Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4163 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4163  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2960/2023 R.G.  proposto da: COGNOME  NOME, quale titolare della omonima impresa individuale, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale alle liti in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (EMAIL), domiciliato per legge presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante, rappresentata  e  difesa,  giusta  procura  in  calce  al  controricorso, dall’AVV_NOTAIO, ,  così elettivamente domiciliata
-controricorrente –
avverso  la  sentenza della  Corte  d’ appello  di L’Aquila n.  1485/2022, pubblicata in data 24 ottobre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre 2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMEAVV_NOTAIO COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME, titolare dell’omonima impresa individuale, conveniva  in  giudizio  la  RAGIONE_SOCIALE  al  fine  di  sentir  dichiarare  la risoluzione,  per  inadempimento  della  convenuta,  del  contratto  di videosorveglianza  con  la  stessa  concluso  e  al  fine  di  ottenere  il risarcimento del danno patito.
A supporto della domanda esponeva che: a) in data 14 dicembre 2011 aveva sottoscritto un contratto di commissione di servizio ispettivo di videosorveglianza per l’attività di rifornimento di carburante che svolgeva presso la stazione ubicata in San Salvo Marina; b) nella notte del 23 gennaio 2012, ignoti avevano forzato la colonnina del self service , asportando l’intero incasso senza che alcun segnale di allarme si fosse attivato; c) nella notte del 1° aprile 2012, pur avendo disattivato l’allarme, non aveva ricevuto alcuna chiamata, seppure contrattualmente prevista; d) nella notte del 14 maggio 2012 aveva ricevuto comunicazione di attivazione del segnale di allarme e, dopo essere stato contattato dai referenti dell’istituto di sorveglianza, era stato rassicurato circa il fatto che, dopo un sopralluogo di una guardia giurata, non erano state rilevate sul posto anomalie, ma il giorno successivo aveva riscontrato un furto perpetrato da ignoti.
Instauratosi  il  contraddittorio,  si  costituiva  la  RAGIONE_SOCIALE,  che negava ogni addebito e spiegava domanda riconvenzionale chiedendo la corresponsione dei canoni contrattualmente dovuti.
il Tribunale  di Chieti dichiarava  la risoluzione del contratto, ritenendo  provato  l’i nadempimento  della  convenuta  in  relazione  al furto  subito  dall’attore  in  data  14  maggio  2012 ,  e  rigettava  la domanda riconvenzionale.
Interposto gravame dalla soccombente, la quale ribadiva che il teste  escusso  in  primo  grado  aveva  confermato  di  avere  eseguito, nella  notte  del  14  maggio  2012,  una  video  ispezione  e  di  avere inviato  una  pattuglia  in  loco, la  Corte  d’appello  ha  parzial mente accolto  l’appello,  rilevando  che  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva assolto  gli obblighi contrattuali.
In particolare, i giudici di appello hanno osservato che dal video prodotto dall’appellante emergeva che il furto, poi denunciato dal COGNOME, non fosse avvenuto nella contestualità della ricezione del segnale di allarme, ma successivamente ad esso e senza che le parti avessero dedotto, con riferimento a tale successivo momento temporale, ulteriori e diverse circostanze dell’inoltro di altro segnale di allarme. Più precisamente, hanno rilevato che la condotta furtiva era avvenuta in orario diverso rispetto a quello pacificamente indicato dalle parti, segnatamente tra le ore 03,15 e le ore 03,30, ossia almeno un’ora dopo dalla ricezione del segnale d’allarme , ed hanno, di conseguenza, ritenuto che, a fronte dell a prova dell’ adempimento, fornita da ll’appellante, degli obblighi stabiliti negozialmente, l’appellata avrebbe dovuto comprovare il proprio assunto difensivo (ossia il non riallineamento degli orari del sistema di videosorveglianza) mediante l’indicazione di specifici mezzi di prova.
La Corte territoriale, inoltre, ha accolto la domanda riconvenzionale  limitatamente  ad  alcune  somme  portate  da  alcune fatture,  condannando il  COGNOME  a  restituire  all’appellante  le  somme da questa corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado.
 NOME  COGNOME  ricorre  per  la  cassazione  della  decisione
d’appello, sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
 La  trattazione  è  stata  fissata  in  camera  di  consiglio  ai  sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Ragioni della decisione
 Con  il  primo  motivo il  ricorrente  deduce,  in  relazione  all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,  la ‹‹ nullità  della  sentenza resa dalla Corte d’appello per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 99 c.p.c.›› .
Sostiene  che  i  giudici  d’appello  sarebbero  incorsi  nel  vizio  di ultrapetizione  per averlo  condannato  alla  restituzione di  quanto corrisposto  dall’appellante  in  esecuzione  della  sentenza  di  primo grado, sebbene non fosse stata formulata, sul punto, domanda.
1.1. La censura è infondata.
1.2. Questa Corte ha già chiarito (Cass., sez. 1, 12/02/2016, n. 2819; Cass., sez. 3, 02/07/2019, n. 17664) come l’art. 336 cod. proc. civ., disponendo che la riforma o la cassazione della sentenza estenda i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla decisione riformata o cassata, comporti che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. In sostanza, è sufficiente l’accoglimento dell’impugnazione perché sorga l’obbligo restitutorio. L’esistenza, peraltro, di un credito certo, liquido ed esigibile non comporta un’implicita condanna a pagare, e la necessità di una pronuncia
restitutoria espressa rende ammissibile la relativa domanda; la quale, tuttavia, non costituisce neppure un presupposto indefettibile della pronuncia stessa. Infatti, è ammissibile la pronuncia anche d’ufficio sulle restituzioni conseguenti alla riforma della sentenza: nel giudizio di appello, il ripristino può, cioè, essere disposto anche di ufficio dal giudice, il quale ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti a tal fine necessari (Cass., sez. 1, 29/10/2020, n. 23972; Cass., sez. 6 -3, 21/11/2019, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Con il secondo motivo, censurando la sentenza gravata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per ‹‹ violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112, 115, 116, 167 c.p.c. e 2697 c.c. ›› , il ricorrente sostiene che la Corte d’appello sarebbe addivenuta all’accoglimento del gravame con una forzatura del dato probatorio acquisito, valorizzando alcune circostanze emergenti da documenti e non procedendo ad una valutazione globale di tutto il materiale probatorio offerto.
Sostiene, in particolare, che i giudici di merito hanno rigettato la domanda di risoluzione del contratto argomentando sulla possibile perpetrazione del furto in orario diverso rispetto a quello in cui si era attivato il segnale di allarme, sebbene tale circostanza non fosse mai stata prospettata dalla parte appellante, che si era limitata a produrre il video, né risultasse suffragata dalle risultanze processuali, dando quindi rilevanza a fatti estranei al thema decidendum , sulle quali non si era instaurato il contraddittorio. Non avvedendosi che la dinamica dei fatti non era in contestazione tra le parti, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto fare applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e ritenere fondata la domanda di risoluzione del contratto.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Occorre premettere che l’obbligazione assunta dall’istituto di
vigilanza con il contratto in esame non può ritenersi di risultato, non potendo certamente l’istituto assumere l’obbligo di impedire in modo assoluto  che  il  proprio  cliente  subisca  un  furto,  ma  deve  essere considerata  obbligazione  di  mezzi,  dovendo  l’istituto  predisporre  le tutele convenute per garantire la sicurezza dei luoghi.
Di conseguenza, il riferimento, contenuto a pag. 18 del ricorso, ad una ‹‹potenziale  utilità  allo  scopo  dell’impianto  di  allarme›› ,  che, secondo l’assunto di parte ricorrente, costituisce ‹‹ nozione di fatto ›› rientrante  nella  comune  esperienza,  ai  sensi  del  secondo  comma dell’art. 115 cod. proc. civ., costituisce argomentazione che il giudice non  avrebbe  potuto  porre  a  fondamento  della  decisione  al  fine  di dichiarare l’inadempimento dell’istituto di vigilanza.
Posto ciò, le censure svolte con il mezzo in esame non colgono nel segno. La Corte d’appello, all’esito della valutazione del corredo probatorio relativo all’episodio del furto consumato da ign oti in data 14 maggio 2012, ha accertato, con apprezzamento di fatto non scrutinabile in questa sede perché adeguatamente motivato con argomentazioni prive di vizi logici, che l’istituto di vigilanza ha pienamente assolto gli obblighi contrattualmente assunti, risultando dalla relazione di servizio predisposta dal dipendente della società RAGIONE_SOCIALE, confermata in sede di escussione, che alle ore 02,11 era giunta alla centrale operativa una segnalazione di allarme riferibile al sito del COGNOME, che l’operatore collegato per effettuare la video -ispezione, pur non avendo riscontrato anomalie, aveva comunque inviato una pattuglia al fine di effettuare una ispezione, che aveva, tuttavia, dato esito negativo per non essere stati riscontrati segni di effrazione.
Alla luce di tali elementi emersi dalla istruttoria espletata in primo grado,  il giudice d’appello ha  ritenuto non  ravvisabili profili di inadempimento a carico dell’istituto di vigilanza, avendo quest’ultimo
dato prova che l’allarme e le telecamere avevano funzionato e che erano state poste in essere tutte le attività di ispezione previste in contratto. Piuttosto, il giudice d’appello ha desunto, dal video prodotto in giudizio da RAGIONE_SOCIALE, che il furto era stato perpetrato in un orario diverso da quello indicato dalle parti e che, in difetto di prova di segno contrario, non offerta dal COGNOME, non poteva ritenersi che la diversa indicazione di orario fosse da ricondurre al ‹‹ mancato adeguamento tra ora solare ed ora legale ›› .
A fronte della ricostruzione della vicenda fattuale come sopra delineata, il giudice di merito ha, dunque, escluso la sussistenza di una condotta inadempiente in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, puntualizzando che il video comprovava che il furto, denunciato dal COGNOME, fosse stato attuato in un momento successivo a quello di ricezione del segnale d’allarme e della ispezione effettuata dalla pattuglia, senza che fosse stato provato, da parte del COGNOME, l’inoltro di un diverso segnale d’allarme che avrebbe imposto all’istituto di vigilanza, in esecuzione degli obblighi contrattuali, di attivarsi ulteriormente sia utilizzando le telecamere, sia effettuando una visita ispettiva in loco.
Il giudice non è, pertanto, incorso né nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., che presuppone che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867), né tanto meno nella violazione del precetto dell’art. 2697 cod. civ., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla
differenza  tra  fatti  costitutivi  ed  eccezioni  e  non,  invece,  laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove  proposte  dalle  parti.  (Cass.,  sez.  3,  29/05/2018,  n.  13395, Cass., sez. 6 -3. 31/08/2020, n. 18092).
Difatti, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, allegando la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass., sez. U, n. 13533/2001) e ha fondato la decisione sulle sole risultanze di causa, valorizzando, in particolare, l’orario indicato nel video prodotto in giudizio, attestante che il furto avvenuto in data 14 maggio 2012 non si era verificato in concomitanza con la ricezione del segnale d’allarme, ma in un momento temporalmente successivo.
A ben vedere, le doglianze del ricorrente sono volte a dedurre che il giudice d’appello ha male esercitato il potere di apprezzamento delle prove, ma tale contestazione è possibile in sede di legittimità entro i ristretti limiti in cui il novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente ancora il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n 8054), dovendosi, peraltro, escludere che ricorra la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., che è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‹‹ prudente apprezzamento ›› , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di  valutazione,  abbia  dichiarato  di  valutare  la  stessa  secondo  il  suo prudente apprezzamento (Cass., sez. U, n 20867/2020, cit.).
Con il terzo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte territoriale considerato che aveva contestato il ‹‹ complessivo inadempimento della RAGIONE_SOCIALE ›› , adducendo una serie di fatti e circostanze -quali il furto del 23 gennaio 2012, l’omessa comunicazione della disattivazione del segnale di allarme la notte del 1° aprile 2012 ed il furto subito la notte del 14 maggio 2012 -a dimostrazione della totale inadeguatezza dell’impianto e dei servizi di videosorveglianza. In ogni caso, secondo la ricorrente, anche a voler ritenere che RAGIONE_SOCIALE avesse correttamente e tempestivamente eccepito il differente orario, i giudici di appello avrebbero dovuto scrutinare anche l’ulteriore rilievo formulato, con cui aveva esplicitamente chiesto di spiegare perché, ammesso che il furto fosse avvenuto alle ore 03,13, l’allarme non avesse rilevato la manomissione successiva; tali fatti, pur se dedotti, non erano stati esaminati, sebbene rilevanti e decisivi.
3.1. La censura è infondata.
3.2. I fatti che l’odierno ricorrente assume siano stati pretermessi dal giudice d’appello non rilevano, in quanto trattasi di fatti che non hanno costituito oggetto di appello incidentale.
Quanto detto trova conferma nella sentenza qui impugnata, nella quale,  a  pag.  11  della  motivazione,  si  legge: ‹‹ gli  inadempimenti asseritamente dedotti nel giudizio di prime cure e causa dei precedenti furti sono stati esclusi nell’impugnata sentenza, non fatta oggetto  di  gravame  sul  punto  dall’appellata  e,  quindi,  sul  punto passata  in  giudicato…›› .    Il  giudizio  di  secondo  grado  ha,  in  realtà, riguardato  esclusivamente  la  vicenda  relativa  al  furto  verificatosi  in
data  14  maggio  2012  e  gli  altri  episodi  che  il  ricorrente  invoca  in questa sede a dimostrazione dell’inadempimento della controricorrente,  non  attenendo  alle  questioni  devolute  al  giudice d’appello, non dovevano da questi essere prese in esame.
Quanto poi agli ulteriori rilievi svolti dal ricorrente, sostanzialmente volti a criticare il convincimento del giudice di appello, è sufficiente ribadire che rimane estranea al vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi contestazione che mira a denunciare l’apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940) e che, in ogni caso, non costituiscono ‹‹ fatti ›› , il cui omesso esame possa essere cagionare il vizio qui contestato: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass., sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‹‹ vario insieme dei materiali di causa ›› (Cass., sez. L, 21/10/2015, n. 21439; Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 24/11/2020, n. 26709).
Alla infondatezza dei motivi non può che conseguire il rigetto del ricorso.
Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  seguono  la  soccombenza  e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello  previsto  per  il  ricorso  principale,  a  norma  del  comma  1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Terza  Sezione