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Nuova costruzione e distanze legali: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione che comporti un aumento di volume o una modifica della sagoma e della posizione dell’edificio deve essere qualificato come “nuova costruzione”. Di conseguenza, tale intervento deve rispettare le distanze legali minime previste dalla normativa nazionale, senza che i regolamenti edilizi locali possano introdurre deroghe più favorevoli. Il caso riguardava una controversia tra proprietari confinanti in cui un edificio era stato ricostruito violando le distanze dal confine. La Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva erroneamente applicato una norma locale per interventi di restauro, ribadendo la prevalenza della nozione civilistica di nuova costruzione.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nuova Costruzione o Ristrutturazione? La Cassazione fissa i paletti sulle distanze legali

Quando un intervento edilizio si qualifica come nuova costruzione e quali sono le conseguenze sulle distanze da rispettare rispetto ai vicini? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale del diritto immobiliare, chiarendo i limiti del potere dei regolamenti edilizi comunali e riaffermando principi consolidati. La decisione offre spunti fondamentali per proprietari, costruttori e professionisti del settore, sottolineando che la nozione di nuova costruzione non può essere derogata da normative locali per consentire distanze inferiori a quelle legali.

I fatti del caso

La vicenda nasce da una controversia tra proprietari di fondi confinanti. L’attrice citava in giudizio la vicina, lamentando che quest’ultima, a seguito della demolizione di un vecchio fabbricato rurale, ne avesse costruito uno nuovo ad uso abitativo con volume maggiore, sagoma differente e in una posizione diversa, violando le distanze minime dal confine e tra edifici. La convenuta si difendeva sostenendo di aver acquistato l’immobile con un confine già di fatto stabilito e di non aver eseguito interventi edilizi successivi. Il Tribunale, in una prima fase, accertava il confine corretto e ordinava la rimozione di una recinzione, per poi, con sentenza definitiva, condannare la convenuta all’arretramento di una sola tettoia.

La decisione della Corte d’Appello

Il successore della parte attrice proponeva appello, ma la Corte territoriale confermava la decisione di primo grado. I giudici d’appello ritenevano che, nonostante l’intervento fosse a tutti gli effetti una nuova costruzione, si potesse applicare una norma speciale e transitoria del regolamento edilizio comunale. Tale norma, destinata al “restauro” di edifici in zona rurale, consentiva ampliamenti volumetrici fino al 15% nel rispetto delle sole distanze tra fabbricati e dal ciglio stradale, escludendo quindi la distanza minima di cinque metri dal confine, altrimenti prescritta.

La nozione di “nuova costruzione” secondo la Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello. La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine, consolidato da decenni di giurisprudenza: si configura una nuova costruzione ogni volta che un intervento di demolizione e ricostruzione comporta un aumento della volumetria o una modifica della posizione dell’edificio rispetto a quello preesistente. La distinzione tra “ristrutturazione” e “ricostruzione” è netta: la prima conserva gli elementi essenziali dell’edificio, la seconda lo ripristina fedelmente. Qualsiasi variazione sostanziale, come nel caso di specie, fa ricadere l’opera nella categoria della nuova costruzione.

I limiti dei regolamenti edilizi locali e la “nuova costruzione”

Il punto centrale della decisione riguarda il rapporto tra la normativa nazionale e quella locale. La Corte ha chiarito che la nozione di “costruzione” ai fini dell’applicazione dell’art. 873 del codice civile è unica e non può essere derogata da norme secondarie come i regolamenti edilizi comunali. Questi ultimi possono soltanto stabilire una “distanza maggiore” rispetto a quella minima prevista dal Codice Civile, ma non possono né prevedere distanze inferiori né, soprattutto, creare una definizione ad hoc di “restauro” che, consentendo ampliamenti e modifiche di sagoma, di fatto mascheri una nuova costruzione per eludere le norme sulle distanze dal confine.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione della gerarchia delle fonti normative. La nozione di nuova costruzione, così come elaborata dalla giurisprudenza costante in applicazione delle norme del Codice Civile e della legislazione urbanistica nazionale (sin dalla L. 1150/1942), è un principio fondamentale a tutela della proprietà e del corretto sviluppo del territorio. La Corte d’Appello ha errato nel ritenere che una norma locale, per di più concepita per interventi di “restauro”, potesse essere applicata a un’opera che presentava tutte le caratteristiche di una nuova costruzione. La Cassazione ha specificato che i regolamenti locali non hanno il potere di alterare questa qualificazione giuridica per consentire deroghe favorevoli, poiché il loro intervento è limitato a imporre, eventualmente, prescrizioni più restrittive e non più permissive.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché decida nuovamente la controversia applicando i principi di diritto enunciati. La decisione riafferma che chi demolisce e ricostruisce un edificio aumentandone il volume o modificandone la posizione sta realizzando una nuova costruzione e deve, pertanto, rispettare integralmente le distanze legali dal confine stabilite dalla normativa nazionale e locale (se più restrittiva). Non è possibile invocare norme locali destinate al restauro per aggirare tali limiti. Questo principio garantisce certezza giuridica e parità di trattamento, impedendo che i diritti dei proprietari confinanti siano compromessi da interpretazioni creative dei regolamenti edilizi.

Quando un intervento edilizio si considera “nuova costruzione” ai fini delle distanze legali?
Un intervento si considera “nuova costruzione” non solo quando si edifica su un’area libera, ma anche in caso di demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente, se ciò comporta un aumento del volume, una modifica della sagoma, dell’area di sedime o della sua posizione originaria.

Un regolamento edilizio comunale può prevedere distanze inferiori a quelle del codice civile per le nuove costruzioni?
No. La nozione di costruzione ai fini dell’articolo 873 del codice civile è unica e inderogabile da parte delle norme locali. I regolamenti comunali possono solo stabilire distanze maggiori rispetto a quelle previste dal codice, ma non possono introdurre deroghe più favorevoli o ridurre le distanze minime.

La demolizione e ricostruzione con aumento di volume è una ristrutturazione o una nuova costruzione?
Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, un intervento di demolizione e ricostruzione che comporta un aumento di volume o una modifica della posizione del manufatto è a tutti gli effetti una “nuova costruzione” e non una semplice ristrutturazione o un restauro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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