Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25075 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25075 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1563-2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME domiciliat a ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 353/2021 d ella Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, depositata in data 27/10/2021; udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 17/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
CONTROVERSIE AGRARIE
Sentenza d’appello – Rito del lavoro Omessa lettura del dispositivo – Nullità insanabile
R.G.N. 1563/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 17/4/2025
Adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 353/21, del 27 ottobre 2021, della Sezione agraria di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, che accogliendo il gravame esperito da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 46/21, del 2 febbraio 2021, della Sezione agraria del Tribunale di Nuoro -ha dichiarato risolto, per grave inadempimento di NOME COGNOME, il contratto di affitto stipulato con il medesimo nel 1998 e relativo all’affitto di terreno sito nel Comune di Bitti, località INDIRIZZO, condannando il Delogu al rilascio del bene e al pagamento dell’importo di € 12.000,00 per canoni insoluti per le annualità 2012-2017, oltre canoni a scadere nella misura di € 2.000,00 annui sino al rilascio.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere stato convenuto in giudizio da NOME COGNOME la quale -sul presupposto di essere proprietaria del suddetto terreno, per averlo acquistato a seguito di divisione ereditaria, bonaria e informale, del compendio ereditario dei genitori e del fratello NOME, divisione intercorsa con le sorelle (una delle quali madre di NOME COGNOME) -assumeva di averlo dato in affitto al nipote, nel 1998, con contratto concluso in forma orale di durata annuale con tacito rinnovo alla scadenza. Esso prevedeva, in particolare, il pagamento di un canone annuo, fissato inizialmente in £ 3.000.000, adeguato ad € 2.000,00, a partire dall’anno 2001. Tuttavia, NOME COGNOME -assumendo che l’affittuario, dal 2010, si sarebbe reso moroso nel pagamento dei canoni -agiva per conseguire la risoluzione del contratto per inadempimento del l’odierno ricorrente, vantando un credito nei suoi confronti di €
16.000,00, chiedendone pure la condanna al rilascio del bene e al risarcimento del danno.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME resisteva alla domanda, innanzitutto contestando l’esistenza del dedotto rapporto contrattuale di affitto, ovvero, in subordine (e per quanto qui ancora di interesse), eccependone la cessazione a decorrere dal 2010. A conferma di tale eccezione deduceva il lungo lasso di tempo trascorso dalla prima morosità senza che mai fosse stata fatta richiesta di pagamento dei canoni fino al 2017, nonché la circostanza di non detenere più l’immobile dal 2010, successivamente occupato da terzi, in forza di specifico contratto di affitto avente data certa del 2011, intercorso tra NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE Senes NOME. In ogni caso, il convenuto deduceva che il terreno oggetto di causa non era di esclusiva proprietà di NOME COGNOME costituendo cespite indiviso della comunione ereditaria delle tre sorelle, e dunque anche della madre di esso COGNOME deceduta la quale il medesimo aveva acquisito lo status di comproprietario del fondo, con ogni conseguenza -anc he quanto all’eventuale compensazione parziale con il credito azionato da parte attrice -in relazione al diritto di percepire un terzo del canone riscosso per l’affitto del terreno.
Rigettata ogni domanda dal primo giudice, la decisione veniva riformata in appello, in accoglimento del gravame esperito da NOME COGNOME
Riteneva, infatti, il giudice di seconde cure che, documentato il versamento compiuto da NOME COGNOMEa mani della zia dell’importo annuo di € 2.000 dal 1998 al 2009′, sussistesse prova, anche per il periodo successivo, del persistere del rapporto contrattuale. Osservava, al riguardo, il giudice d’appello, che l’odierno ricorrente ‘ha conservato la detenzione anche dopo il 2010, non potendo che essere imputata all’affittuario la
disponibilità materiale che ne abbia conseguito un suo stretto congiunto’, vale a dire NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME. Che si trattasse, invero, della ‘medesima detenzione, mai interrotta ma solo esercitata diversamente attraverso il lavoro a gricolo della moglie dell’affittuario’, costituisce conclusione ad avviso della Corte territoriale -che ‘non trova certo facile smentita nella mera stipulazione di un contratto scritto tra la COGNOME e un terzo (non a caso anche lui stretto congiunto dell ‘appellato), dunque di un atto inter alios ‘ . E ciò non avendo l’odierno ricorrente dimostrato né che NOME COGNOMEavesse la materiale disponibilità del fondo (innegabilmente nella disponibilità di NOME COGNOME dal 1998 sino al 2010) per poterlo concedere alla Senes ‘ , né che la medesima ‘l’avesse perduta ‘ , né che la COGNOME fosse ‘ stata introdotta nel fondo dalla COGNOME o che corrispondesse lei (la Senes) il canone in luogo del marito’.
Avverso la sentenza della Corte sarda ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 156, 429 e 437 cod. proc. civ., ‘avendo la Corte d’appello omesso la lettura del dispositivo in udienza’.
Sebbene anche il giudizio d’appello sia stato celebrato nelle forme del c.d. ‘rito lavoristico’, la Corte territoriale, all’esito dell’udienza del 20 ottobre 2021, si ritirava in camera di consiglio, omettendo di leggere in aula il dispositivo della sentenza. È quanto emerge -si assume -‘dal verbale prestampato nel quale, nello spazio riservato alla compilazione delle attività di udienza, viene riportato testualmente solo quanto segue: la Corte decide
come da separato dispositivo telematico’. Di qui la violazione degli artt. 156, 429 e 437 cod. proc. civ. con conseguente nullità della sentenza.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 6, della legge 3 maggio 1982, n. 203, ‘in relazione alla durata del contratto’, nonché violazione dell’art. 2697 cod. civ. , ‘sulla prova dell’esistenza del contratto medesimo successivamente al 2010’, oltre a omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, ‘in relazione alla durata annuale del contratto e all’assenza di rinnovo’.
Si censura la sentenza impugnata perché avrebbe erroneamente qualificato il contratto dedotto in giudizio come affitto di fondo rustico, soggetto all’applicazione della legge n. 203 del 1982, quando in realtà si sarebbe trattato di un contratto di affitto ex artt. 1615 e ss. cod. civ., nel caso di specie di durata annuale ed avente esclusivamente finalità di pascolo.
Orbene, assume il ricorrente, la ‘qualificazione del rapporto incide sulla corretta applicazione della disciplina della durata del contratto e sull’applicazione della regola sulla ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art 2697 cod. civ. in relazion e al thema probandum afferente alla questione di fatto dell’esistenza del contratto per il periodo successivo al 2010, ossia dal momento in cui non sono stati corrisposti i canoni’.
Il fatto che si tratti di affitto ordinario e non di affitto di fondo rustico-agrario emergerebbe, secondo il ricorrente, dagli atti di causa, innanzitutto, dalle allegazioni di parte attrice (la quale, sin dall’atto introduttivo del giudizio , ha dedotto trattarsi di contratto di durata annuale), nonché dalle ricevute di pagamento dei canoni di locazione attestanti, del pari, tale durata annuale.
Ciò detto, ‘sussunto il contratto de quo nell’ambito della fattispecie dell’affitto di cui all’art. 1615 e ss. cod. civ., considerata la durata annuale e la mancanza di prova della clausola del tacito rinnovo, rimasta mera allegazione contestata dal ricorrente, ne consegue’ osserva NOME COGNOME -‘che questo deve ritenersi estinto per decorrenza del termine (annuale) a decorrere dall’annualità in cui è stato omesso il pagamento dei canoni, non essendo stata fornita dalla contradditrice la prova dell’es istenza del contratto per il periodo successivo’.
In sostanza, l’avvenuta ‘estinzione del contratto trova conferma nella mancata corresponsione dei canoni protrattasi per sette anni (dal 2009, ultima annualità pagata, fino al 2017), mentre ‘l’assunta prosecuzione della detenzione del fondo secondo le modalità individuate dalla Corte territoriale (attraverso il lavoro agricolo della Senes NOME) diviene irrilevante, rientrando tuttalpiù nell’ambito della detenzione sine titulo ‘.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -‘nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., lamentando ‘motivazione apparente, con riferimento alla persistenza del contratto successivamente al 2010’.
Si censura la sentenza impugnata là dove -‘dopo aver affermato l’esistenza di numerosi e concordanti indizi convergenti verso l’esistenza di un contratto di affittanza agraria tra zia e nipote a decorrere dal 1998, ravvisati nella non contestata detenzion e del terreno fino all’anno 2010 e confermata dalle ricevute di pagamento dei canoni dal 1998 al 2009 non altrimenti imputabili ad altro rapporto’ asserisce che ‘il Delogu ha conservato la detenzione anche dopo il 2010, non potendo che essere imputata al l’affittuario la disponibilità materiale che ne
abbia conseguito un suo stretto congiunto’, vale a dire la moglie NOME COGNOME
Si tratterebbe, tuttavia, di assunto ‘privo di riferimenti probatori, apodittico ed assiomatico perché mancante delle ragioni e dell’iter logico seguito per pervenire a detta affermazione, non offrendo l’intero impianto motivazionale alcuna disamina logica e giuridica sulla ritenuta conservazione della detenzione da parte del ricorrente, nonché sulla «imputabilità» al medesimo della detenzione del bene da parte del terzo’, ovvero la ‘MPS di Senes NOME‘.
Né, d’altra parte, offrirebbe ‘chiarezza argomentativa, né alcuna conferma probatoria’, apportando semmai ‘confusione’, il ‘successivo passaggio motivazionale’, contenente il riferimento al contratto intercorso tra il padre del ricorrente e la società RAGIONE_SOCIALE, contratto che la Corte territoriale ha reputato inidoneo a smentire la conservazione della detenzione del fondo in capo a NOME COGNOME.
Per contro, tale contratto -si legge in ricorso -‘costituisce dato documentale comprovante l’interruzione e/o la discontinuità dell’originaria situazione di detenzione del fondo instaurata con il contratto intercorso tra il COGNOME NOME e la COGNOME, quindi la perdita della disponibilità del fondo da parte del primo conseguente al mancato rinnovo annuale del contratto e confermata dal mancato pagamento dei canoni per gli anni successivi’.
In tale contesto, dunque, deve affermarsi come la persistente detenzione del fondo da parte del ricorrente -che la Corte territoriale assume ‘avvenuta personalmente fino al 2010 e attraverso il lavoro agricolo della moglie successivamente’ -farebbe, tuttalpiù, di esso NOME COGNOMEun detentore sine titulo , con conseguente infondatezza della domanda di risoluzione del contratto’.
3.4. il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2729 cod. civ. ‘ con riferimento al contratto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e alla conservazione della detenzione del fondo da parte del ricorrente’, oltre che ‘omessa valutazione di un documento decisivo ai fini del giudizio, con riferimento al certificato per estratto dell’atto di matrimonio’.
Ammessa, in ipotesi, la possibilità di ravvisare nella valorizzazione del rapporto di coniugio tra l’odierno ricorrente e NOME COGNOME il fondamento della motivazione con cui la Corte territoriale ha ravvisato il persistere della disponibilità del terreno in capo a NOME COGNOME, tale conclusione sarebbe, comunque, viziata.
Per un verso, infatti, tale dato ‘assurgerebbe immeritatamente al rango delle presunzioni semplici disciplinate dall’art. 2729 cod. civ.’, essendo privo dei caratteri di gravità presunzione e concordanza, e ciò vieppiù ‘in considerazione del fatto che il Delogu e la Senes sono separati da diversi anni, come attestato dal certificato di estratto di matrimonio allegato alla mem oria del 2 maggio 2019’, circostanza decisiva che la Corte avrebbe omesso di considerare.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, NOME COGNOME chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, la controricorrente, peraltro, limitandosi a ribadire le conclusioni già rassegnate.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati.
8.1. Il primo motivo è fondato, nonostante i rilievi espressi da NOME COGNOME nel proprio controricorso.
8.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione che esso risulta formulato in conformità agli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., visto che del verbale d’udienza del 20 ottobre 2021 è riprodotto il contenuto e che lo stesso viene indicato -in calce al ricorso -come documento prodotto sub 8), consentendosene, così, la ‘ localizzazione ‘ tra gli atti del giudizio.
Orbene, tale documento attesta che la causa risulta decisa come ‘da separato dispositivo telematico’, così confermando che dello stesso non fu data lettura in udienza.
Né , d’altra parte, può osservarsi -come afferma, invece, la controricorrente -che l’avvenuta lettura sarebbe attestata dalla sentenza, dal momento che, tanto nel suo frontespizio, quanto nel suo dispositivo, si legge ‘… la Corte … ha pronunciato dando lettura del dispositivo’.
Invero, come osserva -pertinentemente –NOME COGNOME nella propria memoria, dal momento che ‘l’unico documento
telematico contenente il dispositivo è appunto la citata sentenza, sottoscritta però il 27 ottobre 2021 (e comunicata alle parti con il biglietto di cancelleria), se ne deve allora logicamente dedurre che alcun dispositivo sia stato letto all’udienza del 20 ottobre 2021′, altrimenti la sentenza avrebbe dovuto essere sottoscritta a quella stessa data ‘e/o dovrebbe esistere nel fascicolo d’ufficio un «documento telematico», (richiamato nel verbale udienza di discussione), firmato digitalmente al 20 ottobre 2021 e contenente appunto la trascrizione del dispositivo della sentenza’.
Stando così le cose, dunque, deve darsi seguito a quanto affermato -ancora di recente -da questa Corte, secondo cui, nei giudizi regolati dal rito lavoro, la lettura del dispositivo, al termine dell’udienza di discussione, ‘è imposto a pena di nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione’, sicché, quando ‘l’omissione abbia riguardato l a decisione assunta dal giudice d’appello, la Corte di cassazione, ove la nullità sia stata dedotta come motivo di impugnazione, deve limitare la pronunzia alla declaratoria di nullità con rimessione della causa al giudice di secondo grado senza decidere nel merito, trovando applicazione tale ultima regola desumibile dagli art. 353 e 354 cod. proc. civ., esclusivamente nei rapporti tra il giudizio di appello e quello di primo grado’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, ord. 20 febbraio 2023, n. 5197, non massimata; in senso analogo già Cass. Sez. 6-2, ord. 6 dicembre 2021, n. 38521, Rv. 663223-01, che è relativa all’applicabilità del principio al rito di appello lavoristico ; Cass. Sez. 6-3, sent. 28 novembre 2014, n. 25305, Rv. 63334801; Cass. Sez. Lav., sent. 8 giugno 2009, n. 13165, Rv. 60873601).
7.2. I restanti motivi di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento del primo.
In conclusione, il ricorso è da accogliere quanto al suo primo motivo e la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, per la rinnovazione della pronuncia sull’appello nel rispetto della disciplina decisionale di cui si è qui sancita la violazione. Il giudice di rinvio pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti, e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della