Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4871 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4871 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25607/2020 R.G. proposto da :
CONDOMINIO INDIRIZZO COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME, NOMECOGNOME NOME, GUIDA CONCETTA, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME
(SVRVCN54S14L845K),
PARASCANDOLO ASTARITA
NOME
(PRSGPP59B27L845O),
NOME
(STRFDN67E18L845G)
-ricorrenti- contro
COMUNE DI COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti- nonchè contro DCOGNOMENOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME, GUIDA ASSUNTA, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOMECOGNOME
NOME, DI NOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME, DI COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2381/2020 depositata il 29/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. il Condominio di INDIRIZZO in INDIRIZZO e i condomini indicati in epigrafe propongono ricorso, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza n.2381 del 2020 con cui la Corte di Appello di Napoli ha parzialmente accolto l’appello degli attori/appellanti, NOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n.888/2013 di accoglimento parziale della domanda, dagli stessi avanzata, di condanna all’arretramento dell’edificio condominiale, edificato dalla Equedil s.r.l.RAGIONE_SOCIALE a distanza inferiore a quella di legge dalla proprietà attorea.
In particolare, per quanto di interesse, il giudice di prime cure aveva disatteso le domande riconvenzionali di usucapione spiegate dai diversi convenuti ed aveva dichiarato la violazione dei limiti legali ex art. 873 c.c. da parte della predetta società per una sola porzione dell’edificio in contestazione in quanto, trattandosi di lavori eseguiti ex l.219/81, doveva trovare applicazione la disciplina civilistica in deroga a quella prescritta dal Regolamento edilizio allora vigente (art.15), in virtù del rinvio previsto dall’art 9 bis del Piano di Recupero del Comune di Vico Equense post terremoto, con la conseguenza che l’edificio doveva essere, in parte qua, arretrato a tre metri dalla proprietà dei Rossano. Avverso la sentenza
avevano proposto appello i Rossano e, in via incidentale, il Condominio ed i condomini COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. In accoglimento dell’appello principale e rigettando l’incidentale, la Corte d’Appello di Napoli ha condannato ‘il Condominio e gli appellati condomini’ ad arretrare la porzione di fabbricato condominiale edificata in violazione delle distanze legali fino alla distanza di metri 5 dal confine della proprietà degli attori/appellanti, così ritenendo applicabile la normativa di cui al Regolamento edilizio comunale, in luogo della minore distanza di metri 3 individuata dal giudice di prime cure. In accoglimento della domanda proposta in primo grado dagli appellanti/attori, la Corte territoriale ha altresì condannato gli appellati alla riduzione e all’arretramento, fino all’uguale distanza di 5 metri dalla diversa particella 1280 di proprietà degli appellanti, sia delle opere condominiali su di essa realizzate, sia della porzione di fabbricato prospiciente la detta particella;
NOME e NOME hanno depositato controricorso;
3.il Comune di Vico Equense ha depositato controricorso con cui ha dichiarato di rimettersi alla Corte sul primo, secondo e quinto motivo di ricorso e di aderire al ricorso per il resto;
i ricorrenti, i controricorrenti e il Comune hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene denunciata, in relazione all’art.360, primo comma, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art.101 c.p.c. in relazione agli artt. 132 e 156 c.p.c. a causa della mancata indicazione, nella sentenza, della condomina COGNOME NOME, convenuta e costituitasi in proprio nel giudizio di primo grado. I ricorrenti evidenziano il carattere inscindibile della causa che impone il litisconsorzio necessario tra i comproprietari delle parti comuni dell’edificio in
contestazione e, pertanto, sostengono che la sentenza è da ritenersi inutiliter data ;
2.con il secondo motivo di ricorso viene denunciata, in relazione all’art.360, primo comma, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 101 c.p.c. in relazione agli artt. 132 e 156 c.p.c., per avere la Corte di Appello indicato NOME Giovanna erroneamente quale amministratrice pro tempore della RAGIONE_SOCIALE invece che come condomina;
3. con il terzo motivo di ricorso viene lamentata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del Piano di Recupero, approvato ai sensi della l. 219/81, e dell’art 873 cc, con correlata violazione dell’art 12 delle Preleggi e dell’art 3 del TU 6.6.2001 n.380, per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente non applicabile al caso di specie l’art 9 bis del Piano di Recupero facente rinvio alla disciplina codicistica sulle distanze, giudicando invece operativa la disciplina contenuta nel Regolamento Edilizio all’epoca vigente, che imponeva la maggiore distanza di cinque metri dal confine. In particolare, i ricorrenti sostengono che l’intervento di ristrutturazione urbanistica realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE si è sostanziato in una nuova costruzione, per effetto della riedificazione di due distinti fabbricati distrutti (ex Ville COGNOME ed COGNOME) con volumi, altezza e sagoma diversi da quelli precedenti nell’ambito unitario di INDIRIZZO, INDIRIZZO via COGNOME e che, pertanto, trovano applicazione gli artt. 9 bis e 12 del Piano di Recupero, relativi alle ipotesi di ‘ricostruzione in diverso sito d’impianto e/o con sagoma diversa da quella preesistente’, che non vietano gli aumenti di volume ed altezze. Sostengono inoltre che non possa operare invece l’art. 10 lett a) del Piano di Recupero, come erroneamente sostenuto dalla Corte territoriale, atteso che la norma inerisce alle ipotesi di ricostruzione nei nuclei storici di Vico Equense;
4. con il quarto motivo di ricorso viene denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c ed il vizio di ultra-petizione ed extra-petizione rispetto al capo B) del dispositivo della sentenza impugnata ed al correlato paragrafo ‘IV MOTIVO’ (pag 23 e ss) della parte motivazionale, per avere la Corte di Appello accolto la domanda di demolizione di alcune opere -un muro di contenimento e una rampa di accesso ai garage- realizzate dalla Equidil sulla porzione di fondo individuata dalla particella 1280, malgrado si trattasse di domanda nuova rispetto a quelle proposte relativamente a tale particella in primo grado e aventi ad oggetto l’accertamento della proprietà di detta particella, l’accertamento della inesistenza di pesi o servitù a carico della particella, la condanna dei proprietari delle unità vicine ‘a eliminare le vedute’ aperte sulla particella;
5. con il quinto motivo di ricorso viene lamentata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e n. 5 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1159 e 1152 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente rigettato l’eccezione, formulata da alcuni condomini e riproposta in appello dagli appellati COGNOME NOME e COGNOME NOME, relativa all’usucapione decennale del diritto di mantenere le parti comuni e le singole unità immobiliari sulla particella 1280. I ricorrenti evidenziano che, al momento dell’istaurazione del giudizio di primo grado, era già decorso il tempo utile ad usucapire, atteso che essi avevano acquisito i beni con atti di permuta stipulati con la RAGIONE_SOCIALE nel 27.01.1984, debitamente trascritti e resi opponibili a terzi il 16.02.1984, che la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata fin da subito al trasferimento della proprietà delle unità immobiliari e dei proporzionali diritti di comproprietà sulle parti comuni dell’edificio da edificare, che i beni erano venuti ad esistenza nel dicembre 1985, che a nulla rilevava la data dell’effettiva consegna dei predetti beni ad essi ricorrenti;
il sesto motivo di ricorso è rubricato ‘Sulle spese e competenze legali’. Viene veicolato una istanza di riforma del capo della sentenza relativo al riparto delle spese processuali del doppio grado di giudizio per effetto dell’accoglimento dei motivi di ricorso, in ossequio al principio di soccombenza;
il primo motivo di ricorso è infondato.
Non è ravvisabile il denunciato difetto di integrità del contraddittorio nel giudizio di appello in riferimento a COGNOME Giovanna quale condomina convenuta e costituitasi in proprio nel giudizio di primo grado.
Trattandosi di preteso error in procedendo questa Corte ha accesso al fatto (processuale). Dal fascicolo di primo grado emerge che la COGNOME NOME si era costituita con l’avvocato NOME COGNOME. Risulta inoltre che l’atto di appello è stato notificato alla COGNOME (e alla srl RAGIONE_SOCIALE) presso il suddetto avvocato. La COGNOME è stata quindi parte del giudizio di appello sebbene non si sia costituita in appello. La Corte di Appello ha dato conto del fatto che gli appellanti NOME e NOME avevano chiesto condannarsi ‘gli appellati’ ad arretrare fino a distanza di cinque metri dai confini i manufatti in contestazione ed ha accolto l’appello. La Corte di Appello ha accolto la domanda. Non vi sono dubbi sulla riferibilità della condanna anche alla COGNOME;
il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Si sostiene che nella sentenza impugnata la Corte di Appello abbia indicato NOME Giovanna erroneamente quale amministratrice pro tempore della RAGIONE_SOCIALE laddove invece dalla sentenza di primo grado amministratore della società risultava essere NOME COGNOME e che pertanto la sentenza sia nulla. Non si riproducono nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, né si depositano unitamente al ricorso, i documenti a sostegno delle deduzioni.
Deve osservarsi che nella comparsa di costituzione della COGNOME in appello la stessa si qualifica come liquidatore della RAGIONE_SOCIALE e così è indicata nella sentenza e che ‘In tema di rappresentanza processuale delle società di capitali, la mancanza di “legitimatio ad processum” per difetto di potere rappresentativo può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, a condizione che la controparte, consultando gli atti soggetti a pubblicità legale, fornisca la prova dell’insussistenza di tale potere. Ne consegue l’inammissibilità della censura, proposta per la prima volta in sede di legittimità, fondata sul difetto di “legitimatio ad processum” in capo al sedicente rappresentante di una persona giuridica, qualora il ricorrente non abbia riprodotto nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, i documenti a sostegno delle sue deduzioni, né li abbia comunque depositati unitamente al ricorso’ (Cass. n.10009 del 24/04/2018).
Il motivo è altresì inammissibile per difetto di interesse non essendo individuabile l’utilità pratica che i ricorrenti possano perseguire dal contestare la qualificazione della COGNOME come liquidatore della società in assenza di domande dei ricorrenti contro la società o della società contro i ricorrenti;
il terzo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello, con insindacabile accertamento in fatto, ha evidenziato che l’edificio realizzato dalla Equedil differisce dai due distinti fabbricati distrutti dal sisma (ex INDIRIZZO COGNOME ed COGNOME) per maggior volume -14.096 metri cubi oltre 6962,88 metri cubi per servizi, in luogo di 11282 delle due ville distrutte- e per maggior altezza -otto piani per un totale di 24 metri, in luogo dei quattro piani della INDIRIZZO COGNOME e dei tre piani della INDIRIZZO COGNOME-. La Corte di Appello ha quindi escluso potersi applicare l’art.9 bis del Piano di Recupero, adottato con la delibera del Consiglio Comunale n. 249 del 1981 ai sensi dell’art. 8 lettera h) della legge 219 del
1981. L’articolo è relativo alle ipotesi di ‘ricostruzione’ e prevede, in particolare, che in caso di ‘ricostruzione in diverso sito d’impianto e/o con sagoma diversa da quella preesistente, le distanze dai confini, in deroga all’art. 15 del vigente regolamento edilizio, dovranno essere quelle previse dal codice civile’. La Corte di Appello ha affermato che l’edificio, in quanto non ricostruzione ma costruzione nuova, era soggetto alla distanza di cinque metri dal confine, imposta dall’art. 15 del Regolamento edilizio. La Corte di Appello ha anche evidenziato che l’art. 12 dello stesso piano di recupero prevedeva che per l’ambito unitario di INDIRIZZO, INDIRIZZO, INDIRIZZO in cui insiste l’edificio condominiale avrebbe dovuto essere emanato un progetto unitario particolareggiato e che tale progetto, approvato il 29 gennaio 1982 e modificato con delibera 244 del 1983, prevedeva a sua volta che il nuovo intervento edilizio doveva mantenere le medesime cubature delle ville distrutte. La Corte di Appello ha altresì richiamato gli art. 10 lett.a) del piano di recupero secondo cui le ‘nuove unità edilizie dovranno essere ricostruite con volume ed altezza non superiore al preesistente’ e l’art. 16 del regolamento edilizio secondo cui ‘in nessun caso le costruzioni devono superare l’altezza massima di m.14’.
I ricorrenti sostengono che la Corte di Appello ha errato perché in realtà l’art. 9 bis, facendo riferimento alla ‘ricostruzione in diverso sito d’impianto e/o sagoma diversa’, riguardava proprio le nuove costruzioni essendo la ricostruzione in senso stretto la nuova edificazione senza modifiche di volume, altezza o sagoma. Sostengono poi l’art. 10 lett.a) del piano di recupero riguardava esclusivamente la ricostruzione in sito e all’interno dei ‘nuclei storici’ di Vico Equense mentre l’intervento unitario di INDIRIZZO, INDIRIZZO e INDIRIZZO era regolato dall’art. 12 e questo non faceva riferimento alle altezze.
L’interpretazione della normativa e segnatamente dell’art. 9 bis del piano di ricostruzione fornita dalla Corte di Appello è centrata non solo sulla differenza di altezza e quindi di sagoma tra l’edificio de quo e i preesistenti ma anche sull’incremento di volume dell’uno rispetto agli altri. Occorre poi rimarcare che lo strumento comunale subordinato al piano di ricostruzione, costituito dal progetto di ristrutturazione urbanistica del Comparto di Sconduci, approvato il 29 gennaio 1982 e modificato con delibera 244 del 1983, prevedeva a sua volta che il nuovo intervento edilizio doveva mantenere le medesime cubature delle ville distrutte ossia non consentiva incrementi di volume per gli interventi di rigenerazione urbana relativi al comparto in parola.
La conclusione a cui la Corte di Appello è giunta secondo cui l’edificio è una nuova costruzione e non è sussumile nella categoria della ricostruzione ai sensi dell’art. 9 bis del piano di ricostruzione ed è soggetto alla distanza di cui all’art. 15 del regolamento edilizio e non alla minore distanza di cui all’art. 873 c.c. è coerente con la nozione di ricostruzione di edificio e di ristrutturazione nella legislazione nazionale.
In passato la ricostruzione era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma ed area di sedime dell’edificio, per cui in presenza di eccedenze si aveva una nuova costruzione soggetta alle nuove distanze legali vigenti al tempo della realizzazione del nuovo fabbricato, mentre per la ricostruzione continuavano a valere le distanze legali previste per l’edificio originario (vedi Cass. n.473/2019). Tale distinzione era basata dalla giurisprudenza su una serie di disposizioni, a partire dall’art. 31 comma 1 lettera d) della L.n.457/1987, per poi passare all’art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. 6.6.2001 n. 380, che nella sua formulazione originaria prevedeva che ‘nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e
successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi ed area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica’. Successivamente il d.l. n. 69/2013, ha modificato il sopra riportato art. 3, comprendendo, nell’ambito della ristrutturazione edilizia, gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, essendo quindi che, pur potendosi avere ristrutturazione anche senza il rispetto della sagoma, in caso di maggiore volumetria si aveva nuova costruzione. E’ poi ulteriormente intervenuto però l’art. 5 del D.L. n. 32/2019, convertito nella L.n. 55/2019, sul tema delle distanze per le costruzioni, che all’art. 2 bis del D.P.R. 6.6.2001 n. 380 ha aggiunto il comma 1 ter, in base al quale ‘in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo’. Da ultimo l’art. 10 comma 1 lettera a) del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 120/2020 ha modificato l’art. 2 bis comma 1 ter del D.P.R. n. 380/2001 stabilendo che ‘in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti’ aggiungendo ‘gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti’, e dallo stesso
D.L. è stato ulteriormente modificato l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 facendo rientrare nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi ‘di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche’, in tal modo superando la definizione tradizionale di ristrutturazione. E’ stato poi chiarito dalla giurisprudenza di questa sezione, che anche dopo l’intervento della riforma del D.L. n. 76/2020, ancorché si possa parlare di ricostruzione anche per opere che aumentino il volume o modifichino la sagoma dell’opera da ricostruire, si richiede sempre che la ricostruzione sia compiuta nel rispetto delle distanze preesistenti e cioè delle distanze conformi alla normativa vigente nel momento in cui è stato realizzato l’intervento originario (Cass. n. 20428/2022).
Questa Corte di legittimità ha affermato che ‘In tema di distanze, per effetto della modifica dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, intervenuta con l’art. 10 d.l. n. 76 del 2020, conv., con modif., dalla l. n. 120 del 2020, rientrano nella nozione di “ristrutturazione edilizia” anche gli interventi di demolizione di edifici esistenti e loro ricostruzione con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche plano-volumetriche e tipologiche, purché sia mantenuto il volume preesistente, salvo che la legislazione vigente o gli strumenti comunali consentano incrementi di volume anche per interventi di rigenerazione urbana, con il limite del fedele ripristino del preesistente posto per gli edifici tutelati e per le zone A. In tutti i casi, l’intervento di demolizione-ricostruzione, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione, deve essere realizzato, ai fini delle distanze, sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche quando questo sia legittimamente posto a una distanza da fabbricati e da confini inferiore a quelle attualmente previste’ (Cass. n.12751 del 11/05/2023).
La conclusione a cui è giunta la Corte di Appello è anche logica perché, mentre assoggetta le nuove costruzioni al rispetto di una distanza assoluta dal confine di 5 metri (come previsto dal regolamento edilizio) facendo rimanere soggette alla minore distanza di cui all’art.873 c.c. solo le ricostruzioni quantunque ricostruzioni, ai sensi dell’art. 9 bis del piano di recupero, con diversa sagoma;
10. il quarto motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti sostengono che la Corte di Appello avrebbe accolto la domanda di demolizione di alcune opere -un muro di contenimento e una rampa di accesso ai garage- realizzate dalla Equedil sulla porzione di fondo di 60 mq individuata dalla particella 1280, malgrado si trattasse di domanda nuova rispetto a quelle proposte relativamente a tale particella in primo grado e consistenti nella domanda di accertamento della proprietà, nella domanda di accertamento della inesistenza di pesi o servitù a carico della particella, nella domanda di condanna dei proprietari delle unità vicine ‘a eliminare le vedute’ sulla particella.
La domanda contenuta nella originaria citazione è riportata a pagina 6 del controricorso di NOME e NOME COGNOME. Si legge che gli attori avevano lamentato che la RAGIONE_SOCIALE aveva costruito su tale particella della quale la RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto il possesso nella prospettiva della stipulazione di un contratto di permuta poi mancato, come accertato dal Tribunale di Napoli con sentenza n.5687/1995 del 5/24.6.1995 passato in giudicato, e che gli attori chiedevano la condanna dei convenuti ad arretrare l’edificio e le pertinenze relative a distanza di regolamento. A pagina 8 della sentenza impugnata sono trascritte le conclusioni rassegante dagli attori-appellanti e vi si legge ancora la medesima domanda (‘condannare gli appellati alla demolizione di tutte le fabbriche e manufatti comunque eretti a meno di 5 metri dai confini e di 10 metri da preesistenti fabbricati … o comunque su proprietà
attorea’). Nella originaria domanda e nelle richieste in appello era quindi compresa la domanda su cui la Corte di Appello ha pronunciato (v. pagina 23 e ss. sentenza impugnata). La Corte di Appello ha esattamente riportato i termini della domanda, in primo grado e in appello, a pagina 24 della sentenza. La pronuncia di arretramento dei manufatti rispetto alla particella 1280 in nessun modo viola l’art. 112 c.p.c.;
il quinto motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello ha rilevato che non era stata allegata la data in cui COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano preso possesso dei beni dei quali chiedevano di essere dichiarati proprietari per usucapione. Al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, è logicamente ineccepibile l’affermazione della Corte di Appello per cui la data non poteva coincidere con quella della stipula dei contratti di permuta essendo i beni ancora da costruire. I ricorrenti deducono che i beni erano venuti ad esistenza nel 1985. La deduzione deve ritenersi inammissibile perché nuova in difetto di specificazione di quando sarebbe stata fatta nel primo grado e in assenza di riferimenti ad essa da parte della Corte di Appello. In aggiunta deve osservarsi che la Corte di Appello ha sottolineato che nei contratti era previsto che la consegna avrebbe dovuto avere luogo entro due mesi dal completamento della costruzione, così confutando la tesi dell’automatismo tra realizzazione e consegna. Pur nell’ipotesi della venuta ad esistenza dei beni nel 1985, resterebbe impregiudicata la conclusione della Corte di Appello sulla assenza di certezza sulla data dell’effettiva presa di possesso; 12. il sesto motivo di ricorso è inammissibile. Esso veicola non una censura ma solo una istanza di decisione sulle spese per l’ipotesi di accoglimento di uno dei motivi precedenti;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza nel rapporto tra ricorrenti e i controricorrenti NOME e NOME e sono compensate tra
ricorrenti e Comune di Avellino stante il contenuto sostanzialmente adesivo del controricorso di quest’ultimo rispetto al ricorso;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti NOME e NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 8500,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
compensa le spese tra i ricorrenti e il Comune di Avellino.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 20 febbraio 2025.