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Obbligazione di facere: la promessa del venditore

La Corte di Cassazione chiarisce che quando un venditore riconosce i vizi di un bene e si impegna a eliminarli, sorge una nuova e autonoma obbligazione di facere. Questa non è soggetta ai brevi termini della garanzia per vizi, ma alla disciplina ordinaria. Di conseguenza, in caso di contestazione, spetta al venditore (debitore) provare di aver eseguito le riparazioni a regola d’arte, e non all’acquirente (creditore) dimostrare l’inesatto adempimento. La Corte ha applicato questo principio in un caso relativo a difetti di una lussuosa imbarcazione.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligazione di facere: la promessa del venditore di riparare i vizi cambia tutto

Quando si acquista un bene e si scoprono dei difetti, la legge prevede specifiche tutele. Ma cosa succede se il venditore, invece di subire passivamente le azioni legali, riconosce i vizi e si impegna attivamente a eliminarli? Secondo una recente ordinanza della Corte di Cassazione, questo impegno genera una nuova e autonoma obbligazione di facere, trasformando radicalmente il quadro giuridico della controversia, soprattutto per quanto riguarda la prova in giudizio. Analizziamo questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

La vicenda riguarda l’acquisto di una lussuosa imbarcazione da diporto. Dopo la consegna, l’acquirente, una società utilizzatrice del bene in leasing finanziario, riscontra diversi vizi, tra cui distacchi e spaccature della vernice cangiante, la mancata chiusura di un pozzetto in cristallo e il montaggio di un tetto scorrevole in vetroresina anziché in cristallo, come pattuito.

La società venditrice riconosce formalmente i difetti con un verbale e si impegna a eliminarli. Tuttavia, gli interventi eseguiti non si rivelano risolutivi. In particolare, i problemi alla verniciatura si ripresentano poco tempo dopo la riconsegna dell’imbarcazione. L’acquirente decide quindi di agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni, quantificati nel costo necessario per eliminare definitivamente i vizi.

Il Tribunale di primo grado respinge la domanda, ritenendo che i vizi fossero facilmente riconoscibili e che, quindi, la garanzia dovesse considerarsi esclusa ai sensi dell’art. 1491 c.c. La Corte d’Appello, invece, riforma la decisione, accogliendo la richiesta dell’acquirente e condannando la società venditrice al pagamento di una cospicua somma. La venditrice, non soddisfatta, ricorre per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’obbligazione di facere

La Suprema Corte rigetta il ricorso della società venditrice, confermando integralmente la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta qualificazione giuridica dell’impegno assunto dal venditore.

I giudici di legittimità ribadiscono un principio consolidato: l’impegno del venditore a eliminare i vizi della cosa venduta non è una semplice appendice della garanzia contrattuale. Esso dà vita a una nuova e autonoma obbligazione di facere, ovvero un obbligo di compiere una determinata attività. Questa nuova obbligazione si affianca alla garanzia originaria (senza sostituirla, a meno di un espresso accordo novativo) ed è soggetta alla disciplina generale delle obbligazioni (art. 1218 c.c. e seguenti), non più alle regole speciali e restrittive della compravendita.

Le conseguenze sull’onere della prova e l’obbligazione di facere

La conseguenza più rilevante di questa qualificazione giuridica riguarda la ripartizione dell’onere della prova. Nelle azioni di garanzia per vizi, è tendenzialmente l’acquirente a dover provare l’esistenza del difetto. Quando, invece, si fa valere l’inadempimento dell’obbligazione di facere, si applica il principio generale stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 13533/2001).

Secondo tale principio, al creditore (l’acquirente) è sufficiente allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore. Spetta poi al debitore (il venditore che si è impegnato alla riparazione) dimostrare di aver adempiuto esattamente la propria prestazione, cioè di aver eseguito gli interventi a regola d’arte e in modo risolutivo. Nel caso di specie, la società venditrice non è riuscita a fornire tale prova.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha smontato uno per uno gli otto motivi di ricorso presentati dalla società venditrice, basando le proprie motivazioni su argomenti chiari e coerenti.

In primo luogo, ha chiarito che l’impegno a riparare i vizi sposta la controversia dal terreno della garanzia edilizia a quello dell’inadempimento contrattuale ordinario. Ciò significa che non valgono più i brevi termini di decadenza (otto giorni dalla scoperta) e di prescrizione (un anno dalla consegna) previsti per la denuncia dei vizi, ma si applica il termine di prescrizione ordinario di dieci anni.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che l’inversione dell’onere probatorio è una diretta conseguenza di questa impostazione. Il venditore, assumendosi l’obbligo di riparare, si è posto nella posizione di un qualsiasi debitore tenuto a una prestazione di fare. A fronte della contestazione del creditore (che lamentava la persistenza dei difetti), era onere del venditore provare la correttezza del proprio operato. La semplice riconsegna del bene non è sufficiente a dimostrare l’esatto adempimento, soprattutto quando i vizi si ripresentano poco dopo.

Infine, i giudici hanno respinto anche le censure relative alla quantificazione del danno e all’interpretazione dell’accordo originario, ritenendole questioni di merito non sindacabili in sede di legittimità o comunque infondate alla luce dei principi di diritto applicati.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica sia per gli acquirenti che per i venditori. Per l’acquirente, ottenere dal venditore un impegno scritto a eliminare i vizi è una mossa strategica fondamentale: trasforma la sua posizione processuale, alleggerendo notevolmente il suo onere probatorio e mettendolo al riparo dai brevi termini di decadenza e prescrizione della garanzia. Per il venditore, riconoscere i vizi e impegnarsi a ripararli comporta l’assunzione di una nuova obbligazione con precise responsabilità. Se accetta di intervenire, deve essere in grado di documentare e provare di aver eseguito i lavori a regola d’arte, in modo completo e risolutivo. Una promessa di riparazione non è un atto di cortesia, ma un impegno giuridicamente vincolante con conseguenze molto serie.

Cosa succede se un venditore riconosce un vizio e si impegna a eliminarlo?
L’impegno del venditore a eliminare i vizi dà vita a una nuova e autonoma obbligazione di ‘facere’ (obbligo di fare), che si affianca alla garanzia originaria e viene disciplinata dalle norme generali sulle obbligazioni, non più dalle regole speciali sulla compravendita.

In caso di impegno a riparare un vizio, chi deve provare che la riparazione è stata eseguita correttamente?
Spetta al venditore (debitore) l’onere di provare di aver adempiuto esattamente la propria obbligazione, ovvero di aver eseguito le riparazioni a regola d’arte. All’acquirente (creditore) è sufficiente allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento.

L’impegno del venditore a riparare i vizi è soggetto ai brevi termini di prescrizione e decadenza della garanzia per vizi?
No. Essendo una nuova e autonoma obbligazione contrattuale, essa è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale e non ai brevi termini di decadenza e prescrizione previsti dalla disciplina della garanzia per i vizi nella compravendita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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