Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25309 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25309 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27906/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME domiciliato ex lege presso il domicilio indicato nella pec, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
CONFEDERAZIONE NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1608/2020 depositata il 22/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso del 3 febbraio 2010 la Confederazione Nazionale RAGIONE_SOCIALE richiedeva al Tribunale di Firenze di emettere un decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME per il pagamento della somma di euro 156.215, oltre interessi facendo presente di avere stipulato con l’ingiunto una scrittura privata in data 28 maggio 2008 con la quale il dott. COGNOME esperto del mercato russo e ucraino, si impegnava a far iscrivere a ‘CNA in proprio’ un minimo di 200 architetti r ussi e ucraini entro il 31 dicembre 2008 e altrettanti entro il 30 giugno 2009. Per tali prestazioni la CNA aveva deliberato la erogazione di un mutuo di scopo. Con successiva scrittura privata del 26 giugno 2009 le parti convenivano la restituzione di tale somma in tre rate. Rispetto a tali scadenze il professionista era risultato inadempiente e per tale ragione destinatario del decreto ingiuntivo.
Avverso tale decreto COGNOME proponeva opposizione contestando l’inadempimento e deducendo di avere sostenuto ingenti spese per lo svolgimento dell’attività, che chiedeva in via riconvenzionale per l’importo di euro 200.000 e aggiungeva di avere già res tituito l’importo di euro 100.000. Quanto al preteso inadempimento sosteneva che la mancata iscrizione degli architetti era dipesa dal difetto di una autorizzazione imputabile a CNA, avrebbe dovuto a ciò provvedere.
L’opposta contestava le deduzioni dell’opponente rilevando che l’importo di euro 100.000 era stato corrisposto ad altro titolo, concludendo per la conferma del decreto ingiuntivo.
Il Tribunale di Firenze con sentenza del 21 ottobre 2015 rigettava l’opposizione e compensava le spese di lite.
Avverso tale decisione proponeva appello NOME COGNOME con atto di citazione del 10 dicembre 2015 insistendo per la revoca del decreto ingiuntivo, limitando al più ad euro 50.000 la somma residua dovuta e per l’accoglimento della riconvenzionale per i danni subiti da determinarsi in separata sede.
Con ordinanza del 15 maggio 2019 la Corte territoriale invitava le parti ad esperire il tentativo di mediazione che si concludeva con verbale negativo.
Con sentenza del 27 agosto 2020 la Corte d’appello di Firenze respingeva l’impugnazione con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME con ricorso notificato il 27 ottobre 2020 affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso CNA, che deposita memoria ai sensi dell’articolo 380 -bis1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la impossibilità della prestazione da parte del ricorrente. Violazione falsa applicazione dell’articolo 1256 c.c. in particolare l’impossibilità liberatoria si può prospettare solo con riferimento ad un singolo rapporto obblig atorio, ‘come è avvenuto nella fattispecie’.
Con il secondo motivo si deduce la responsabilità del mandante per mancata somministrazione al mandatario dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e conseguente violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1719 e 1720 c.c.
In particolare, l’articolo 4 della scrittura privata del 10 dicembre 2008 prevedeva che l’incarico non attribuiva all’odierno ricorrente alcun potere di rappresentanza della CNA. La scrittura privata del 26 giugno 2009 nella parte in cui le parti hanno convenuto di prorogare il rimborso del finanziamento di euro 150.000, è stata stipulata sulla
base della errata convinzione che entro la data di scadenza delle rate di restituzione la CNA avrebbe acquisito le autorizzazioni necessarie per operare in Russia. Rispetto a tale prestazione la stessa, al contrario, è risultata del tutto inadempiente.
Con il terzo motivo si lamenta la responsabilità del mandante e si deduce il diritto del mandatario di ripetere il pagamento non dovuto e la violazione degli articoli 1218, 1463 e 2033 c.c. Il ricorrente ha versato alla CNA la somma di euro 100.000 con l’i niziale intenzione di anticipare le future iscrizioni degli architetti russi. Poiché tale risultato non si è realizzato per colpa esclusiva della mandante, tali somme avrebbero dovuto essere restituite all’odierno ricorrente, eventualmente a titolo di ingiusto arricchimento.
Con il quarto motivo si deduce la contraddittorietà esistente tra la motivazione della ordinanza della Corte d’appello di Firenze del 15 maggio 2019 con la quale si invitavano le parti alla mediazione e la successiva motivazione della sentenza del 27 agosto 2020. Nell’ordinanza la Corte rilevava che non risultava infondato con evidenza il primo motivo di appello. Circostanza poi non ribadita nella sentenza.
I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Il ricorrente, infatti, non censura in modo specifico la sentenza impugnata e sono del tutto privi del riferimento alle ipotesi di vizi di cui all’articolo 360 c.p.c. che si intendono denunziare.
Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è il portato dei principi sulle nullità degli atti processuali e particolarmente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156, secondo comma, cod. proc. civ.). Il motivo di ricorso per cassazione, deve articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le
circostanze idonee ad evidenziarlo. L’attività di verifica della Corte anche rispetto all’ error in procedendo , per poter essere utilmente esercitata, presuppone che la denuncia del vizio processuale sia stata enunciata con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo, di cui si denunci la violazione, in modo che la Corte venga posta nella condizione di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica (Cass. Sez. 3del 04/03/2005 (Rv. 581594 – 01).
Nel caso di specie, alcuni motivi si risolvono nella trascrizione di disposizioni codicistica e nel riferimento ad orientamenti di giurisprudenza, del tutto sganciati dalla vicenda in oggetto, senza confrontarsi con le argomentazioni della Corte territoriale.
Oltre a ciò, quanto al primo e secondo motivo, le doglianze sono infondate perché il ricorrente non contesta la natura di obbligazione di risultato dell’obbligo assunto, ma lamenta la falsa applicazione dell’art. 1256 c.c., rilevando che l’obbligazione sì sarebbe estinta perché divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore. Ma tale circostanza resta indimostrata, poiché le deduzioni relative alla presunta autorizzazione e la riferibilità dell’inadempimento alla posizione del controricorrente sono generiche come evidenziato dai giudici di merito.
Conseguentemente non ricorre la violazione o falsa applicazione degli artt. 1719 e 1720 c.c. perché a fronte dell’impegno contrattuale assunto dal ricorrente nei confronti di CNA Firenze di ottenere il numero di adesioni di professionisti concordato, non è stata fornita alcuna dimostrazione di un comportamento inerte di CNA.
Quanto al terzo motivo la somma di euro 100.000,00 era stata corrisposta in considerazione degli impegni di target assunti e quale anticipazione definitiva delle iscrizioni contrattualmente previste e costituiva una ‘sorta di risarcimento del danno’ per i mancati ricavi che il COGNOME avrebbe dovuto garantire.
Pertanto, resta indimostrata la tesi del ricorrente secondo cui tale somma avrebbe dovuto essere imputata a parziale estinzione del prestito di euro 150.000; importo che, al contrario, restava immutato, come rilevato dai giudici dai giudici di merito ed era oggetto della scrittura del 26 giugno 2009 con la quale infatti il ricorrente assumeva l’obbligo della restituzione dilazionata della predetta somma.
Infine, non è configurabile alcuna contraddittorietà tra l’ordinanza emessa in data 15/5/2019 e la sentenza, atteso il tenore dell’art. 177, c.p.c. e la conseguente revoca implicita delle ordinanze pronunciate in corso di causa, con la pubblicazione della sentenza.
Con il quinto motivo si insiste per la ammissibilità dell’appello attesa la sussistenza dei requisiti previsti all’articolo 342 c.p.c. Si ribadisce che l’atto di appello, composto da 19 pagine, non era fondato su richieste variegate, ma sulla restituzione della somma di euro 100.000 e sulla richiesta di danni.
Il motivo è assorbito in considerazione del rigetto delle precedenti doglianze e ciò rende inutile la verifica, della ritualità prima e della fondatezza poi, della censura.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore della controricorrente in € 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 14 aprile 2025
Il Presidente NOME COGNOME