Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17283 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17283 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31415/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME -ricorrente- contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
NOME e NOMECOGNOME -intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.1415/2021 depositata il 10.5.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.6.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 10.6.1998, NOME COGNOME conveniva innanzi al Tribunale di Padova, sezione distaccata di Este, Crema NOME, per sentire accertare che l’esatta linea di confine tra il fondo di proprietà dell’attrice (nel NCT del Comune di Ponso, a foglio 2, mappali 6 e 283) e quello di proprietà della convenuta (nel NCT del Comune di Ponso, a foglio 2, mappali 285, 318 e 284) era quella risultante dalle mappe catastali e dal rilievo planimetrico prodotto dall’attrice, con conseguente rimozione della recinzione che divideva i fondi ed immediato rilascio della porzione di terreno di sua proprietà abusivamente accorpata alla proprietà Crema da quella recinzione.
Chiedeva, altresì, NOME COGNOME di condannare la convenuta ad arretrare le costruzioni edificate sul terreno di sua proprietà (il fabbricato sui mappali 284 e 318, l’edificio ad uso abitativo sul mappale 285 ed una tettoia) fino al rispetto delle distanze legali dal confine e tra costruzioni.
Costituitasi, la convenuta sosteneva che aveva acquistato il 30.12.1986 la proprietà confinante con quella attorea dai coniugi NOME e NOME, che il confine di fatto segnato dalla recinzione era stato fissato di comune accordo dall’attrice e dai suoi danti causa, e che non aveva eseguito alcun intervento edilizio dopo l’acquisto. La Crema chiamava pertanto in causa i predetti venditori, al fine di essere da loro garantita e manlevata.
In via riconvenzionale, la Crema chiedeva di accertare che il confine tra le due proprietà era stato apposto direttamente dagli originari proprietari, in pieno accordo tra loro, senza che su di esso fosse insorta, fino al 1994, alcuna contestazione, e di condannare NOME COGNOME ad abbattere le piante e le costruzioni da lei rispettivamente poste a dimora ed erette, dopo il 1986, a distanza non regolamentare dal confine.
I terzi chiamati NOME NOME e NOME si costituivano in giudizio, contestando la fondatezza delle domande attoree e aderendo alle riconvenzionali della Crema.
Con la sentenza non definitiva n. 1/2004 del 2.1.2004, il Tribunale di Padova sezione distaccata di Erba, dichiarava che l’esatta linea di confine tra il fondo di proprietà di NOME COGNOME e quello di proprietà di COGNOME NOME era quella accertata dalla CTU del 16.10.2001 secondo le risultanze catastali, ordinando quindi alla convenuta l’immediato rilascio della porzione di terreno di proprietà attorea e la rimozione della rete di recinzione che divideva i due fondi, e rimetteva la causa in istruttoria disponendo un supplemento di CTU in ordine all’ulteriore domanda di arretramento dei fabbricati di Crema Mariarosa.
Contro tale sentenza NOME ed i terzi chiamati formulavano riserva di appello.
Con la sentenza definitiva n. 2973/2017, il Tribunale di Padova sezione distaccata di Erba, per quanto qui interessa, rigettate le altre domande di arretramento, condannava la Crema all’arretramento della sola tettoia (fabbricato C) fino al rispetto della prescritta distanza legale di cinque metri dal confine, condannando i terzi chiamati a manlevare e tenere indenne NOME dalle conseguenze del presente giudizio, e condannava quest’ultima a rifondere le spese processuali, all’attrice ed agli intervenuti, in ragione della metà.
Avverso quest’ultima sentenza, COGNOME NOME, nipote dell’attrice (previamente intervenuto ai sensi dell’art. 111, terzo comma, c.p.c. in qualità di cessionario a titolo particolare del diritto controverso per aver acquistato inter vivos da NOME COGNOME i fondi identificati ai mappali 6 e 283 del foglio 2 del NCT del Comune di Ponso), proponeva appello principale, al quale resistevano NOME, NOME e NOME, proponendo altresì appello incidentale, mentre aderiva all’appello principale NOME COGNOME
Con la sentenza n. 1415/2021 del 22.12.2020/10.5.2021, per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello di Venezia respingeva gli appelli e confermava la sentenza definitiva di primo grado.
La Corte lagunare, sulla scia di quella di primo grado, riteneva che l’art. 8 comma 8 del regolamento edilizio comunale di attuazione del Programma di Fabbricazione del Comune di Ponso, adottato dal Comune con la delibera di variante del Consiglio comunale n. 21/1975 del 22.10.1975 rispetto all’originaria formulazione (quest’ultima approvata dal Consiglio comunale con la delibera n. 17 del 17.7.1968 e dalla Commissione Tecnica Regionale nella seduta del 15.5.1975), ed approvato con modifiche dalla Regione Veneto con la delibera della Giunta Regionale n. 744 del 12.10.1976, dopo la precedente comunicazione delle osservazioni della Sezione Urbanistica di cui al provvedimento della Giunta Regionale del Veneto prot. n. 63168 del 29.7.1974, atteggiandosi a norma speciale transitoria per le ristrutturazioni di immobili esistenti in zona rurale, anche se erroneamente inserita in un articolo relativo alle distanze dai cigli stradali, avesse consentito nella zona rurale in cui gli immobili già di NOME e NOME, poi di Crema NOME, ricadevano, di restaurare gli immobili preeesistenti ampliandoli per esigenze igieniche e razionalizzazione dell’alloggio con aumento di volumetria fino al 15% e per non più di 150 mc, rispettando le distanze prescritte
dalle costruzioni e dal ciglio stradale, ma non la distanza dal confine di cinque metri stabilita dall’art. 8 comma 6° delle stesse norme tecniche di attuazione e dall’originaria formulazione del regolamento comunale.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME ha proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a tre motivi, e NOME ha resistito con controricorso, mentre sono rimasti intimati NOME COGNOME, NOME e NOME
Nell’imminenza della camera di consiglio del 17.6.2025, il nuovo difensore del ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità della costituzione dell’avvocato NOME COGNOME quale nuovo difensore del ricorrente NOME COGNOME dopo la revoca in data 17.5.2025 del mandato originariamente conferito all’avv. NOME COGNOME che pertanto continua a rappresentarlo benché revocato dall’incarico, in ragione della mancanza di una valida sostituzione, dovendosi quindi prescindere dal contenuto della memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. dell’avv. NOME COGNOME
Quest’ultimo, infatti, ha personalmente autenticato la procura di Mandello NOME in calce alla memoria di nomina di nuovo difensore depositata il 28.5.2025, ma si sarebbe dovuto fare incaricare dal cliente con procura notarile, dal momento che la memoria di nomina di nuovo difensore é stata inserita dall’art. 45 comma 9 lettera a) della L. 18.6.2009 n. 68 nell’elenco degli atti dell’art. 83 comma 3° c.p.c. in calce, o a margine dei quali la procura può essere personalmente autenticata dal legale incaricato, con effetto solo per i procedimenti che in primo grado siano stati introdotti prima del 4.7.2009, mentre nella specie il giudizio di primo grado é iniziato nell’anteriore data del 10.6.1998 (vedi art. 58 della citata legge; cfr. in giurisprudenza, tra le tante, cfr. tra le
tante, Sez. 2, Sentenza n. 19519 del 2024; Sez. 2, Sentenza n. 7975 del 2022; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 2018; Cass. n. 12831 del 2014; Cass. n. 7241 del 2010).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 113 in combinato disposto con gli artt. 24, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, per avere la Corte distrettuale applicato una norma (l’art. 8 comma 8 delle norme tecniche di attuazione del Programma di Fabbricazione del Comune di Ponso) solo adottata dal Comune di Ponso il 22.10.1975, ma mai approvata dalla Regione Veneto, e quindi inesistente.
2) Col secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3 del DPR n. 380 del 2001 e 12, 13 e 14 delle Disposizione sulla legge in generale e dei principi da sempre seguiti dalla Suprema Corte sulla distinzione tra le nuove costruzioni e gli interventi edilizi di restauro, o ricostruzione, in quanto la sentenza gravata introduce una nuova categoria di intervento edilizio non rientrante fra le cinque che esistono nel nostro ordinamento, ovvero quella di “restauro in cui rientrano tutti gli interventi edilizi che secondo la disciplina urbanistica successiva configurano nuove costruzioni”. In ogni caso, trattandosi secondo la normativa statale di una “nuova costruzione”, come peraltro riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, non si poteva applicare al fabbricato ad uso abitativo della Crema, avente una superficie ed un’area di sedime diversi e maggiori del preesistente fabbricato demolito con trasferimento della cubatura, una disposizione in variante delle norme tecniche di attuazione del Programma di Fabbricazione più favorevole prevista per interventi di restauro, e doveva valere piuttosto la norma sulla distanza minima di cinque metri dal confine prevista dal comma 6 dell’art. 8 delle NTA, integrativa del codice
civile, e modificabile dalla normativa locale solo nel senso di una maggiore severità e non in senso più favorevole.
3) Col terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il ricorrente lamenta l’omesso esame dei contenuti della CTU, che aveva accertato che il fabbricato ad uso abitativo, ora di Crema NOME, era frutto della demolizione di un preesistente fabbricato rurale di minor volume e della ricostruzione con maggior volume, differente sagoma e diversa area di sedime e distanza dall’edificio confinante, già di NOME COGNOME, ed era una vera e propria nuova costruzione, e non il frutto di un mero intervento di “restauro”, con le conseguenze, quanto alle distanze, di cui al motivo che precede.
Ritiene la Corte, che per il suo carattere assorbente rispetto agli altri motivi fatti valere, debba essere esaminato il secondo motivo di ricorso, che deve ritenersi fondato.
La sentenza impugnata ha respinto la domanda di demolizione o arretramento del fabbricato di Crema Mariarosa ad uso abitativo sul mappale 285, frutto della demolizione integrale di un preesistente fabbricato rurale e della successiva costruzione nel 1976 (licenza edilizia n. 21 del 15.4.1976) di un nuovo edificio ad uso abitativo con accorpamento ad un fabbricato rurale adibito a legnaia-cantina già esistente con volume maggiore, sagoma differente e posto a distanza diversa dal confinante edificio di NOME COGNOME (poi COGNOME NOME), ritenendo non applicabile la distanza minima dal confine come rideterminato dal Tribunale di Padova, sezione distaccata di Este, di cinque metri, di cui all’art. 8 comma 6° del regolamento edilizio del Comune di Ponso attuativo del Programma di Fabbricazione (distanza già prevista nella formulazione originaria del regolamento (approvata dal Consiglio comunale con la delibera n. 17 del 17.7.1968 e dalla Commissione Tecnica Regionale nella seduta del 15.5.1975), in virtù della disposizione più favorevole dell’art. 8 comma 8° del suddetto
regolamento, oggetto della variante adottata dal Consiglio comunale con la delibera n. 21/1975 del 22.10.1975, ed approvata con modifiche dalla Regione Veneto con la delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 744 del 12.10.1976, dopo la precedente comunicazione delle osservazioni della Sezione Urbanistica di cui al provvedimento della Giunta Regionale del Veneto prot. n. 63168 del 29.7.1974.
Il menzionato art. 8 comma 8°, collocato in una disposizione concernente le distanze in zona rurale dal ciglio stradale, ha disposto che ‘ Gli edifici esistenti in area agricola possono essere restaurati con gli ampliamenti di volume necessari per adeguamenti igienici e razionalizzazione dell’alloggio…questi ampliamenti non potranno superare il 15% della volumetria esistente e dovranno avvenire nel rispetto della normativa di zona relativa a distanza dai fabbricati e dalle strade… ‘.
L’impugnata sentenza, pur riconoscendo che l’intervento edilizio in questione, comportando l’integrale demolizione di un vecchio edificio rurale e la successiva costruzione di un nuovo edificio che, rispetto al corpo edilizio preesistente, presentava un volume maggiore, una sagoma differente ed era situato ad una diversa distanza dall’edificio confinante di NOME COGNOME (poi COGNOME NOME), doveva considerarsi come una nuova costruzione, e non come una mera ristrutturazione (vedi fine pagina 18 ed inizio pagina 19 della sentenza), ha ritenuto non applicabile la distanza minima dal confine di cinque metri per gli edifici abitativi e di dieci metri per quelli rurali stabilita dall’art. 8 comma 6° del regolamento in questione e dalla versione originaria dello stesso approvata dal Consiglio comunale con la delibera n. 17 del 17.7.1968 e dalla Commissione Tecnica Regionale nella seduta del 15.5.1975, valevole per le nuove costruzioni, e l’applicabilità delle sole distanze tra costruzioni dell’art. 8 comma 7° del regolamento (dieci metri) e dal ciglio stradale, con due argomenti:
nel 1976, all’epoca dell’intervento edilizio in questione, non era ancora entrato in vigore l’art. 3 lettera d) del D.P.R. n. 380/2001, che richiedeva, ai fini della qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia, che la demolizione dell’edificio
e ricostruzione avesse la stessa volumetria preesistente, avendosi altrimenti una nuova costruzione;
lo stesso art. 8 comma 8° prevedeva, per gli ampliamenti volumetrici realizzati in sede di restauro di edifici preesistenti in zona agricola, il rispetto delle sole distanze prescritte dalla normativa locale tra costruzioni e dal ciglio stradale, atteggiandosi quindi a norma transitoria di carattere speciale, che permetteva di derogare alla disciplina della distanza minima dal confine in zona agricola altrimenti applicabile ex art. 8 comma 6° dello stesso regolamento.
La prima motivazione non considera che l’art. 3 lettera d) del D.P.R. n. 380/2001 non ha introdotto per la prima volta la distinzione tra nuova costruzione e ristrutturazione edilizia, che già risultava dall’art. 31 comma 1 lettera d) della L. n. 457/1978, e che già in precedenza era stata affermata con indirizzo costante dalla Suprema Corte, i cui princìpi sono poi stati codificati nei citati testi normativi.
Per costante giurisprudenza di questa Corte si configura una nuova costruzione ogni volta che l’intervento di demolizione e ricostruzione di un precedente fabbricato comporti un aumento della volumetria (Cass. 13.11.2024 n. 29314; Cass. ord. 15.12.2020 n. 28612; Cass. 11.6.2018 n. 15041) ovvero la modifica della posizione dell’edificio, rispetto a quella in cui l’originario manufatto si trovava (Cass. 13.11.2024 n. 29314; Cass. 11.6.2018 n. 15041).
Nell’ambito delle opere edilizie, infatti, – anche alla luce dei criteri di cui alla L.5.8.1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. d), riprodotto dall’art. 3 lettera d) del D.P.R. n. 380/2001 -la semplice
“ristrutturazione” si verifica ove l’intervento edilizio interessi un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali (muri perimetrali, strutture copertura), nel mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorchè dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza variazioni rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti di volumetria. In presenza di tali aumenti si verte, invece, nell’ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (Cass. ord. 15.12.2020 n.28612; Cass. 11.6.2018 n. 15041; Cass. sez. un. ord. 19.10.2011 n.21578).
In altri termini, ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti.
Sulla scorta della medesima ratio si è anche detto che ” In tema di distanze tra costruzioni, ove lo strumento urbanistico locale non contenga una norma espressa che estenda alle “ricostruzioni” le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le “nuove costruzioni”, la disciplina dettata per queste ultime trova applicazione solo relativamente a quella parte del fabbricato ricostruito che eccede i limiti di quello preesistente ” (Cass. 14.1.2016 n. 472) e che la ristrutturazione edilizia, qualora non comporti aumenti di superficie o di volume non configura una nuova costruzione, sicchè è inapplicabile la disciplina in tema di distanze ex art. 873 cod. civ. (Cass. 25.5.2016 n. 10873).
Non sono poi applicabili alla fattispecie, neanche le modifiche introdotte dal D.L. n. 76 del 2020, in tema di ristrutturazione e rigenerazione urbana, in quanto risulta accertato dal CTU che la costruzione non rispettava le distanze preesistenti, ed il volume complessivo e l’area di sedime dopo il cosiddetto intervento di ‘restauro’ sono risultati aumentati. In proposito è sufficiente richiamare i seguenti principi di diritto: Rientrano nella nozione di nuova costruzione, di cui all’art. 41 sexies L. n. 1150 del 1942, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 D.M. n. 1444 del 1968 per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma altresì gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente; né assume rilevanza, in senso contrario, il disposto dell’art. 2 bis, comma 1 ter, D.P.R. n. 380 del 2001, nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 76 del 2020, conv. con modif. in L. n. 120 del 2020, giacché tale norma, se prevede che possano rientrare nella nozione di ricostruzione anche opere che aumentano il volume o modificano la sagoma dell’opera da costruire, richiede pur sempre che l’intervento sia realizzato nel rispetto delle distanze preesistenti, e cioè di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui è stato realizzato l’intervento originario (Cass. 13.11.2024 n. 29314; Cass. 24.6.2022 n. 20428).
Quanto agli interventi di restauro e risanamento conservativo, approfondita dalla giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte, la finalità è quella di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma pur sempre nel rispetto dei suoi elementi essenziali “tipologici, formali e strutturali”. In proposito la Suprema Corte (Cass. pen. 21.4.2006 n. 16048 , COGNOME) ha chiarito che il
rispetto degli elementi essenziali “tipologici, formali e strutturali” impone che non possono essere mutati:
la “qualificazione tipologica” del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
-gli “elementi formali (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l’immagine caratteristica di esso;
-gli “elementi strutturali”, cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio.
Da quanto esposto, la giurisprudenza di legittimità ha sempre dedotto il principio della finalità di conservazione come caratteristico degli interventi di recupero e risanamento conservativo, così sottolineando la necessità che sia inalterata la struttura dell’edificio, sia all’esterno che al suo interno.
A riprova poi, che le illustrate nozioni di restauro, ricostruzione, ristrutturazione e nuova costruzione erano state elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte già prima delle codificazioni avvenute con l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 1, lett. d) della L. 5.8.1978, n. 457, e dell’art. 3 lettera d) del D.P.R. n.380/2001, costituendo diritto vivente elaborato in relazione alla nozione di nuova costruzione utilizzata già all’art. 41 sexies della L. n. 1150 del 1942, é sufficiente richiamare, in aggiunta alla già citata ordinanza delle sezioni unite di questa Corte del 19.10.2011 n. 21578, le sentenze della Suprema Corte del 15.7.2003 n.11027, del 26.10.2000 n. 14128 e dell’11.7.1979 n. 3991.
Tirando quindi le fila delle nozioni relative alle varie tipologie di intervento edilizio, la Corte d’Appello, date le intervenute modifiche di altezza, volume, area di sedime e distanza del fabbricato abitativo di Crema Mariarosa dal fabbricato originariamente di NOME COGNOME rispetto ai fabbricati rurali preesistenti, ha correttamente qualificato l’intervento edilizio in questione come
nuova costruzione, e non come restauro, ristrutturazione, o ricostruzione, ma non ha tratto da tale qualificazione le conseguenze in ordine alla distanza legale minima dal confine applicabile in zona agricola, che secondo l’art. 8 comma 6° del regolamento edilizio comunale attuativo del Programma di Fabbricazione del Comune di Ponso, era per le nuove costruzioni, di cinque metri dal confine.
Quanto alla seconda motivazione addotta dalla sentenza impugnata per giustificare la deroga alla distanza minima dal confine, quella del richiamo alla specialità dell’art. 8 comma 8° del regolamento in questione, che avrebbe consentito di derogare alla suddetta distanza per interventi di restauro in zona agricola comportanti un ampliamento fino al 15% e non oltre 150 mc dei fabbricati rurali preesistenti, in disparte la questione della non conformità del testo del regolamento comunale definitivamente approvato dalla Giunta Regionale del Veneto con la delibera n. 744 del 12.10.1976, alle modifiche proposte, che, probabilmente per una mera svista, non riporta più l’art. 8 comma 8° sopra richiamato nel testo definitivamente licenziato degli articoli 8 e 9 (vedi allegato 3 al supplemento di CTU del 17.2.2004 richiamato a pagina 15 del ricorso), si ritiene che anche tale motivazione non sia idonea a sostenere la sentenza impugnata.
Per un verso l’intervento edilizio in questione era pacificamente una nuova costruzione, e non un semplice intervento di restauro, ristrutturazione, o ricostruzione, secondo le consolidate nozioni di tali interventi edilizi, seguite costantemente dalla giurisprudenza di questa Corte, e per altro verso non poteva la normativa locale elaborare un concetto di restauro con ampliamento e cambiamento di area di sedime, che si sostituisse alla nozione, riservata alla normativa statale, di nuova costruzione. A ciò va aggiunto che una volta che il regolamento comunale edilizio attuativo del Programma di Fabbricazione del Comune di Ponso, approvato dal Consiglio
comunale con la delibera n. 17 del 17.7.1968 e dalla Commissione Tecnica Regionale nella seduta del 15.5.1975, aveva derogato all’art. 873 cod. civ., introducendo all’art. 8 comma 6° in zona agricola la distanza minima dal confine di cinque metri per i fabbricati di civile abitazione e di dieci metri per i fabbricati rurali, la normativa locale non poteva con una variante sopravvenuta apportare deroghe di favore per gli autori di interventi edilizi indicati come di restauro, ma in realtà comportanti la demolizione di fabbricati rurali preesistenti e l’ampliamento del volume e dell’area di sedime e la variazione delle pregresse distanze, e quindi da qualificare come vere e proprie nuove costruzioni, essendo consentite solo a livello di normativa locale imposizioni di distanze legali maggiori rispetto a quelle stabilite dal codice civile, o dalle norme integrative dello stesso.
La nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., infatti, è unica e non può subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore”; in applicazione di questo principio questa Corte ha negato che una disposizione del regolamento edilizio comunale possa far perdere la qualità’ di costruzione ad un determinato manufatto (Cass.2.10.2018 n. 23843; Cass. 8.1.2016 n. 144; Cass. 16.3.2015 n. 5163).
Si rende necessario dunque un nuovo esame, alla luce dei principi citati.
L’accoglimento del secondo motivo con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, fa ritenere logicamente assorbiti il primo ed il terzo motivo di ricorso.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17.6.2025