere che hanno approvato i bilanci e i relativi piani di ripianamento del disavanzo in ragione della loro mancata impugnazione da parte degli associati;
la mancata contestazione cui la sentenza fa riferimento interesse solo questo aspetto e sul punto la statuizione non è aggredita dalla censura in esame;
-anche l’ultimo motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha rilevato che il riferimento all’art. 194 t.u. enti loc. è stato tardivamente articolato e che la questione «avrebbe dovuto costituire oggetto d ‘ appello per sostenere l’inapplicabilità della regola privatistica della vincolatività delle menzionate delibere in quanto non impugnate»;
ha, comunque, osservato che il mancato riconoscimento del debito fuori bilancio, quale quello in oggetto, secondo la procedura di cui al predetto art. 194 non era di ostacolo alla pronuncia di condanna al pagamento del credito, atteso che l’ente locale è tenuto, indipendentemente da qualsiasi valutazione di legittimità, a saldare il debito derivante da sentenze esecutive;
orbene, si rammenta che qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (così, Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840);
ciò è quanto avvenuto nel caso in esame in cui la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la questione relativa all’applicabilità dell’art. 194 t.u. enti loc. in quanto tardivamente proposta (solo con la comparsa conclusionale depositata in appello) e, comunque, con ulteriore motivazione aggiuntiva la ha ritenuta priva di fondamento;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 4.500,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 15 aprile 2025.