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Obbligazioni subordinate: nullità o inadempimento?

Due risparmiatori hanno citato in giudizio un intermediario finanziario chiedendo la nullità del contratto di acquisto di obbligazioni subordinate, sostenendo che non potessero essere vendute a clienti retail. Il Tribunale ha rigettato la domanda. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, specificando che la vendita di strumenti complessi senza la dovuta valutazione di appropriatezza costituisce un inadempimento contrattuale e non una causa di nullità del contratto. La domanda di risarcimento per inadempimento è stata ritenuta inammissibile perché proposta per la prima volta in appello.

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Pubblicato il 22 luglio 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligazioni Subordinate: Quando il Contratto è Valido ma l’Intermediario è Inadempiente?

Una recente sentenza della Corte di Appello di Bologna offre un’importante lezione sulla distinzione tra nullità del contratto e inadempimento dell’intermediario nell’acquisto di obbligazioni subordinate. Questo caso chiarisce che la vendita di strumenti finanziari complessi a un cliente retail non rende automaticamente nullo il contratto, ma sposta l’attenzione sugli obblighi di condotta della banca. Vediamo come la Corte è giunta a questa conclusione.

I Fatti: L’Acquisto Contestato

Due coniugi avevano acquistato, nel 2014, obbligazioni subordinate per un valore di quasi 50.000 euro tramite un intermediario finanziario. Successivamente, ritenendo di aver subito un danno, hanno intentato una causa sostenendo principalmente due punti:
1. Nullità del contratto: A loro avviso, le obbligazioni acquistate non potevano essere vendute alla clientela ‘retail’ (cioè ai piccoli risparmiatori), ma solo a investitori istituzionali. Ciò avrebbe reso l’oggetto del contratto impossibile o illecito, causandone la nullità ai sensi dell’art. 1418 del codice civile.
2. Mancanza di informative: Lamentavano la violazione delle norme informative, come la mancata consegna del documento sui rischi generali dell’investimento.

In subordine, chiedevano il risarcimento del danno pari all’intero capitale investito.

La Decisione del Tribunale di Primo Grado

Il Tribunale di Parma aveva rigettato tutte le domande dei risparmiatori. Secondo il giudice, le accuse erano infondate o generiche. La banca aveva infatti prodotto in giudizio la documentazione firmata dai clienti e dimostrato che le obbligazioni erano state vendute sul mercato secondario e non in fase di collocamento iniziale, rendendo legittima l’operazione.

I Motivi dell’Appello

I risparmiatori hanno impugnato la sentenza, insistendo su due motivi principali:
1. Errata valutazione sull’alienabilità: Hanno ribadito che le obbligazioni, essendo strumenti complessi, non potevano essere vendute a clienti retail, il che doveva comportare la nullità del contratto.
2. Violazione degli obblighi informativi: Hanno introdotto un nuovo argomento, sostenendo che l’intermediario avrebbe violato l’art. 21 del Testo Unico della Finanza (TUF) e l’art. 42 del Regolamento Intermediari, non avendoli informati dell’inappropriatezza dell’operazione e non avendo ottenuto il loro consenso scritto.

L’intermediario si è difeso chiedendo il rigetto dell’appello.

Le Motivazioni della Corte d’Appello: Nullità vs Inadempimento per le obbligazioni subordinate

La Corte di Appello di Bologna ha respinto l’appello, confermando la sentenza di primo grado, ma con motivazioni molto precise che costituiscono il cuore della decisione.

Primo Motivo: La Non Alienabilità è un Falso Problema

La Corte ha smontato la tesi della nullità del contratto. Ha chiarito che le norme (come gli artt. 43 e 44 del Regolamento Intermediari) non stabiliscono un divieto assoluto di vendita di strumenti complessi ai clienti retail. La complessità di un prodotto finanziario, come le obbligazioni subordinate, non ne causa l’inalienabilità.

La vera conseguenza legale della complessità è un’altra: impone all’intermediario obblighi più stringenti. In particolare, la banca è tenuta a effettuare una valutazione di appropriatezza, ossia deve verificare che il cliente abbia le competenze e l’esperienza per capire i rischi che sta correndo.

Se la banca omette questa valutazione, non si ha la nullità del contratto, ma un inadempimento contrattuale. Si tratta di una violazione delle regole di condotta, che può dare diritto a un risarcimento del danno, ma non invalida l’acquisto in sé.

Secondo Motivo: La Domanda di Risarcimento è Inammissibile

Il secondo motivo di appello, basato sulla violazione degli obblighi informativi e di valutazione dell’appropriatezza, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha rilevato che si trattava di una ‘domanda nuova’ introdotta per la prima volta in appello.

In primo grado, la richiesta di risarcimento era una conseguenza della presunta nullità del contratto. In appello, invece, i risparmiatori hanno fondato la richiesta su una causa diversa: l’inadempimento contrattuale della banca. Il nostro sistema processuale vieta di modificare in appello la ‘causa petendi’ (i fatti e le ragioni giuridiche su cui si basa la domanda), e per questo motivo la Corte non ha potuto nemmeno esaminare nel merito la questione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Investitori

Questa sentenza offre due insegnamenti fondamentali per i risparmiatori:
1. Attenzione alla strategia legale: Contestare un investimento in strumenti complessi sulla base della nullità del contratto è una strada spesso in salita. La giurisprudenza è orientata a considerare le violazioni degli obblighi informativi come un inadempimento contrattuale, che dà diritto al risarcimento del danno (se provato), ma non rende nullo l’acquisto.
2. Tempestività delle contestazioni: È cruciale presentare fin dal primo grado di giudizio tutte le proprie argomentazioni. Introdurre nuovi motivi di richiesta in appello, come una diversa causa di risarcimento, rischia di renderli inammissibili, precludendo ogni possibilità di successo su quel fronte.

La vendita di obbligazioni subordinate a un cliente retail è sempre nulla?
No. Secondo la Corte, la normativa non prevede un divieto assoluto di vendita. La complessità dello strumento impone all’intermediario l’obbligo di effettuare una valutazione di appropriatezza. La sua omissione costituisce un inadempimento contrattuale, non una causa di nullità del contratto.

Cosa succede se un intermediario vende uno strumento finanziario complesso senza fare la valutazione di appropriatezza?
L’intermediario commette un inadempimento contrattuale per violazione delle regole di condotta. Questo comportamento può dare diritto al cliente di chiedere il risarcimento dei danni subiti, a condizione che riesca a provare il nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno.

È possibile chiedere in appello un risarcimento per motivi diversi da quelli discussi in primo grado?
No. La sentenza ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento basata sull’inadempimento degli obblighi informativi perché era una ‘domanda nuova’ rispetto a quella di primo grado, che si fondava sulla nullità. Nel processo civile vige il divieto di proporre nuove domande in appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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