Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12334 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11264/2023 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME NOME, NOME, NOMECOGNOME NOME, PIZZA NOME, PIZZA NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME;
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO Di NAPOLI n. 1334/2023, depositata il 24/03/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Maria RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnavano innanzi alla Corte d’Appello di Napoli la sentenza pronunciata dal Tribunale di Avellino, con la quale detta società ed i chiamati in causa venivano condannati ad arretrare un fabbricato, fino al ripristino delle distanze, in quanto detto fabbricato, appartenente alla società convenuta e ai chiamati in causa – soggetto ad un intervento di demolizione e ricostruzione – era stato edificato in violazione delle distanze, volumetria e vedute prescritte dal D.M. n. 1444/1968, in quanto qualificabile come nuova costruzione e non come ristrutturazione.
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il gravame ritenendo – alla luce delle risultanze istruttorie e dell’orientamento di questa Corte riguardante la differenza tra ristrutturazione mediante demolizione e costruzione ex novo – che il fabbricato dovesse essere qualificato come mera ristrutturazione, posto che sono rimasti inalterati l’altezza, la superficie interna e il volume (questi ultimi ridotti in piccola percentuale rispetto all’edificio preesistente), ed è rimasta intatta la sagoma d’ingombro originaria in quanto – a prescindere dalle modifiche delle linee architettoniche del fabbricato – essa insiste sulla stessa area di sedime.
3. La suddetta pronuncia è impugnata per la cassazione dai soggetti indicati in epigrafe, proprietari e comproprietari di varie unità immobiliari facenti parte di un plesso condominiale confinante con il fabbricato di cui si discute.
Il ricorso, affidato a due motivi, è illustrato da memoria.
Resistono NOME COGNOME NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso illustrato da memoria.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, i ricorrenti hanno chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ.
E’ utile precisare che, a séguito della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato proponente, in qualità di componente del Collegio che definisce il presente giudizio, non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3, primo comma, d.p.r.6 giugno 2001, n.380 (che ha riprodotto l’art. 31 della legge 3 agosto 1978 n. 457), in relazione all’art. 9 d.m.2 aprile 1968 n. 1444, all’art. 873 ss. cod. civ. e all’art. 116 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3) cod. proc. civ. ). I ricorrenti lamentano l’erroneità della statuizione della Corte d’Appello rispetto alle norme menzionate nel riconoscere, nel caso che ci occupa, non una nuova costruzione bensì un’opera di ristrutturazione, con conseguente non applicabilità del D.M. 1444/1968 in materia di distanze. In tesi, i diversi interventi effettuati sull’immobile hanno portato: alla modifica della sagoma, rendendola diversa rispetto alla preesistente; all’abitabilità del sottotetto e alla realizzazione di nuovi balconi aggettanti, così
determinando un aumento di superficie; alla realizzazione di una scala esterna che costituisce costruzione a tutti gli effetti. Tutte queste opere, considerate nel loro insieme, consentono di qualificare l’edificio realizzato come «nuovo edificio», alla luce della giurisprudenza della Corte di legittimità e amministrativa.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3, primo comma, d.p.r.6 giugno 2001 n.380 (che ha riprodotto l’art. 31 della legge 3 agosto 1978 n. 457) e dell’art. 5 legge regionale Campania 28 novembre 2000 n. 15, in relazione all’art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, all’art. 873 ss. cod. civ. ed all’art. 116 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). I ricorrenti lamentano l’errata lettura delle norme di diritto sopra riportate, nonché l’errata applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza: stante l’oggettivo aumento di superficie e volumetria dell’immobile demolito e ristrutturato, deve riconoscersi l’intervento edilizio come riconducibile al paradigma della nuova costruzione, da cui deriva l’applica zione delle distanze imposte dall’art. 9, comma 2, D.M.2 aprile 1968 n. 1444.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi censurano -sotto diversi profili – la pronuncia impugnata per non aver qualificato l’intervento edilizio come nuova costruzione, soggetta alle distanze legali di 10 mt non rispettate nel caso di specie.
Essi sono entrambi inammissibili.
La parte ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di
cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui «L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 3, n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Sez. 1, n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Sez. L, n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
3.1. La Corte d’Appello è pervenuta al convincimento di dover escludere la configurabilità di una nuova costruzione sulla scorta delle risultanze peritali, per le quali nella ricostruzione del fabbricato sono rimaste inalterate l’altezza e la sagoma d’ingombro originaria, mentre la superficie interna e il volume sono risultati ridotti in piccola percentuale rispetto all’edificio preesistente.
Tanto accertato, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi consolidati espressi da questa Corte che insistono sulla necessaria assenza di variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, della volumetr ia affinché si possa
ravvisare una mera ricostruzione (v. sentenza p. 8, 1° e 2° capoverso; per tutte: Sez. U, n. 21578 del 19/10/2011, Rv. 619608 – 01).
3.1.1. Né la giurisprudenza del Consiglio di Stato è orientata diversamente: nelle pronunce richiamate in ricorso (v. per tutte: Consiglio di Stato sez. VI, 24/11/2022 (ud. 29/09/2022, dep. 24/11/2022) n.10360) la massima autorità amministrativa attribuisce all’intervento la qualifica di ristrutturazione edilizia quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso: alla variazione apprezzabile di aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell’intero fabbricato) viene a sommarsi anche un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria.
La determinazione generale e astratta del disegno sagomale necessita di concreta qualificazione: nel caso che ci occupa, la Corte territoriale si è, infatti, preoccupata di esaminare la variazione nel disegno sagomale, ritenendo tuttavia irrilevante la modifica delle linee architettoniche, e invece determinante l’occupazione della stessa area di sedime, nonché il mantenimento della medesima altezza di quella precedente e, quindi, il rispetto della volumetria esistente.
4. il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagame nto dell’ulteriore somma ex art. 96, comma 4 cod. proc. civ., come liquidata in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della
somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €. 3.500,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di €. 3.500,00 equitativamente determinata, nonché ai sensi dell’art 96, comma 4 cod. proc. civ., al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda