Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3271 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3271 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17374/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO CINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
COGNOME NOME
-intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 686/2018 depositata il 23/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con quattro separati atti di citazione notificati nell’anno 2005, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, la RAGIONE_SOCIALE, già denominata RAGIONE_SOCIALE (ed ora RAGIONE_SOCIALE), proponendo domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere la pronuncia di sentenza che tenesse luogo di quattro distinti contratti di
compravendita aventi ad oggetto quattro unità immobiliari facenti parte di un complesso edilizio posto in Viareggio in INDIRIZZO.
Le predette unità immobiliari, nell’anno 1996, erano state oggetto di un contratto locazione finanziaria stipulata dagli attori con la società RAGIONE_SOCIALE, che le aveva a sua volta acquistate dalla RAGIONE_SOCIALE in data 28 dicembre 1996, con atti a rogito del AVV_NOTAIO di Lucca.
Gli attori esponevano di avere, quali utilizzatori dei beni immobili, puntualmente onorato i canoni alle fissate scadenze e che al momento in cui avevano esercitato l’opzione di acquisto erano emerse difformità rispetto ai titoli autorizzativi che avevano impedito la stipula dei contratti di riscatto con il trasferimento della proprietà.
Concludevano, pertanto, chiedendo la pronuncia di una sentenza che tenesse ex art. 2932 c.c. luogo del contratto e, in via subordinata, laddove fosse stata ravvisata l’impossibilità a procedere alla regolarizzazione urbanistica e/o edilizia delle affermate difformità e, quindi, fosse risultata incommerciabile l’unità immobiliare, la pronuncia di nullità del contratto di leasing.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva in ciascuno dei quattro giudizi, resistendo alle domande avversarie e chiedendo di essere autorizzata a chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE e l’AVV_NOTAIO, la prima, quale venditrice delle quattro unità immobiliari ed il secondo quale, tecnico incaricato di verificare, prima dell’acquisto, il valore e la effettiva commerciabilità delle medesime unità immobiliari.
L’atto di chiamata in causa veniva regolarmente notificato e si costituivano conseguentemente in giudizio anche i chiamati in
causa. La RAGIONE_SOCIALE contestava la fondatezza della domanda sostenendo la conformità urbanistica dei beni, rispetto ai quali il mutamento di destinazione d’uso (peraltro limitato a due unità) non poteva, in ogni caso, assumere rilevanza ai fini della validità dell’atto traslativo stipulato con la RAGIONE_SOCIALE leasing. Il COGNOME, dal canto suo, contestava l’esistenza di una propria responsabilità atteso che sosteneva di aver unicamente periziato i beni immobili, senza valutare la loro commerciabilità (che peraltro riteneva, al pari della RAGIONE_SOCIALE, sussistente con conseguente validità e non nullità dei contratti) e in ogni caso chiedeva di essere manlevato da RAGIONE_SOCIALE responsabile dei vizi in questione.
Il Tribunale, previa riunione dei giudizi e in accoglimento della domanda subordinata degli attori, dichiarava la nullità sia dei contratti di leasing che di vendita, condannando la RAGIONE_SOCIALE a restituire alla RAGIONE_SOCIALE la somma pari al corrispettivo percepito (642.000 Euro), con condanna della RAGIONE_SOCIALE a rifondere agli attori le spese di causa e condanna della RAGIONE_SOCIALE e del COGNOME in solido a rifondare alla RAGIONE_SOCIALE le spese di causa sostenute.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
La Banca BPM (incorporante per fusione RAGIONE_SOCIALE), si costituiva nel giudizio di appello chiedendone la reiezione e proponendo appello incidentale.
Le altre parti del giudizio di primo grado si costituivano e chiedevano il rigetto dell’appello.
In occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni si costituiva l’AVV_NOTAIO. COGNOME, il quale aderiva all’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE facendone propri i motivi e riproponendo, in
via subordinata, la domanda di manleva nei confronti della stessa società.
La Corte d’Appello di Firenze rigettava tanto l’appello principale che quello incidentale.
In particolare, dalle risultanze di primo grado e in particolare della CTU (neppure specificamente contestate) emergeva che, in base alla disciplina urbanistica non erano consentiti il frazionamento e l’accatastamento dei beni dai quali era scaturita ogni singola unità immobiliare concessa in leasing agli attori, né che per le irregolarità riscontrate fosse possibile una sanatoria.
Il titolo edilizio originario riguardava, infatti, un edificio a prevalente destinazione attività produttive, con appartamenti e unità ad uso artigianale con uffici pertinenziali.
Il frazionamento operato dall’RAGIONE_SOCIALE aveva violato le regole urbanistiche che imponevano una parte destinata ad attività produttiva maggiore o uguale alla metà della superficie utile globalmente, venendo realizzati uffici scorporati dalle relative unità artigianali di cui erano pertinenza.
Privo di pregio era il rilievo che riguardava l’avvenuto rilascio da parte degli uffici comunali del certificato di agibilità, trattandosi di una certificazione riguardante l’intero condominio, non le singole unità che del condominio facevano parte.
Peraltro, risultava l’impossibilità di procedere a sanatorie in relazione alle problematiche riscontrate (vedi parere RAGIONE_SOCIALE Edilizia del Comune di Viareggio di cui alla CTU). Quanto alla prospettazione della possibilità di una sanatoria della irregolarità, la Corte d’Appello rilevava che RAGIONE_SOCIALE non aveva sanato il vizio, né offerto soluzioni alternative adeguate.
Pertanto, richiamato l’orientamento della giurispru denza di legittimità sulla nullità di carattere sostanziale in relazione alle irregolarità urbanistiche rigettava sul punto l’appello.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE BPM, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con rispettivi controricorsi, mentre NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva.
Le parti in prossimità dell’udienza del 15 giugno 2023 hanno depositato memorie.
La trattazione del ricorso è stata rinviata all’odierna camera di consiglio per l’indisponibilità dell’allora relatore .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 – attualmente articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, violazione e falsa applicazione degli articoli 1418 e 1346 c.c. erronea applicazione di norme di diritto.
La censura ha ad oggetto l’interpretazione delle norme indicate in rubrica ritenute dalla Corte d’Appello disciplinare anche l’ ipotesi di cosiddetta nullità ‘ sostanziale ‘ mentre, secondo la ricorrente, la norma prevede la nullità del contratto di compravendita solo in caso di mancanza del titolo abilitativo e non di ogni irregolarità urbanistica o difformità tra titolo abilitativo e opera realizzata. In altri termini la nullità sarebbe limitata alla mancanza del permesso di costruire o alla difformità totale.
Nel caso in esame il frazionamento non richiedeva alcun titolo e, dunque, non poteva condurre a nullità non sussistendo alcuna difformità totale ma al più una lieve difformità.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 – attualmente articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nonché dell’articolo 1418 c.c.. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 erronea applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c. violazione dell’ art. 19 del piano regolatore generale del Comune di Viareggio, erronea interpretazione di norme di diritto, omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, assenza di contrarietà con lo strumento di pianificazione comunale.
La Corte d’appello si sarebbe soffermata solo sulle conclusioni del consulente tecnico senza verificare la corretta applicazione delle norme indicate in rubrica e dello strumento di pianificazione urbanistica. Diversamente dalle conclusioni della Corte d’Appello il fabbricato di cui fanno parte le unità immobiliari in oggetto ricadeva ai sensi degli strumenti di pianificazione e di governo del territorio del Comune di Viareggio all’epoca vigenti in zona classificata ‘D’ , sottozona ‘D2’ disciplinata dall’art. 19 del piano regolatore. Tale disposizione prevedeva il limite alla destinazione ad uso ufficio solo nella misura strettamente necessaria all’attività principale ma non vietava un’autonoma e distinta destinazione ad ufficio. Pertanto doveva escludersi il contrasto della destinazione dell’uso con lo strumento urbanistico e dunque il frazionamento non richiedeva alcun titolo e certamente non poteva dare luogo a nullità.
In ogni caso il mutamento di destinazione d’uso non costituisce un abuso tale da determinare la nullità del contratto.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – attualmente articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nonché dell’articolo 1418 c.c.. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; Violazione e falsa applicazione della legge regionale della Toscana n.64 del 2015. Violazione dell’art. 2932 c.c., erronea applicazione di norme di diritto, omessa indagine in merito alla sanabilità dell’intervento.
Secondo la ricorrente, trattandosi di un atto ad effetti obbligatori il giudice avrebbe dovuto verificare la sanabilità e la regolarizzazione delle opere e in ogni caso avrebbe potuto emanare una sentenza costitutiva in luogo del contratto definitivo ex art. 2932 c.c., trattandosi di una irregolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità.
L’intervento di frazionamento nel caso di specie rientrava nell’ambito degli interventi di edilizia libera riconducibili alla manutenzione straordinaria attuabili con semplice comunicazione di inizio lavori e soggetti in caso di mancata comunicazione alla sanzione di euro 1000.
I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati nei sensi di cui in motivazione.
La Corte d’Appello non ha chiarito se nel caso di specie manchi del tutto l’indicazione del titolo edilizio necessaria ai sensi de gli artt. 17 e 40 della l.n. 47 del 1985 e dell’art.46 del d.P.R. n.380 del 2001
o vi sia solo una irregolarità urbanistica e, dunque, una difformità di tipo sostanziale.
In particolare, nella motivazione si fa un generico riferimento al fatto che non erano consentiti il frazionamento e l’accatastamento e che il titolo riguardava un edificio a prevalente destinazione attività produttive con appartamenti e unità ad uso artigianale con uffici pertinenziali. In sostanza, si legge nella sentenza impugnata, che i l frazionamento operato dall’ RAGIONE_SOCIALE aveva violato le regole urbanistiche che imponevano una parte destinata ad attività produttive maggiore o eguale alla metà della superficie utile globale.
Infine, la Corte d’Appello ha affermato che la sentenza del Tribunale è conforme alla giurisprudenza in materia secondo cui: Gli atti di trasferimento di diritti reali su immobili sono nulli, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia nel caso in cui gli immobili oggetto di trasferimento non siano in regola con la normativa urbanistica (nullità di carattere sostanziale), sia quando dagli atti di trasferimento non risulti la circostanza della regolarizzazione in corso (nullità di carattere formale) (Sez. 2, Sentenza n. 25811 del 05/12/2014, Rv. 633640 – 01).
4.1 L’ orientamento richiamato dalla Corte d’Appello al momento della pronuncia non era univoco e, anzi, era minoritario. Successivamente, la questione è stata oggetto di una sentenza delle sezioni unite che ha risolto il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità tra l’interpretazione secondo cui la nullità di cui agli artt. 17 e 40, l. n. 47 del 1985, e 46, d.p.r. n. 380 del 2001, avrebbe natura formale in quanto derivante dalla mera
assenza, nel contratto, delle dichiarazioni del venditore e quella che, invece, affermava la natura sostanziale della nullità in quanto derivante non soltanto dall’assenza dell a menzione del titolo nell’atto, ma anche dalla difformità tra il bene venduto e il progetto assentito.
Le Sezioni Unite hanno aderito alla prima opzione ricostruttiva enunciando il seguente principio di diritto: La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (Sez. U, Sentenza n. 8230 del 22/03/2019, Rv. 653283 – 01).
A sostegno di questa tesi, si è fatto ricorso, in linea con le indicazioni contenute nell’art. 12, comma 1, delle Preleggi, sia al dato letterale delle norme esaminate, che connettono la nullità e l’impossibilità della stipula esclusivamente all’assenza di siffatta dichiarazione o allegazione ex art. 40, sia al dato teleologico, da individuarsi soltanto in esito all’esegesi del testo esaminando e non
in funzione di finalità ispiratrici del complesso normativo in cui esso è inserito.
E’ stato poi evidenziato come l’intento perseguito dall’interpretazione sostanzialista, di supportare anche in ambito civilistico il disvalore espresso dall’ordinamento nei confronti del diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio, sia sconfessato dall’esser e stata la nullità comminata soltanto con riguardo a specifici atti ad effetti reali inter vivos , con esclusione invece di quelli mortis causa , di quelli ad effetti obbligatori, di quelli riguardanti diritti reali di garanzia e di servitù e di quelli derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, e come lo stesso istituto della conferma e l’atto aggiuntivo che la contiene presuppongano la sussistenza del titolo e della documentazione, senza implicare, altresì, l’effettiva corrispon denza al suo contenuto dell’edificio oggetto del negozio.
E’ stato inoltre chiarito che la sanzione in esame non possa essere sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., la quale presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa e il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili, in quanto non riscontrata in seno allo ius positum , e neppure nell’ambito della nullità di cui al comma 2, dell’art. 1418 c.c., per illiceità o impossibilità dell’o ggetto o per illiceità della prestazione o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume, in considerazione sia dell’esclusione di alcune tipologie di atti (quelli sopra richiamati) dal suo ambito applicativo, sia dell’estraneità dell’illiceità dell’attività di produzione del bene contemplato nell’atto dall’oggetto e dalla causa della
compravendita, costituiti rispettivamente dal trasferimento della proprietà della res e dallo scambio cosa contro prezzo.
Alla stregua di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno dunque ritenuto che la nullità urbanistica costituisca una specifica declinazione del comma 3 dell’art. 1418 c.c., da definirsi come testuale in quanto volta a colpire gli atti in essa menzionati, e sia insuscettibile, in quanto tale, di applicazione estensiva o analogica, ma soggetta a stretta interpretazione, sebbene con la precisazione che il titolo menzionato nell’atto non soltanto debba realmente esistere, così come veridica deve essere la dichiarazione dell’alienante, ma debba altresì riferirsi all’immobile oggetto dell’atto, non soltanto perché, diversamente, verrebbe svuotata di significato la previsione della conferma di cui agli artt. 46, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, e 17, comma 4, e 40, comma 3, della l. n. 47 del 1985 (possibile soltanto in caso di omessa menzione non dipesa da insussistenza del titolo) e la stessa finalità perseguita dal legislatore di limitare le transazioni relative a immobili abusivi, ma anche perché verrebbe altrimenti vanificata la valenza essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente propria della dichiarazione, richiedente la concreta riferibilità del titolo all’immobile oggetto dell’atto.
E’ stata infine esclusa la necessità di distinguere tra variazioni essenziali e non essenziali del manufatto edificato, come richiesto nell’ordinanza di rimessione, in quanto irrilevante al fine di definire l’ambito della nullità del contratto, anche in co nsiderazione della moltiplicazione dei titoli abilitativi previsti in riferimento all’attività edilizia da eseguire e della conseguente indeterminatezza del sistema delle nullità, che verrebbe affidato a graduazioni di
irregolarità urbanistica difficilmente identificabili e sostanzialmente lasciate all’arbitrio dell’interprete.
4.2 Come si è detto, la sentenza impugnata è antecedente la pronuncia delle Sezioni Unite sopra riportata e, tuttavia, dalla sua motivazione non emerge con chiarezza quale sia l’effe ttiva ragione della nullità del contratto di compravendita intercorso tra le parti, ovvero se dipenda da un c.d. abuso di tipo ‘sostanziale’ derivante da irregolarità urbanistiche o se a mancare sia il titolo edilizio necessario secondo le indicazioni dell’intervento nomofilattico. Come si è detto, infatti, le norme sulla nullità sono di stretta interpretazione e ciò che si richiede è che il titolo menzionato nell’atto non soltanto debba realmente esistere, così come veridica deve essere la dichiarazione dell’al ienante, ma debba altresì riferirsi all’immobile oggetto dell’atto .
Si impone, pertanto, l’accoglimento del ricorso, la Corte d’Appello dovrà riesaminare la validità dei contratti in esame alla luce dei principi di cui alla sentenza n. 8230 del 2019.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione