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Obblighi banca fideiussione: buona fede e doveri

La Corte di Cassazione ha stabilito che la banca viola i suoi obblighi nella fideiussione se concede ulteriore credito a un debitore in difficoltà finanziarie senza informare il garante. Questo comportamento, contrario al principio di buona fede, rende la garanzia inefficace. La Corte ha precisato che la violazione dell’art. 1956 c.c. può essere rilevata anche d’ufficio e non è strettamente legata a una tempestiva eccezione di parte, cassando la sentenza d’appello e rinviando per un nuovo esame.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Obblighi Banca Fideiussione: la Buona Fede è un Dovere Inderogabile

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale nei rapporti tra banche, debitori e garanti, chiarendo i fondamentali obblighi della banca nella fideiussione. La decisione sottolinea come il principio di buona fede e correttezza non sia una mera formalità, ma un pilastro che governa l’intero rapporto contrattuale, imponendo all’istituto di credito specifici doveri di protezione anche nei confronti del fideiussore.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un istituto di credito nei confronti di una società, debitrice principale, e dei suoi due fideiussori. Questi ultimi si opponevano al decreto, contestando la validità delle garanzie prestate. Il Tribunale di primo grado, dopo una consulenza tecnica, revocava parzialmente il decreto e condannava i fideiussori al pagamento di una somma ridotta.

I garanti proponevano appello, lamentando la nullità delle fideiussioni per violazione di norme imperative, tra cui l’articolo 1956 del codice civile, che regola la liberazione del fideiussore per obbligazioni future. La Corte d’Appello rigettava il gravame, ritenendo tardiva l’eccezione basata sull’art. 1956 c.c., poiché sollevata solo nella comparsa conclusionale del primo grado. Secondo i giudici di secondo grado, la violazione di tale norma comporterebbe solo un’inefficacia della garanzia, da eccepire tempestivamente, e non una nullità rilevabile d’ufficio. Contro questa decisione, i fideiussori hanno proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e gli Obblighi della Banca nella Fideiussione

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso dei fideiussori, cassando la sentenza d’appello e delineando con precisione gli obblighi della banca. Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 1956 c.c. e dei principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

La Corte ha ribadito che l’onere del creditore, previsto dall’art. 1956 c.c., di chiedere l’autorizzazione al fideiussore prima di concedere nuovo credito a un debitore le cui condizioni patrimoniali sono peggiorate, ha lo scopo di proteggere il garante da un aggravamento del rischio. La violazione di questo dovere informativo e di protezione non è una semplice inadempienza contrattuale, ma un comportamento contrario a buona fede che incide sulla causa stessa del contratto di garanzia.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine: l’obbligo di buona fede è una fonte integrativa del contratto, che impone doveri di protezione a prescindere da specifiche clausole. Anche in presenza di una clausola che dispensa la banca dal richiedere l’autorizzazione del fideiussore per nuove concessioni di credito, il comportamento dell’istituto deve sempre essere improntato a correttezza.

Secondo la Cassazione, quando una banca concede finanziamenti a un debitore pur conoscendone le difficoltà economiche e confidando unicamente sulla solvibilità del garante, senza informare quest’ultimo, viola i suoi obblighi. Tale condotta, in contrasto con il disposto dell’art. 1956 c.c., integra anche una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.).

La conseguenza non è una mera “inefficacia” da eccepire a pena di decadenza, ma una lesione della causa concreta del contratto di garanzia, che viene vanificata. Questo vizio è talmente grave da poter essere qualificato in termini di nullità o, comunque, da rendere la garanzia non più esigibile. La Corte ha affermato che la violazione dell’art. 1956 c.c. non comporta una nullità della fideiussione, ma la sua inefficacia, collegata a un inadempimento contrattuale della banca. Tuttavia, ha chiarito che il giudice può e deve rilevarla d’ufficio, qualora gli elementi di fatto siano già stati introdotti nel processo, in quanto si tratta di tutelare un principio fondamentale dell’ordinamento.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso applicando il principio secondo cui la violazione da parte della banca dell’obbligo di agire con buona fede e correttezza, specificato dall’art. 1956 c.c., rende la garanzia inefficace e libera il fideiussore. Questa pronuncia rafforza significativamente la tutela dei garanti, chiarendo che gli obblighi della banca nella fideiussione non possono essere elusi da clausole contrattuali e che la loro violazione ha conseguenze profonde sulla validità stessa dell’impegno assunto dal garante.

Una banca può continuare a concedere credito a un debitore in difficoltà senza informare e chiedere autorizzazione al fideiussore?
No. Secondo la Corte, la banca viola l’art. 1956 c.c. e il principio generale di buona fede se, consapevole del peggioramento delle condizioni economiche del debitore, continua a erogare credito senza la preventiva autorizzazione del fideiussore, aggravando così il rischio di quest’ultimo.

La violazione dell’obbligo di buona fede da parte della banca rende nulla la fideiussione?
L’ordinanza chiarisce che la violazione dell’art. 1956 c.c. non comporta la nullità, ma l’inefficacia della fideiussione. Questo è il risultato di un inadempimento contrattuale della banca che va contro i principi di correttezza e buona fede, vanificando la causa del contratto di garanzia.

L’eccezione di violazione dell’articolo 1956 c.c. deve essere sollevata subito nell’atto di opposizione?
No, non necessariamente. La Corte ha stabilito che la questione, essendo fondata sulla violazione di un dovere di buona fede che integra il contratto, può essere rilevata dal giudice anche d’ufficio, purché i fatti su cui si fonda siano già stati acquisiti nel processo. Non si tratta di un’eccezione in senso stretto soggetta a rigide decadenze processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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