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Nuova costruzione: quando la ristrutturazione viola le distanze

La Corte d’Appello di Roma conferma la condanna di una società ad arretrare un edificio realizzato in violazione delle distanze legali. La sentenza chiarisce che un intervento edilizio, anche se definito ristrutturazione, si qualifica come nuova costruzione se comporta un aumento della volumetria preesistente. In tal caso, l’opera deve rispettare le normative sulle distanze tra edifici. Viene invece respinta la domanda relativa alla servitù di veduta per mancanza di prova del titolo di acquisto del diritto.

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Pubblicato il 15 febbraio 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Nuova costruzione: quando la ristrutturazione viola le distanze

Un intervento di ristrutturazione che aumenta la volumetria di un edificio non può più essere considerato tale, ma si trasforma in una nuova costruzione. Questa qualificazione ha conseguenze fondamentali, prima fra tutte l’obbligo di rispettare le distanze legali dal confine e dagli altri fabbricati. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Roma in una recente sentenza, confermando una decisione del Tribunale di Velletri e facendo chiarezza su un tema cruciale del diritto immobiliare.

I fatti del caso: la costruzione contestata

La vicenda ha origine dalla controversia tra una proprietaria di un appartamento e una società immobiliare che aveva realizzato un nuovo edificio sul terreno confinante. La proprietaria lamentava che la nuova struttura, costruita in aderenza al suo immobile, violasse le norme sulle distanze legali e sulla servitù di veduta di cui godeva da decenni.

La società costruttrice si difendeva sostenendo di aver eseguito un semplice intervento di ‘ristrutturazione edilizia’ del fabbricato preesistente, nel rispetto dei permessi ottenuti dal Comune. Sosteneva, inoltre, di essere stata autorizzata a costruire in aderenza con un accordo privato stipulato con il precedente proprietario dell’immobile dell’attrice.

La decisione di primo grado e l’appello

Il Tribunale di Velletri aveva accolto parzialmente la domanda della proprietaria. I giudici, basandosi su una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), avevano accertato che l’intervento della società non era una ristrutturazione, bensì una nuova costruzione. Il motivo? L’edificio realizzato presentava una volumetria significativamente maggiore rispetto a quello preesistente. Di conseguenza, il Tribunale aveva ordinato alla società di arretrare la costruzione di tre metri dal confine.

Contemporaneamente, il Tribunale aveva rigettato la domanda relativa alla violazione della servitù di veduta, poiché la proprietaria non aveva fornito la prova di un titolo idoneo (come un contratto o l’usucapione) a costituire tale diritto. Anche le domande riconvenzionali della società costruttrice, che contestava la regolarità delle finestre e della sopraelevazione dell’attrice, erano state respinte.

Entrambe le parti hanno impugnato la decisione davanti alla Corte di Appello di Roma.

Nuova costruzione e aumento di volumetria: l’analisi della Corte

La Corte d’Appello ha confermato pienamente la decisione di primo grado, respingendo sia l’appello principale della società che quello incidentale della proprietaria. Il punto centrale della motivazione riguarda la corretta qualificazione dell’intervento edilizio. I giudici hanno ribadito il principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui si ha ‘ristrutturazione’ solo quando l’intervento, pur potendo includere la demolizione e ricostruzione, mantiene inalterate le dimensioni originarie, in particolare la volumetria.

Nel caso specifico, la CTU aveva dimostrato in modo inequivocabile che il nuovo edificio aveva un volume (mc. 1.143,95) ben superiore a quello preesistente (mc. 844,00). Questo aumento sostanziale è stato l’elemento decisivo per qualificare l’opera come nuova costruzione, soggetta quindi alla disciplina sulle distanze minime previste dall’art. 873 del Codice Civile e dai regolamenti locali.

La prova della servitù di veduta

Per quanto riguarda l’appello incidentale, la Corte ha confermato che per ottenere tutela per una servitù di veduta non è sufficiente dimostrare una situazione di fatto, anche se protratta nel tempo. I diritti reali, come le servitù, richiedono la prova di un titolo costitutivo specifico. L’attrice avrebbe dovuto dimostrare di aver acquisito tale diritto tramite un atto negoziale o attraverso una sentenza di accertamento dell’usucapione, prova che non è stata fornita in giudizio.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici chiari. In primo luogo, ha sottolineato come la nozione di nuova costruzione si configuri ogni qualvolta vi sia un aumento di superficie o di volume rispetto all’edificio preesistente. Questo fa scattare l’applicazione della normativa sulle distanze, che ha lo scopo di tutelare interessi pubblici e privati legati a igiene, sicurezza e decoro. In secondo luogo, la Corte ha precisato che la prova dei diritti reali autodeterminati, come la proprietà e le servitù, deve basarsi sul titolo di acquisto e non sulla mera situazione fattuale. La mancanza di prova del titolo costitutivo della servitù di veduta ha quindi reso la relativa domanda infondata. Infine, è stato chiarito che un accordo privato tra la società e il precedente proprietario non poteva vincolare l’acquirente successivo, trattandosi di un’obbligazione personale e non di un diritto reale trascritto.

Le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni pratiche. Per chi costruisce, è fondamentale sapere che qualsiasi ampliamento volumetrico, anche se parte di un progetto di ‘ristrutturazione’, farà qualificare l’intervento come nuova costruzione, con l’obbligo di rispettare le distanze legali. Per i proprietari, invece, emerge la necessità di non dare per scontata l’esistenza di diritti come le servitù di veduta: per farli valere in giudizio è indispensabile essere in possesso di un titolo che ne certifichi l’acquisto.

Quando un intervento di ristrutturazione edilizia viene considerato una nuova costruzione ai fini delle distanze legali?
Un intervento di ristrutturazione si qualifica come nuova costruzione quando comporta un aumento di volumetria o di superficie rispetto all’edificio preesistente. In questo caso, l’opera deve rispettare le distanze legali previste per le nuove costruzioni.

Per far valere una servitù di veduta è sufficiente dimostrare l’esistenza di una finestra da molti anni?
No, non è sufficiente. La semplice esistenza di un’apertura, anche da lungo tempo, non basta. È necessario fornire la prova del titolo specifico che ha costituito la servitù, come un contratto, un testamento o l’avvenuto acquisto per usucapione accertato in giudizio.

Un accordo privato che autorizza a costruire a una distanza inferiore a quella legale è valido nei confronti del nuovo proprietario dell’immobile vicino?
No. Un accordo privato non registrato che costituisce un’obbligazione personale del precedente proprietario non è opponibile al nuovo acquirente dell’immobile, il quale non è vincolato da tale pattuizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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