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Nuova costruzione e distanze: la Cassazione decide

Una società costruttrice è stata citata in giudizio dalla proprietaria di un immobile confinante per la presunta violazione delle distanze legali a seguito di un intervento di demolizione e ricostruzione. La Corte d’Appello aveva qualificato l’opera come una nuova costruzione, ordinandone la parziale demolizione. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, rilevando che i giudici di merito non avevano considerato la normativa sopravvenuta, più favorevole al costruttore, che ha ampliato la definizione di “ristrutturazione edilizia” includendo modifiche di sagoma e volume. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione alla luce delle leggi più recenti.

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Nuova Costruzione o Ristrutturazione? La Cassazione chiarisce l’impatto delle nuove norme

La distinzione tra ristrutturazione e nuova costruzione è un tema cruciale nel diritto immobiliare, con impatti diretti sulle distanze tra edifici e sulla legittimità delle opere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo argomento, sottolineando l’importanza di applicare le leggi più recenti e favorevoli al costruttore, anche se entrate in vigore dopo la realizzazione dell’opera. Vediamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del caso: una ricostruzione contesa

La vicenda ha origine dalla controversia tra una proprietaria di un immobile e una società costruttrice. Quest’ultima aveva realizzato un edificio residenziale nel 2006, previa demolizione di una struttura preesistente con destinazione alberghiera. La proprietaria confinante lamentava che il nuovo edificio non rispettasse le distanze legali previste dalle norme locali, chiedendone l’arretramento e il risarcimento dei danni.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda, condannando la società a arretrare alcune porzioni dell’edificio e a pagare un risarcimento di 19.000,00 euro.

La decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte d’Appello, basandosi su una nuova consulenza tecnica (CTU), ha riformato la sentenza. I giudici hanno ritenuto che l’intervento edilizio dovesse essere qualificato come nuova costruzione e non come ristrutturazione. La decisione si fondava su due elementi chiave: la differenza di sagoma (a causa di nuovi balconi con un aggetto significativo) e di volume rispetto all’edificio precedente. Di conseguenza, la Corte ha condannato la società costruttrice alla demolizione delle parti dell’edificio che violavano le distanze legali vigenti al momento della costruzione.

Il ricorso in Cassazione e il concetto di nuova costruzione

La società costruttrice ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente la violazione e falsa applicazione delle norme che definiscono la tipologia degli interventi edilizi (art. 3 del d.P.R. 380/2001). Il punto centrale del ricorso era che la Corte d’Appello non avesse tenuto conto delle modifiche legislative intervenute nel frattempo, in particolare quelle introdotte dal D.L. 76/2020 (Decreto Semplificazioni), che hanno ampliato notevolmente il concetto di “ristrutturazione edilizia”.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse commesso un errore cruciale: non confrontarsi con la “normativa sopravvenuta”.

La Cassazione ha ricordato un principio consolidato: se, durante un processo per violazione delle distanze, interviene una nuova legge meno restrittiva che rende l’opera conforme, il giudice deve applicarla. Questo significa che un edificio, pur essendo illegittimo al momento della sua ultimazione, non può più essere considerato tale se una nuova norma lo rende legittimo prima che la sentenza diventi definitiva. In tal caso, il vicino non può più chiederne la demolizione.

Nello specifico, le modifiche all’art. 3 del d.P.R. 380/2001 hanno stabilito che rientrano nella “ristrutturazione edilizia” anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Per gli interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi anche incrementi di volumetria.

La Corte d’Appello, avendo basato la sua decisione sulla nozione più restrittiva di nuova costruzione legata alla variazione di sagoma e volume, senza valutare l’impatto di questa normativa sopravvenuta potenzialmente favorevole al costruttore, ha emesso una sentenza viziata.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione. Il giudice del rinvio dovrà riconsiderare l’intera vicenda alla luce della normativa sopravvenuta, verificando se l’intervento della società costruttrice possa rientrare nella più ampia categoria della ristrutturazione edilizia come definita dalle leggi più recenti. Questa decisione riafferma l’importante principio dell’applicazione dello ius superveniens nelle controversie edilizie, offrendo una potenziale ancora di salvezza a costruzioni che, sebbene realizzate in violazione delle norme dell’epoca, sono diventate conformi alla legislazione attuale.

Quando un intervento di demolizione e ricostruzione si qualifica come “nuova costruzione”?
Secondo la giurisprudenza tradizionale, un intervento diventa una “nuova costruzione” quando vi sono aumenti di volumetria o variazioni sostanziali rispetto alle dimensioni originarie dell’edificio demolito. Tuttavia, le normative più recenti hanno ampliato il concetto di “ristrutturazione edilizia”, includendovi anche interventi con modifiche di sagoma, prospetti e volume, a determinate condizioni.

Una legge più favorevole approvata dopo la costruzione dell’edificio può “sanare” una violazione delle distanze?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che il sopravvenire di una disciplina normativa meno restrittiva, prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta che l’edificio, sebbene in contrasto con le norme vigenti al momento della sua costruzione, non possa più essere ritenuto illegittimo se conforme alla nuova legge. Di conseguenza, il vicino non può più pretenderne l’abbattimento o la riduzione.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la decisione perché la Corte d’Appello non ha considerato la “normativa sopravvenuta” (in particolare le modifiche al d.P.R. 380/2001), ovvero le nuove leggi più favorevoli al costruttore entrate in vigore durante il processo. Queste nuove norme hanno modificato la definizione di ristrutturazione edilizia, rendendo potenzialmente lecito l’intervento edilizio oggetto della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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